Nella piccola frazione di Custonaci, in provincia di Trapani, si trova un piccolo borgo siciliano chiamato Grotta del Mangiapane – che prende il nome dalla famiglia che lo costruì e lo abitò dal 1819 agli anni ’50 del Novecento. È una delle le più grandi della Sicilia e fa parte di un insediamento preistorico formato dalle nove grotte di Scurati, appartenenti alla Riserva Naturale di Monte Cofano.
Grazie a una campagna archeologica iniziata nel 1870 sono stati riportati alla luce pitture rupestri insieme a denti e ossa di animali che si trovavano all’interno della grotta, dimostrando che era abitata dall’uomo sin dal Paleolitico Superiore. Per chi volesse vederli, i reperti sono conservati ed esposti al museo Pepoli di Trapani, al museo Salinas di Palermo e al museo Etno-Antropologico di Parigi.
Il piccolo borgo ancora oggi visitabile è composto da piccole case appartenute alla famiglia omonima che si mimetizzano con i colori naturali della roccia in cui sembrano essere incastonate.
Oltre alle abitazioni vere e proprie si trovano ancora le botteghe, le stalle, il frantoio, un forno a legna e persino una piccola cappella. I nuclei familiari dei Mangiapane erano quattro e vivevano di pastorizia, artigianato e agricoltura. Passeggiando lungo il corridoio centrale all’interno della grotta, si possono osservare gli interni delle loro case, i letti, le culle dei neonati, scarpe, vestiti, oggetti per la toilette e anche una cucina con le stoviglie, tutti rigorosamente dell’epoca.
Questo luogo circondato da un bellissimo paesaggio da cui si può ammirare anche l’azzurro mare del Golfo di Erice, sembra cristallizzato nel passato e chi si ferma ad osservare può percepire che ha molto da raccontare.
Dopo avervi vissuto per 150 anni, in seguito all’evento della Seconda Guerra Mondiale, gli abitanti abbandonarono il villaggio che fu trasformato in una stalla dalla famiglia di Don Rosario Vanella, unico membro della famiglia Mangiapane ancora in vita, che nel 1982 avviò i lavori di pulizia e rivalutazione del sito riportandolo come era in origine. Grazie a questo intervento è oggi un museo etno-antropologico a cielo aperto che testimonia la cultura rurale della Sicilia del secolo scorso.
Per rimanere nel contesto della tradizione siciliana si possono assaporare nei dintorni, piatti tipici come le busiate al pesto trapanese, il cous cous al brodo di pesce, e la “vastedda” della valle del Belice, un formaggio tipico dal gusto delicato. Non mancano i dolci come le “cassatelle” e il cannolo di Dattilo a base di ricotta e arancia candita.