In un pomeriggio di luglio dei primi anni ‘70, Francine de Saint Amand, un’avvenente canadese proprietaria di una galleria d’arte a Montreal, venne a Pantelleria nella mia casa di Cala Tramontana.
Appena arrivata, Francine decise di prendere un bagno di sole, per cui si spoglio’ e si distese sulla cupola del dammuso.
La mia casa e’ vicino al mare, al termine di una strada che scende lungo la collina retrostante, e così avvenne che pochi minuti dopo, un gruppo di giovani panteschi si appollaiasse sul muro di pietra che costeggia la strada per godersi il panorama inaspettato e gratuito di Francine nuda con sfondo mare.

“Rivestiti”, le gridai!
“Il corpo è mio e ne faccio quello che voglio”, mi rispose con una frase di battaglia delle femministe dell’epoca.
“Non dire fesserie” le dissi, “se uno di quei picciotti si emoziona e cade di sotto, verrà da noi a chiedere i danni”.
Questo argomento la convinse a rivestirsi, ma Francine mi sorprese quando mi chiese chi fosse il giovane con i capelli biondi che spiccava nel gruppo picciotti.
Sorrisi nel realizzare che Francine aveva non solo apprezzato il voyeurismo del gruppo, ma anche individuato una possibile preda.
” Lo chiamano Onassis” risposi.
“Perché’? E’ anche ricco?”.
“Al contrario” le dissi, “si racconta che andasse spesso a pranzo al Tikirriki, un bar ristorante di fronte al porto e che, al momento di pagare, se la filasse con disinvoltura, dicendo al cameriere di metter l’importo sul suo conto. Questo andazzo si ripete’ molte volte fino a che, un giorno, il padrone del locale sbottò inferocito che il suo conto aveva superato le centomila lire.
“Minchione” gli gridò ” Chi pensi di essere? Onassis?”
E così, da quel giorno, tutti lo chiamarono Onassis”.
Finì che Francine si incupisse del giovane “povero, ma bello” e lo seducesse focosamente in una notte di Maestrale.

Racconto questa storia perché, questa mattina, percorrendo in macchina la strada che sale a Tracino, per incontrare uno degli artisti dell’isola, ho visto Onassis che trafficava davanti al cancello di casa.
Ormai abbiamo entrambi i capelli bianchi (lui, più di me, per l’esattezza!) ma siamo ancora in grado di riconoscerci.
Fermo la macchina, scendo, e lo abbraccio.
“Ti ricordi Francine?”, gli chiedo.
Il suo volto si illumina con un grande sorriso, e mi chiede di attendere. Poco dopo ritorna con una cassetta di pomodori e zucchine locali di cui mi fa omaggio. È il suo tributo stagionale di riconoscenza per una memorabile notte d’amore di molti anni fa’.

Incasso il pizzo e continuo la mia strada per incontrare Gail Blacker, un’artista newyorkese a sua volta sedotta dall’isola più di 25 anni fa’.
Per quanto sia diventato amico di Gail solo da pochi anni, il caso vuole che durante la sua prima visita a Pantelleria nel lontano 1974, avesse abitato proprio a casa mia con amici comuni.
Gail compone mosaici raffinatissimi che appaiono quali nuvole sulle volte dei dammusi, tappeti che sembrano volteggiare sui pavimenti in cemento lucidato, o avvolgere gli spazi umidi di cucine e bagni.
Mi chiedo cosa abbia potuto spingere un’artista di successo come Gail a lasciare New York per Pantelleria, e lei mi risponde che è stata la sensazione di entrare in un mondo diverso, più semplice e più autentico.

Questa sensazione mi viene confermata da Angela, un’artista tedesca che vive sull’isola da circa 30 anni, e disegna libri per bambini.
“Saper sentire è un dono prezioso riservato alla persone sensibili, e vivere a Pantelleria acuisce tutti i sensi, ma soprattutto la mente ed il cuore”. Pantelleria è uno spazio a-temporale, racchiuso in una sfera sospesa tra il cielo e il mare.

Un’altra artista tedesca trapiantata sull’isola da 27 anni è Karin Eggers che progetta e costruisce (con le sue mani) sinuose strutture metalliche che mi ricordano i progetti Art Nouveau di Victor Horta a Bruxelles.
Le strutture di Karin vengono coperte con tele, foglie di palma o cannizzi per creare superbe zone d’ombra che si integrano perfettamente nelle architetture dei dammusi e delle terrazze pantesche.

La verità è che la magia di questo spazio a-temporale attira i creativi come il miele le mosche, e uno degli artisti che meglio ha inserito il suo lavoro nella storia e natura del luogo è Paolo Buggiani, uno straordinario pittore, scultore e “fire performer” che ha vissuto a New York per più di 20 anni, ed è stato, insieme a Keith Haring, uno dei pionieri della Street Art.
Paolo usa Pantelleria come background per i suoi animali meccanici e performances di fuoco. I suoi rettili cavalcano i muri di pietra e si arrampicano sui muri dei dammusi, mentre le sue performances col fuoco al Lago di Venere riflettono la genesi dell’isola e creano eventi memorabili.

“Quest’isola è speciale” afferma Paolo “un punto di incrocio di civiltà ricche e diverse che l’hanno plasmata durante i millenni”.
Gli ricordo che il fuoco è stato negli ultimi anni responsabile per la distruzione di centinaia di ettari di boschi e foreste dell’isola.
“Il responsabile di queste distruzioni non è il fuoco” risponde, “ma questi stramaledetti piromani estivi che distruggono la vita e le energie della terra per generazioni”.
“Io non sono un piromane” chiarisce ” ma un artista che, proprio perché conosce il fuoco meglio di altri, lo usa come gioco premonitore ed elemento primario del suo lavoro, offrendolo come rito propiziatore alle forze dell’universo”.
“Il fuoco è per me come un colore vivo che integra i miei dipinti di paesaggi e i ritratti”, aggiunge per illustrare meglio la funzione del fuoco nella sua ricerca artistica.

Vengo poi invitato ad un’altra delle sue performances nella Valle della Ghirlanda, nel contesto di uno stupendo scenario agricolo all’interno dell’isola.
Questa volta il suo fuoco sale verticalmente lungo una scala proiettata verso il cielo a raggiungere le nuvole.
È l’ora del tramonto e la scala incendiata sembra sospesa nell’aria, anche se agganciata al terreno dalla lunga ombra prodotta dalla luce radente.
Sono incantato dalla magia dell’evento e mi sembra di captare il raggio verde dell’ultimo sole che scompare.

La sera incontro Pinuccia, oggi casalinga in pensione che, nel 1969, fu testimone di un evento epico entrato a ragione a far parte della storia dell’isola.
Era il 20 luglio, il giorno dell’atterragio dell’Apollo sulla Luna e, allora, Pinuccia aveva diciassette anni e somigliava a Maria Grazia Cucinotta nel film “Il Postino”.
Quell’anno, Pinuccia lavorava come domestica da Enrico Cicogna, e Cicogna era il traduttore dell’edizione italiana di “Cent’Anni di Solitudine”.
Gabriel Garcia Marques era appena arrivato a Pantelleria, ed era ospite del suo traduttore nella casa di Tre Pietre.
“Quel giorno”, mi racconta Pinuccia “Io lavoravo in cucina, mentre Cicogna e Garcia Marquez commentavano sulla terrazza la notizia dell’atterraggio dell’Apollo. All’improvviso” prosegue Pinuccia mentre le si accendono gli occhi, “Garcia Marquez si voltò a guardarmi, consapevole che lo stavo osservando di nascosto e, dopo avermi spogliato con lo sguardo, mi sorrise. Poi, girandosi di nuovo verso Cicogna, gli disse: “Pantelleria e’ meglio della luna!”.
Ho qualche dubbio sull’interpretazione un po’ narcisista di Pinuccia, e penso piuttosto che la frase di “Gabo” riflettesse la sua constatazione che il paesaggio lunare di Pantelleria fosse un esempio vivente del realismo magico della sua Macondo.
Qualunque sia la giusta interpretazione, questa frase è rimasta famosa, e ha accresciuto enormemente l’orgoglio dei Panteschi.
(Segue)