La Sicilia, terra di vulcani, antiche civiltà, borghi di montagna, castelli, vasti agrumeti, vigneti, uliveti e distese di grano, è sempre stata una regione ricca in diverse culture, tradizioni culinarie e variegate realtà eno-gastronomiche. Un’incredibile unicità resa possibile dal suo passato, la sua storia e la sua posizione strategica nel Mar Mediterraneo. L’isola si è sempre prestata ad essere una meta ambita di conquista ed è stata parte integrante di alcune delle più grandi civiltà mai esistite.
Poco citata è ad esempio l’influenza ebraica per la preparazione delle frattaglie e delle verdure locali. Molto presente fu anche il contributo magrebino-berbero dovuto agli stretti rapporti presenti nel Canale di Sicilia, dove il cous cous preparato rigorosamente a mano, tra Pantelleria, San Vito Lo Capo, Mazara del Vallo e Trapani, fu considerato una particolarità dell’isola molto prima che diventasse di moda quello precotto che oggi giorno viene consumato in tutta l’Italia. Durante il Regno delle Due Sicilie, Napoli con la sua illustre tradizione culinaria diede un grandissimo apporto al melting pot, costruendo un rapporto particolare con Palermo. Tanti, poi, sono gli aspetti in comune con la cucina tradizionale genovese, come ad esempio il pesto trapanese o le panelle palermitane simili alla farinata. Similitudini dovute a situazioni storiche e geografiche che hanno condizionato gli scambi commerciali all’interno del Mar Mediterraneo, non a caso definito sin dai tempi dei romani “Mare Nostrum”.
D’altra parte già dall’antica Roma un prodotto di provenienza siciliana come il grano duro costituiva un alimento fondamentale per buona parte della penisola Italica. La Sicilia fu infatti il granaio d’Italia e il primo grande laboratorio della pasta, dove si sperimentavano nuove ricette e forme. A Genova nei secoli successivi sorgevano i primi grandi pastifici che proprio dalla Sicilia importavano grano e maestranze specializzate, dove in questa condizione di scambio anche i saperi gastronomici entrarono virtuosamente in un circuito fruttuoso per entrambe le terre.

Un grande ruolo in tutto questo lo ha avuto anche la fertilità del suolo, capace di consentire la localizzazione della coltivazione di molte piante. Così dai greci la Sicilia ha preso la vite e l’arte del vino, la coltivazione dell’ulivo e dell’orzo. Successivamente, anche grazie agli arabi in Sicilia, è stata possibile la coltivazione degli agrumi, in particolare arance, limoni, mandarini, oltre che la coltivazione di zucchero, riso, anice, cannella, zafferano e pistacchio, la cui coltivazione, cominciata nelle terre di Agrigento e Caltanissetta, è arrivata a Bronte in epoca relativamente recente.
È invece attorno al XVII secolo che l’arancia rossa entra nel panorama delle varietà conosciute, come risultato del combinarsi di particolarissime condizioni climatiche e di suolo supportate dalle competenze dei contadini isolani sviluppate nel corso dei secoli.
I siciliani hanno assorbito e fatto tesoro di tutte le ricchezze ricevute dai popoli con i quali sono venuti a contatto: stili di vita, arte, cultura e, soprattutto, tradizioni gastronomiche, definendo una cucina che si basa largamente su materie prime locali, fantasiosa negli abbinamenti e sapori, ma rimanendo comunque raffinata.