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December 19, 2007
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December 19, 2007
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Italia paladina all’Onu dei diritti umani?

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 4 mins read

 Nel confronto internazionale tra stati per il rispetto dei diritti umani, le prime caselle da conquistare sono sempre simboliche, vittorie morali che devono anticipare quelle sostanziali ancora lontane. Una parte eterogenea del fronte di stati cosidetti difensori dei diritti umani ieri ha vinto una tappa di questa lunga marcia.  La votazione all’Assemblea Generale dell’Onu della risoluzione per una moratoria sulla pena di morte, è stata approvata con 104 stati a favore (tra cui oltre quelli Ue da segnalare anche Brasile, Messico e Russia), 54 contrari (qui spiccano Usa, Cina e India) e 9 astenuti (qui la Korea del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon). Voto con conseguenze simboliche, non si potrà costringere nessun stato a fermare il boia ma, come ha risposto il Ministro Massimo D’alema ad un giornalista della Reuters che chiedeva se l’Europa attraverso l’Onu avesse deciso di interferire nelle prerogative degli stati di mezzo mondo: "è un appello" affinché questa venga messa in atto. Il significato morale può comunque creare fastidiosi problemi di immagine. Il testo esorta infatti tutti gli stati che prevedono la pena di morte a "stabilire una moratoria delle esecuzioni in vista dall’abolizione" della pena capitale. Come verifica, nella prossima Assemblea Generale, il segretario generale dell’Onu dovrà presentare il suo rapporto sull’applicazione della risoluzione da parte degli stati membri.

 

Una questione di diritti umani anche se non pochi paesi fino all’ultimo hanno sostenuto che la pena di morte non sarebbe una questione di diritti umani, ma di giurisdizione penale e che quindi affrontare l’argomento avrebbe costituito un’"ingerenza" dell’Onu nella prerogative di ciascuno stato. Invece, come ha riaffermato il deputato Sergio D’Elia, dell’associazione "Nessuno Tocchi Caino" e Matteo Mecacci, rappresentante all’Onu del Partito Radicale, quello che per primo con Pannella e Bonino iniziò questa battaglia proprio al Palazzo di Vetro,  "con questa risoluzione le Nazioni Unite stabiliscono per la prima volta il principio fondamentale che la pena di morte attiene alle questioni del rispetto dei diritti umani e quindi il suo superamento ne rappresenta un importante progresso".

Tra gli stati promotori, in testa quindi c’è l’Italia.  Il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, ieri al Palazzo di Vetro era soddisfatto, per "un successo superiore al previsto". "E’ stato un importante risultato, una importante maggioranza , superiore alle aspettative, fondata su una alleanza transregionale", ha detto D’Alema.

Una giornata trascorsa all’Onu quella di ieri che può far sentire orgogliosi degli sforzi del governo italiano nel promuove i diritti umani. Peccato però che le battaglie degli stati sui diritti umani pecchino troppo spesso di un essenziale elemento per renderle moralmente credibili a tutto il resto del mondo: la coerenza. Così ieri al ministro D’Alema non potevamo non chiedere, in conferenza stampa, perché proprio nei giorni in cui l’Italia con coraggio combatteva per far rientrare la pena di morte come una questione di diritti umani in seno all’Onu, il suo governo si rifiutava di incontrare il Dalai Lama in visita in Italia. La "Ragione di Stato", come ha alla fine confessato in tv Prodi, è dove si ferma la coerenza del suo governo a favore del diritto e della dignità umana che, in questo caso, dovrebbe valere anche per il popolo tibetano oppresso dalla Cina?

Il ministro D’Alema non era contento della nostra domanda, ma coerente al suo stile non l’ha ignorata. "Io personalmente ho incontrato molte volte il Dalai Lama, ho consegnato anche una lettera alle autorità cinesi… Però questa volta la sua era una visita privata e al governo non è giunta una richiesta ufficiale…" Eppure in circostanze simili gli altri leader occidentali hanno incontrato il Dalai Lama.

Scendendo nell’ascensore della Rappresentanza italiana all’Onu, ritrovandomi di fronte il ministro, osservo che i tempi della visita del Dalai Lama sono stati "sfortunati"… "Mi spieghi perché?" mi chiede D’Alema con fare sarcastico. Lo aveva appena spiegato lui in conferenza stampa, dicendo che alcuni paesi potenti che avevano votato contro la moratoria sulla pena di morte non si erano comunque impegnati nell’ostruzionismo: "Ministro, ma se Prodi avesse incontrato il Dalai Lama chissà cosa la Cina avrebbe potuto combinare oggi all’Onu…" D’Alema ascolta. Noi lo provochiamo ancora: Bush ha visto il Dalai Lama. "Sì ma non alla Casa Bianca.." dice un funzionario. E allora? Prodi poteva incontrarlo a Piazza Navona! D’Alema ci guarda, accenna qualcosa ma poi dice. "Neanche il Papa lo ha incontrato, lei lo sa perché?" Certo, per la stessa paura vostra, quella di ritorsioni ai cattolici cinesi. Insistiamo: ministro l’Italia rischia tanto, però la cancelliera tedesca Merkel l’ha ricevuto il Dalai Lama e la Germania ha tanti interessi in Cina, significa forse che l’Italia non ha la stessa forza della Germania per non farsi imporrre chi può incontrare il suo capo del governo, è così? Le porte dell’ascensore si aprono. Una liberazione per il ministro dalle domande del cronista.

Una giornata storica ieri dell’Italia all’Onu, siamo contenti. Eppure, al di là di ogni ipocrisia, dopo quelle dichiarazioni sulle "ragioni di stato", il governo italiano ha ancora molta strada da compiere prima di potersi ergere ad esempio per gli altri nella difesa dei diritti umani nel mondo.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e dirigo La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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