Attraversando oggi la vetusta Etruria – la VII tra le undici regioni dell’Italia augustea, che comprendeva la Toscana, parte dell’Umbria fino al fiume Tevere, il Lazio fino a Roma e alcuni territori liguri – e scivolando senza fretta verso Sud, da Perugia a Roma, si va a toccare un itinerario di perle artistiche, che spaziano dall’età latina al Rinascimento, in un territorio di dimore imperiali, aristocratiche e papali. Facendo poi rotta verso la strada litoranea, tralasciando Napoli – troppa roba! – e concedendosi il tempo per la penisola sorrentino-amalfitana e l’elegante Salerno, si raggiunge la Lucania, con approdo a Maratea, ardita sfidante di Rio de Janeiro col suo monumentale Cristo Redentore. Mezzo ideale, la moto, per sgusciare tra eventuali rallentamenti e godere al massimo dell’esperienza on the road; ma va bene anche l’auto: importante è dimenticare l’autostrada. Le vie alternative non sono intasate (a parte, inevitabilmente e soprattutto d’estate, quella che circumnaviga la penisola sorrentina).

Clitumnus genius loci – Incantevole prima tappa, a poco più di 50 km. da Perugia, le fonti del Clitunno sono perfetto esempio di genius loci, ovvero personificazione, divinizzazione di un luogo naturale: qui il fiume Clitumnus fu dai Romani assimilato a Giove, venerato nel tempietto adiacente, distrutto in epoca imperiale e ricostruito in epoca longobarda, in parte con i materiali originali. Presso le sorgenti è stato realizzato un parco nel 1852 e creato un laghetto artificiale: la pace qui ci riaffianca idealmente ai nostri avi, respirando davvero la bellezza e capendo il significato di quel genius loci: non concetto pagano, ma naturale armonia cosmica.
Adriana, Gregoriana, Estense: le magnifiche di Tivoli – A circa 150 km., direzione Roma, ecco Tivoli, l’antica Tibur, Tibur superbum per Virgilio (Eneide, Lib. VII) e ancora oggi nello stemma cittadino; si vanta di essere più antica di Roma, fondata dai Siculi sulla riva sinistra dell’Aniene e confluenza di popolazioni diverse (soprattutto Sabini e Latini), come testimonia il grande santuario di Ercole vincitore (II sec. a.C., restaurato dal giugno 2011), eroe divinizzato di origine greca, protettore dei commerci e dei luoghi in cui si svolgevano, eretto su un più antico luogo di culto, comune a popolazioni che si incontravano per mercanteggiare. Tivoli romana divenne sede di molte ville v.i.p.: quelle oggi identificate sono attribuite al poeta Orazio, ai facoltosi Publio Quintilio Varo e Caio Cassio, al console Manlio Vopisco, al giurista Marco Bruto, a Cinthya, donna del poeta Properzio. Augusto vi soggiornò ed amministrò la giustizia sotto i portici del santuario di Ercole e Adriano, nel II sec. d.C., sublimò la tendenza realizzando il complesso residenziale più imponente mai appartenuto ad un imperatore romano, estendendosi su almeno 120 ettari, di cui attualmente circa 40 sono visitabili, lasciando a bocca aperta per la magnificenza degli edifici, la maestosità, che, nonostante crolli e secoli, è impressionante. Quando si pensa di aver concluso, ecco che dietro un muro si apre un’altra distesa di ulivi e un altro isolato di villa: la dimora privata di Adriano non è che una goccia nel mare, da cui emergono caserme, terme, teatri (tra cui il suggestivo Teatro marittimo), padiglioni e giardini, ninfei, biblioteche, nonché l’area dedicata alla sepoltura del prediletto Antinoo, l’armonioso tempio di Venere e una sorprendente rete di percorsi sotterranei, riservati al personale di servizio.

Ispirandosi proprio a villa Adriana, l’estroso architetto e pittore Pirro Ligorio ideò il progetto per Villa d’Este, in particolare per il suo incredibile parco, fatto di terrazzamenti lussureggianti, che evocano i giardini pensili di Babilonia, sfruttando la morfologia del luogo e innestandovi soluzioni idrauliche di ardita ingegneria. Voluta dal Cardinale Ippolito II d’Este, governatore di Tivoli e figlio di Lucrezia Borgia, divenne un modello del manierismo e del barocco per i giardini europei; Ligorio, con il collega esecutore Galvani, si mise all’opera dopo il 1560, per lavori durati all’incirca 20 anni, che incontrarono non pochi ostacoli, brillantemente superati: l’acqua che zampilla dalle numerose fontane viene presa direttamente dal fiume Aniene, attraverso un canale sotterraneo lungo 600 metri. Il sito copre 4 ettari, la villa ospitò spesso, tra il 1867 e il 1882, il musicista Franz Liszt, che qui compose “Giochi d’acqua a Villa d’Este”. Da pochi mesi villa Adriana e villa d’Este – patrimonio Unesco – hanno un nuovo direttore, Andrea Bruciati, storico dell’arte che ha all’attivo numerosi progetti curatori ali e si è molto distinto come attivo promotore dell’arte contemporanea. Quale sarà la struttura del progetto culturale a Tivoli? «C’è la volontà – risponde Bruciati – di creare un unico organismo gestionale, di coordinare i due siti monumentali attraverso una sola piattaforma, per valorizzare con equilibrio, senza spreco di risorse, ma con intelligenza e lungimiranza».

Terza, romanticissima tappa nella capitale delle ville è il Parco di villa Gregoriana, intitolato a papa Gregorio XVI, che lo inaugurò nel 1835: qui cascate e cascatelle, sentieri tra boschi e rovine romane creano uno scenario unico, che guarda dall’alto verso la campagna romana. Nel novembre 1826 il fiume Aniene esondò, per le piogge torrenziali, e causò gravi danni; già in epoca romana il rischio idrogeologico era stato compreso, tanto che erano state create almeno tre chiuse, a cui se ne aggiunse una nel 1489, che resse fino a quel novembre. La deviazione del fiume fu vista soluzione finale, modificando radicalmente il paesaggio con una nuova cascata di notevole impatto – 120 metri – e la scomparsa delle numerose cascatelle che sgorgavano dalle cavità del terreno. All’opera idraulica si accompagnò la sistemazione di tutto il comprensorio e la nascita del parco, che offre meraviglie archeologiche come la citata villa di Manlio Vopisco, il circolare tempio di Vesta, II sec. a.C., dedicato alla dea del focolare domestico, o il coevo, rettangolare tempio della Sibilla: luoghi dove la storia si fonde col mito. Ora il Parco di villa Gregoriana è sotto tutela del FAI, che lo ha salvato da una situazione di pesante degrado avviatasi dopo la seconda guerra mondiale.

Vestali, Sibille… e una regina – Vesta, derivazione dell’Estia greca, ebbe il suo primo tempio a Roma, presso il foro, eretto – dicitur – da Numa Pompilio, il successore di Romolo: di contenute dimensioni, rotondo, sul suo tetto ardeva la fiamma sacra, alla cui perpetua vitalità attendevano le vergini Vestali; lo spegnimento era considerato segno di sventura e guai alla sacerdotessa colpevole! Tra le Sibille, vergini dotate di capacità profetiche, i cui oracoli erano trascritti in libri, ve ne era anche una venerata a Tivoli, appunto nel tempio dedicato, la Sibilla Albunea o Tiburtina; si narra, infatti, che nell’Aniene fu trovata una statua che la raffigurava con un libro in mano. I libri sibillini erano le raccolte oracolari su eventi storici futuri; alla Sibilla Tiburtina è attribuito un vaticinio speciale, l’avvento di Cristo, nonché la caduta dell’impero romano e l’Apocalisse, con la lotta fra Anticristo e arcangelo Michele e susseguente Giudizio universale.
Altra figura femminile legata a Tivoli è Zenobia, regina di Palmira, vinta dai Romani e, legata con catene d’oro, esibita come trofeo a Roma durante le celebrazioni per il trionfo di Aureliano, nel 274. Del suo destino esistono versioni diverse: morì relativamente poco dopo, a circa 35 anni, per malattia o sciopero della fame o decapitazione, rifiutandosi di riconoscere Aureliano imperatore, e poi sarebbe stata sepolta nella villa Adriana; fu liberata dall’imperatore, colpito dalla sua bellezza e dignità, e le fu assegnata un’elegante dimora a Tibur, trascorrendo il resto della vita negli agi e come socievole matrona. Forse sposò un governatore e senatore romano, forse Marcello Petrus Nutenus, ed ebbe figlie e discendenti sopravvissuti fino al IV e V secolo. Il tempio nel palazzo – A mezz’oretta da Tivoli si raggiunge la spettacolare Palestrina, antica Preneste: costruita in posizione strategica sulle pendici del monte Ginestro, è dominata alla sommità dal santuario oracolare della Fortuna Primigenia risalente alla fine del II secolo a.C. e luogo di culto di epoca ancora più antica. Il tempio si articola in una serie di terrazze artificiali realizzate sul pendio; su quella detta “degli emicicli” si conserva un pozzo identificato con quello in cui, secondo Cicerone, il nobile prenestino Numerio Sufficio avrebbe rinvenuto le sorti, tavolette di legno da cui si traevano auspici per il futuro. Sulla terrazza superiore fu costruito, a metà XI sec., il palazzo Colonna Barberini, che oggi forma un unicum architettonico con la struttura preesistente. Salire all’acropoli percorrendo le ripide curve che solcano il paese è già di per sé un’esperienza: arrivare, dare le spalle – con soggezione – al maestoso palazzo e perdere lo sguardo sull’orizzonte della valle è altra emozione. Un luogo stupendo.

A Palestrina si conserva fibula prenestina, una spilla in oro della metà del VII secolo a.C., recante un’incisione in latino arcaico, qui ritrovata e considerata il più antico documento scritto in lingua latina. L’iscrizione, trascritta in caratteri moderni, si legge MANIOS MED FHE FHAKED NVMASIOI e viene fatta corrispondere, in latino classico a MANIVS ME FECIT NVMERIO, Manio mi fece per Numerio. Pane e cultura, potrebbe essere un claim per promuovere l’Italia. Come primo piatto tipico qui, sono da assaggiare gli gnocchitti a cova de soreca, gnocchetti a coda di topo, cucina di eredità contadina, semplice pasta fatta con acqua e farina, condita con pancetta (l’amatriciana è cugina vicina) o saporito ragù di maiale. I misteri di Nemi – Satolli? Riprendiamo il viaggio e seguiamo le tracce di Numa Pompilio, che già abbiamo citato, per esplorare il lago di Nemi, di origine vulcanica, all’interno del Parco Regionale dei Castelli Romani. Nei pressi dell’acquedotto delle Mole, sulla riva est, sopra ai resti di un impianto termale c’è la leggendaria fonte della ninfa Egeria, consigliera (e amante) del secondo re di Roma; morto Numa, lo pianse talmente, che fu tramutata in sorgente dalla dea Diana. Per la cronaca, esiste un’altra analoga fonte all’interno del Parco Regionale dell’Appia Antica, nella valle della Caffarella, ove si trova il mausoleo di Cecilia Metella. Nella valle del lago si visita anche l’emissario artificiale, costruito nel V secolo a.C., cioè prima della dominazione romana: è un cunicolo lungo 1.635 metri e largo 80 cm, scavato nella roccia, che congiungeva lo specchio d’acqua a Vallericcia, oltre il cratere, col doppio scopo di mantenere costante il livello del lago e di irrigare la valle. Sulle pareti sono ancora visibili i segni lasciati dagli arcaici utensili di scavo degli operai, che lavorarono partendo da un capo e dall’altro e si incontrarono al centro con un minimo errore. Il tunnel da Vallericcia prosegue a cielo aperto fino ad Ardea, dove sfocia nel mare Tirreno; fu restaurato negli anni Venti per agevolare lo svuotamento del lago quando si recuperarono le due navi-palazzo di Caligola, trasportate poi nel dedicato Museo delle Navi romane, inaugurato nel 1940 e sventuratamente devastato da un incendio nel 1944, che distrusse i preziosi reperti.
La curiosa salita in discesa – Curiosità: al km. 11,600 della strada statale 218 che collega Ariccia, Rocca di Papa e Grottaferrata, lungo una salita rettilinea, pare che ogni oggetto lasciato libero sul suolo, invece di scendere, salga. Mera illusione ottica, che crea una salita in discesa!