2020, estate strana. Con un mondo bloccato dalla pandemia, le vacanze italiane si consumano quasi d’obbligo all’interno dei confini.
Anch’io, come tanti, approfitto di questo momento storico per visitare quelle zone d’Italia che troppo spesso, gli anni scorsi, ho trascurato.
Parto da Bolzano con un treno che attraversa lo stivale. Quando sento parlare tedesco, per un attimo ho l’impressione di non essere nemmeno in Italia. Attorno a me una conca circondata dalle montagne, case bianche e tetti di legno. Alla stazione, le persone silenziose e ordinate salgono sul treno in perfetta fila indiana, mantenendo la distanza di sicurezza.
Il tragitto verso Roma è lungo e, nella prima mezz’ora di viaggio, quei pochi passeggeri a bordo osservano i monti perdere le loro cime ancora un po’ innevate.
È un treno diverso dal solito. Il rispetto delle norme dovute al coronavirus, che impongono la vendita di un solo posto per ogni coppia di sedili, fa apparire i vagoni vuoti. Ma a mancare, in realtà, sono solo i turisti stranieri. Prima o seconda classe poco importa.
Nell’insolita estate del 2020, sono gli italiani a riscoprire le bellezze dello stivale.

Dopo un’ora e mezza di viaggio, sul monitor della carrozza 4 appare la scritta “Verona Centrale”. Una coppia di giovani ragazzi fa il suo ingresso tenendosi per mano. Un borsone ciascuno, due iniziali ricamate. La R. su quello di lui e la G. su quello di lei. Seduti accanto a me, parlano delle loro vacanze. Per quest’estate avevano in programma un viaggio in Inghilterra, ma la situazione d’emergenza li ha costretti a cambiare piani. Fuggono così dal caldo di un capoluogo che non ha mai visto di buon occhio il loro rapporto, per trascorrere qualche giorno di pace tra la brezza del mare del sud.
Le rotaie tagliano il passaggio uniforme della Pianura Padana, fino a quando la cupola azzurra della chiesa di San Luca fa da preludio all’ingresso in città. La voce meccanica in carrozza 4 parla di nuovo. “Siamo in arrivo a Bologna Centrale”. Le porte si aprono e in un attimo si respira aria di Emilia e Romagna. Sul treno, dal ruvido tedesco che mi ha accolto a Bolzano, si passa ad un intercalare più morbido. Alcuni amici scandiscono la “s” ad ogni “soccia”, mentre parlano entusiasti della vacanza che hanno prenotato. Per anni sono stati fedeli alla costa adriatica, ma quest’estate, spinti dalla voglia di scoprire i panorami unici che l’Italia ha da offrire, hanno deciso di cambiare meta. Attraversano così gli appennini tosco-emiliani con lo sguardo fisso oltre il finestrino e un panino con la mortadella sempre in mano.

Dalle colline spuntano i primi cipressi. Dieci minuti dopo, il treno fa il suo ingresso a Santa Maria Novella. Firenze ha un fascino così potente che, soltanto guardandola, ti senti già tra le botteghe di Ponte Vecchio e i campanili delle chiese rinascimentali.
I passeggeri che salgono hanno, nella parlata, un particolare richiamo al passato. Usano termini desueti, connettivi che non si utilizzano più. Vengono da una terra nella quale, si dice, l’italiano abbia avuto origine. La terra dei grandi poeti dello Stil Novo: di Petrarca, Boccaccio e Dante.
Una coppia di anziani, bastone alla mano e capelli candidi che risaltano da lontano, è sul treno per la prima volta in quasi mezzo secolo di matrimonio. Ancorati da sempre alla tradizionale vita toscana, lui nato e cresciuto a Firenze, lei appartenente ad una delle contrade più famose di Siena. Come me sono diretti a Roma, la città eterna, dove l’uomo da giovane ha fatto il militare.
In poco più di un’ora, la sagoma appuntita del treno attraversa la Toscana per entrare nel Lazio. La destinazione si avvicina e i romani, fedeli alle proprie origini come pochi altri nella penisola, iniziano a fremere. “Roma capoccia der monno infame”, canta Venditti nelle cuffiette di una donna seduta due file oltre la mia.
La capitale, sopravvissuta ad oltre 2.700 anni di storia, è il capolinea di un treno che racchiude in sé tante facce dello stesso Paese. Prima Tiburtina, poi Termini. Quando le porte si aprono tutti scendono, sormontati da un cielo divenuto rosa con le ultime luci del tramonto. Il viaggio è stato lungo, cinque ore di percorso con accanto soltanto un sedile vuoto e un cartello rosso che intima di non sedersi.

Ora, però, tra un clacson suonato troppo forte e un “daje” urlato dalla strada, è come se ognuno si sentisse a casa. Da Roma, alcuni passeggeri prenderanno altre strade e si spingeranno a sud, magari tra le acque cristalline della Sicilia o la storia antica della Campania. Altri, invece, rimarranno lì, nella culla di un impero scomparso da tempo, ma ancora vivo tra gli archi e le volte del Colosseo.
Una sola cosa li accomuna. Sono uomini e donne che hanno scelto l’Italia come meta delle loro vacanze. Sarà il virus, il lockdown o la paura di ciò che possa trovarsi al di fuori dei confini, ma quest’anno un sentimento di forte appartenenza è sbocciato in ognuno di noi.
E così è ancora più bello sentirsi finalmente italiani.