Si combatte in Libia. Ma l’Italia sta a guardare. Mandiamo soldati a crepare in Afghanistan e in Iraq, in Paesi i quali sul piano storico non hanno per noi nessun significato, eppure dinanzi al regime del Colonnello Gheddafi e agli insorti la nostra paralisi è umiliante, imbarazzante. E’ vergognosa. Come vergognosi sono i patti italo-libici sottoscritti dal Governo Berlusconi. Vergognose le genuflessioni e il baciamano del Presidente del Consiglio all’uomo forte di Tripoli, al dittatore inflessibile e crudele. Al terrorista. Al terrorista di Lockerbie 1988, non dimentichiamolo. Non s’era mai visto un uomo baciare la mano a un altro uomo: quell’immagine, che risale a tempi ancora recenti, recentissimi, mi stomacò. Mi avvilì. Data la carica ricoperta da Silvio Berlusconi, era come se in quel momento la mano a Gheddafi l’avessimo baciata anche noi, tutti noi, tutti gli italiani. Voglia di riscatto, quindi, per i “misfatti” dell’Italia fascista (e pre-fascista) in Libia? Voglia di riscatto le palate di quattrini che rovesciamo in base a tutti quegli accordi Roma-Tripoli nelle casse del Colonnello come “riparazioni di guerra”? Voglia di “riscatto”, sì, e desiderio anti-storico. Fra il 1930 e il 1940 l’Italia investì in Libia. Vi costruì strade, ospedali, scuole. Strappò al deserto centinaia di chilometri fra Tripoli e il confine egiziano e sulla sabbia, sulle pietraie sorsero giardini, frutteti, vigneti. Semmai, dovrebbe essere il Colonnello a risarcire gli italiani, e i loro eredi, sbattuti fuori dalla Libia in ventiquatr’ore, nel 1970. Gheddafi ordinò addirittura lo scoperchiamento delle bare che accoglievano i resti di italiani e italiane: resti scaraventati in mare…
Ma non possiamo muoverci. Non possiamo neanche alzare un dito. In questa gabbia ci ha rinchiusi il Governo Berlusconi con la sua resa totale e incondizionata al dittatore il quale ora si vanta di aver “costretto l’Italia a chiederci scusa”. Al dittatore che, a seconda della convenienza, agita sul nostro naso lo spauracchio delle torme di nordafricani pronte a rovesciarsi sulle nostre coste, ad affluire nelle nostre città. Dice che ci serviva, e ci serve, il petrolio libico. Ma non ci risulta che Tripoli pratichi sconti sulle forniture di greggio, Tripoli non pratica nessuno sconto all’Italia, alla Nazione che con sommo piacere dileggia e “questa” Italia (ma non sarebbe stato diverso con governi di centrosinistra) più riceve ceffoni, più si prostra, impegnata nella monda dei peccati fascisti… Quale la convenienza per noi cittadini italiani? Nessuna. Abbiamo “grandi amici” un po’ dovunque, Putin e Gheddafi “in primis”, eppure in Italia, tanto per fare un solo esempio, il riscaldamento nelle abitazioni è un lusso, proprio un lusso. Ci si svena per avere un po’ di tepore fra ottobre e aprile.
Si combatte in Libia, dove è in corso una rivolta fra le più spontanee delle Storia. Così spontanea che non ha ancora trovato, e mai troverà, un capo, il capo adatto alla missione. Si combatte sulla Via Balbia, sul Gebel e sul litorale cirenaico. Si lotta nell’interno del Paese, avvengono ancora conflitti a non molta distanza da Tripoli. Ma il destino degli insorti appare segnato: Gheddafi poggia ancora sulla grande maggioranza delle Forze Armate e – a quanto pare – dispone di mercenari, balcanici, i quali conoscono le arti della guerra e della guerriglia. E sono cattivi, efferati, addirittura: non distinguono fra uomini e donne, vecchi e bambini. Esauritasi la spinta iniziale, i rivoltosi sono adesso costretti sulla difensiva, perdono sempre più posizioni, non hanno uno straccio d’alleato…
L’Italia assiste appunto immobile, inetta, alla tragedia che si consuma sulla “quarta sponda”. Ai ribelli non giunge nemmeno una parola d’incoraggiamento. Certo che non può giungere: ci siamo legati mani e piedi a uno dei più abietti dittatori della Storia.