Dagli Stati Uniti a Roma, sono molti i turisti americani che in questa calda estate hanno scelto l’Italia. Non soltanto per i monumenti e i paesaggi iconici che hanno reso lo stivale famoso nel mondo, ma anche per il turismo esperienziale e i prodotti della gastronomia.
Quando si parla di cucina italiana, è evidente come sia impossibile non includere tecniche e pratiche sovrapposte o combinate in almeno due millenni di storia, con l’utilizzo di prodotti autoctoni (ma molte volte anche esotici arrivati da terre lontane) e coltivati in Italia per diventare parte integrante della sua tradizione.
Cucina che è dunque la sintesi di tante culture regionali, territoriali, di vallate e persino paesi rimasti isolati per secoli, che hanno potuto preservare tecniche di produzione peculiari nel settore dei formaggi, delle carni lavorate, dei cereali, legumi, delle erbe aromatiche e delle spezie .
In questo contesto, la capitale diventa quindi una delle più amate e invidiate realtà culinarie al mondo. Per molti turisti in arrivo dagli Stati Uniti, la capitale italiana viene considerata la città più attraente d’Italia per le ambite “vacanze romane”.
Il 2023 è per Roma l’anno dei record turistici (ancor più del 2019), con un boom di arrivi e soggiorni brevi. Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi, riferisce che nella città eterna l’occupazione delle camere è arrivata al 90%. È anche cresciuto il numero di alberghi 5 stelle, che attualmente in città sono 54, e che entro il 2026 supereranno quota 65.

Nelle vie della capitale, gli americani cercano il lusso ma anche l’autenticità, pronti a godersi tutto quello che Roma offre. In questi mesi sta prendendo grande quota un prodotto che arriva dalla campagna del Lazio, nella Sabina, dove si producono oli extra vergini d’oliva spesso usati ancora oggi per le fritture come si fa da secoli.
I piatti più ambiti della cucina romana sono senz’altro i primi. La pasta è sempre protagonista a attira i cittadini USA sopratutto con la “Santissima Trinità”: amatriciana, carbonara e cacio e pepe. Non va sottovalutata, per altro, la popolarità recuperata negli ultimi tempi dalla gricia, che a volte denominata l’amatriciana bianca. I veri amanti della cucina romana spiegano ai turisti come la gricia sia un piatto figlio della cacio e pepe, con aggiunta di guanciale, e padre dell’amatriciana, con aggiunta di salsa di pomodoro.
I luoghi migliori dove poter godere delle prelibatezze romane sono: la trattoria Felice a Testaccio, Checchino dal 1887, Osteria Fratelli Mori Agustarello, Trattoria Perilli e infine, nella suggestiva e graziosa Garbatella, la piccola trattoria Romana Dar Moschino.
E per quanto non goda di grande apprezzamento dagli americani, la pagliata (ovvero l’intestino tenue del vitellino da latte o del bue cucinata per condire i rigatoni) sta esercitando una forte attenzione nei turisti dell’est europeo e dell’estremo oriente, in particolare cinesi.

E se la pizza napoletana ha avuto il riconoscimento UNESCO, quella romana più sottile, più cotta e condita, sopratutto con funghi secchi pomodoro e mozzarella, continua a rimanere la più popolare in tutte le pizzerie e trattorie romane, continuando ad incontrare grande apprezzamento sopratutto da quando si presta più attenzione alla lievitazione ed alla qualità delle farine impiegate.
Figlia della tradizione romana è anche la pinza con i condimenti a crudo o cucinati, che sta guadagnando sempre più seguaci sopratutto nelle schiere dei naturisti e degli amanti di ingredienti combinati a piacere.
Non si possono di certo ignorare i fritti romani, che possono essere consumati come antipasti o come secondi. Da segnalare il filetto di baccalà pastellato, il fiore di zucca tradizione farcito con acciuga e formaggio filante, il supplì diffusissimo sopratutto nei quartieri popolari e considerato da molti il fritto più amato dai romani, che viene molti erroneamente considerato un piccolo arancino siciliano, ma che invece è semplicemente una piccola palla di riso condito con salsa di pomodoro e farcita con mozzarella filante.
I secondi piatti sono poi l’espressione di una cucina del popolo abituato ad utilizzare le parti di bestiame, vaccino o ovino, e le interiora come trippa, cuore, fegato, milza, cervello e lingua, che vengono chiamate quinto quarto intese come rimanenze o scarti del cibo usato dalla nobiltà romana. Tipicamente romana è anche la coda alla vaccinara, dove una semplice coda di bue viene cucinata e trasformata in prelibatezza.
Da non dimenticare la colazione al bar “alla romana”, che prevede il cappuccino accompagnato da un maritozzo con la panna o da un cornetto. La pasticceria Regoli è consigliata per entrare nel paradiso del maritozzo.