Lucca è una piccola città toscana sempre da scoprire, ricca di testimonianze storiche ed artistiche degne del miglior investigatore del “bello”. Alcuni giorni fa ne ho avuta l’ennesima riprova: una visita a Palazzo Mansi, organizzata dalla cooperativa “La Giunchiglia”- con la guida attenta ed avvincente di Edoardo Lencioni – ha svelato ciò che di meraviglioso ed intonso ancora si possa celare dietro ad un anonimo ed imperioso portone in legno. La storia di Lucca – fatta di molteplici realtà artigianali e commerciali – fonda le sue radici proprio nel suo antico ed operoso passato. I suoi palazzi magnificenti celati dietro insormontabili portoni – testimoniano meglio di tanti tomi – il carattere particolare dei lucchesi.
Non c’è nulla di ostentato, nulla di palese, nulla di facilmente intuibile, all’esterno, al di fuori. Palazzo Mansi è una vera chicca eccelsa, da scoprire, da percorrere passo a passo – in punta di piedi – con la consapevolezza vivida di trovarsi in un sogno ad occhi aperti. I Mansi non erano lucchesi, affatto. La loro origine era lontana: germanica, tant’è che il loro cognome originario era “Mainz” derivante dalla città tedesca d’origine.
I Mansi non erano neppure nobili; come spesso era costume in quei tempi – acquistarono a son di denari – il titolo nobiliare per uscire ad elevarsi socialmente ed essere maggiormente e più agevolmente introdotti nei ceti più alti. Ricchissimi commercianti, abilissimi proprietari terrieri, self made della propria fortuna economica e sociale decisero di dotarsi – secondo la prassi dell’epoca di un palazzo proprio e rappresentativo del loro status. Tutto ciò si svela – varcando quel portone.
Un tuffo nello sfarzo tipico e quotidiano di una tipica “Casa del Signore” lucchese: saloni affrescati fiabeschi, specchiere enormi, mobilia finemente intarsiate, arazzi preziosi e sete finemente lavorate secondo i dettami dell’epoca- il tutto ancora perfettamente intatto. Preziosissima e mirabolante è anche la pinacoteca di Palazzo Mansi, fra le cui opere prestigiose, spiccano anche quella di Luca Giordano, il suo meraviglioso “San Sebastiano”; opere del Vasari e del Pontormo.
A protezione di tutto ciò – ha spiegato la guida – finestre chiuse tutto l’anno ed illuminazione al minino per preservare i colori delle tele e dei manufatti originali. Le storie che aleggiano nel Palazzo sono tante, alcune ovviamente condite da gossip locali – tramandati nei secoli – e resi ancora più affascinanti dalle storture e dalla poca attinenza coi dati oggettivi storici.
Di certo si sa – ad esempio – che fu Ottavio Mansi ad acquistare un certo numero di piccole abitazioni limitrofe con lo scopo di creare un palazzo possente cittadino, Palazzo Mansi appunto, da regalare al figlio Carlo in occasione delle nozze “bene” con Eleonora dei Pepoli, giovane esponente dell’illustre casato dei Pepoli. Una abilissima operazione di marketing pubblicitario a conferma della propria potenza monetaria.
Documentato a Palazzo Mansi – anche il soggiorno del futuro sovrano di Danimarca Federico IV che durante un cerimoniale a Palazzo, s’invaghì (corrisposto) della bellissima Maddalena Trenta. Una storia d’amore contrastata dai poteri forti – entrambi erano promessi sposi ad altri e finita nel peggiore dei modi, per la sfortunata Maddalena: lei suora di clausura, lui sovrano di Danimarca. Ma l’intreccio fra la storia e la leggenda è assai complesso e frequente, soprattutto quando si favoleggia di storie d’amore. Più romanzata e gotica senza dubbio è la storia di Lucida Mansi.
Lucida Samminiati fu una bellissima e giovanissima donna lucchese che andò in sposa ad un già vetusto (per l’epoca) quarantenne: Gaspare di Nicolao Mansi. Ovviamente si trarrò di un matrimonio d’interesse: una bellezza giovanile offerta come pegno per una vita di agi e ricchezze ad un uomo facoltoso e di aspetto assai sgradevole: il ritratto dello sposo non mente. Nulla di sconvolgente per l’epoca.
Nihil novum sub sole – neppure per la nostra di epoca.La leggenda popolare però con Lucida non è stata clemente – facendo della ragazza – un quadro ben poco edificante e romantico. Si narra di una donna così ossessionata dall’esigenza di mantenere la propria bellezza – da offrire lussuriosa anche ai giovani amanti – a tal punto da stringere un patto maledetto col diavolo. Il diavolo apparsole dietro allo specchio – difatti le promise una bellezza inalterata per trenta anni – allo scadere dei quali avrebbe preso la sua anima. Inutile dire che Lucida accettò questa allettante proposta e che, per i trenta anni successivi, godette di questo privilegio. Ella sguazzò così fra centinaia di giovani amanti che poi sapientemente uccideva dopo ogni coito, facendoli sprofondare in una buia botola acuminata.
La fabula si conclude con l’ultimo capitolo: quello della fine del trentennio e la lotta disperata di Lucida che cerca di fermare invano le lancette dell’orologio nella Torre delle ore. Un tentativo inutile che si concluderà con la corsa in una carrozza infuocata verso la porta degli Inferi che – sempre secondo la leggenda- a Lucca si troverebbe nel lago dell’orto botanico. Per i miscredenti ed i più coraggiosi – o meno freddolosi – sarà possibile ancora oggi scorgere il bellissimo volto di Lucida che “nuota” la le acque, immergendo la testa nel laghetto.
Si racconta inoltre che – nelle notti di luna piena – sia possibile vedere il diavolo che scorrazza Lucida sulla carrozza infuocata. La ragazza ancora oggi – pentita della scelta fatta in nome della bellezza sempiterna – urlerebbe il suo dolore nel cielo lucchese.