Quando era bambino ci andava a giocare con suo fratello Alberto. Nel cimitero ebraico del Lido di Venezia potevano rincorrersi tra le lapidi quanto volevano, senza che nessuno li disturbasse. Non è quindi strano che molti anni dopo, quando ormai aveva circumnavigato tutto il mondo ed era tornato a vivere nella sua casa del Lido, il capitano Aldo Izzo si sia preso a cuore la sorte della parte antica del cimitero della sua infanzia.
Oggi è lui il guardiano di una delle pietre miliari del patrimonio culturale ebraico, il cimitero antico. Molti preferiscono definirlo angelo custode per la passione che dedica a mantenere in vita una delle prime testimonianze della comunità ebraica in laguna. “Non si può comprendere la storia degli ebrei a Venezia senza passare di qui – spiega il signor Izzo, classe 1930, con le chiavi del cimitero tra le mani – Ci sono così tante storie custodite in queste pietre che non si finisce mai di raccontarle”.
Nel 1984, quando Izzo lascia il timone per andare in pensione, il camposanto versa in uno stato di completo abbandono. La svolta avviene molti anni dopo, quando la comunità ebraica di New York sposa la causa, inviando un consistente finanziamento per restaurarlo. Dalla profanazione delle tombe per mano dei contestatori cattolici allo struggente fascino esercitato sui Romantici, il vecchio cimitero ebraico ha ancora oggi molto da raccontare.

Ben più di 500
Il 29 marzo 2016 si festeggiano i 500 anni del Ghetto di Venezia, ma la presenza degli ebrei in città risale a molti secoli prima, come testimonia l’antico cimitero, nato ufficialmente il 25 settembre del 1386. “Tracce della presenza degli ebrei a Venezia si trovano già nell’anno 1000 – spiega Izzo – Il 1516 è la data in cui il Senato veneziano stabilisce che gli ebrei debbano vivere tutti insieme in un quartiere che alla notte deve venir chiuso da due cancelli”. Il posto scelto è nel sestiere di Cannaregio, vicino a una fornace che fonde i metalli, da qui l’origine parola ghetto (da getto, pronunciato dagli ebrei tedeschi ghetto, ndr). “All’epoca gli ebrei potevano lavorare o come venditori di vestiti usati o come banchieri – prosegue il capitano – Siccome avevano a che fare con molti soldi ma erano privi di tutele, all’inizio per proteggersi anche loro preferirono chiudersi all’interno, ma poi la comunità crebbe e diventò sempre più difficile vivere tutti insieme in un posto così piccolo”. Il decreto non cambierà fino all’arrivo di Napoleone nel 1797, anno della caduta della Serenissima.
Oggi del cimitero è rimasto solo un lembo di terra da cui sembra fuoriuscire una fitta foresta di totem di pietra. Qui riposa il famoso rabbino Leone da Modena, deceduto nel 1648; la poetessa Sara Copio Sullam, deceduta nel 1641 e, infine, il dotto Elìa Levita, il primo a scrivere una grammatica ebraica, morto nel 1549. Il più antico defunto è “Samuele figlio di Sansone”, morto l’8 dicembre 1389, nell’anno ebraico 5150.

Le lapidi sono scolpite da bassorilievi che hanno attraversato i secoli. Alcuni rappresentano una professione: le due mani aperte appartengono ai sacerdoti, i pesci a chi pratica l’astrologia, la brocca con l’acqua a chi conduce le abluzioni. Altri la Bibbia: la corona è il sigillo che si pone sopra la Torah, la torre indica Dio come fortezza, la stella e il mare, la cabala. Qualcuno il significato del cognome di famiglia: la poetessa Copio lo scorpione, Sulliman la scala.
Qui non riposano solo ebrei veneziani. Molti spagnoli, per esempio, fuggirono dal crudele inquisitore Tomás de Torquemada per rifugiarsi a Venezia, come dimostrano le lapidi con il leone di Castiglia, l’elmo e i putti, in pieno stile barocco e ispanico.
L’area attuale, ubicata nella parte settentrionale dell’isola con ingresso sulla laguna, si estende per 3000 metri quadrati. All’interno ci sono 1.400 tombe, ma si calcola che quelle irrecuperabili che giacciono nel sottosuolo siano circa 12.000. Scavando nelle aree circostanti si continuano infatti a trovare lapidi, alcune spezzate, altre intatte. Una stratificazione che racconta le innumerevoli vicissitudini che i sepolti in questo luogo hanno dovuto subire prima di riposare in pace.

I soliti cristiani
Il primo documento che certifica la presenza degli ebrei a Venezia risale infatti all’anno 1234, quando il Doge Pietro Candiano I accetta la richiesta di molti ebrei tedeschi di venire a Venezia, ma solo a patto che si battezzino. Venti anni dopo, il più alto organo politico della Serenissima, il Maggior Consiglio, impone loro di andare a vivere a Mestre. Sono tempi duri per la comunità. Arrivare a Venezia in barca richiede ore e ore di fatica, spesso aggravate da condizioni climatiche poco favorevoli, come la nebbia.
È soltanto nel 1384, alla fine della Guerra di Chioggia, che gli ebrei vengono richiamati in città con uno scopo: fare i banchieri. I tre anni di battaglia contro i genovesi hanno infatti svuotato le casse della Repubblica di Venezia e c’è bisogno di rimettere in circolazione il denaro. “I cristiani non potevano farlo per legge – racconta Izzo, classe 1930 – ma nel Deuteronomio, nel capitolo 23 ai versi 20-21, c’è scritto che puoi prestare denaro di interesse allo straniero, ma non a tuo fratello”.

Questa volta gli ebrei tornano a Venezia per rimanerci e chiedono un luogo per seppellire i loro morti. Per non creare tensioni in città, nel 1386, dopo un accordo tra la comunità ebraica e la Magistratura della Repubblica di Venezia, viene affidata loro una parte di terra del Lido. All’epoca l’isola era un groviglio di erbe e arbusti, abitata dal 1043 soltanto dall’Ordine dei Benedettini, ancora oggi presenti nel Monastero di San Nicolò.
Sono proprio loro a rifiutare la decisione. Inferociti, indignati e arrabbiati, i monaci denunciano comunità e magistrati, perdendo però la causa. Il clima rimane infuocato tanto che, nei primi tempi, il cimitero è colpito da orripilanti atti vandalici, con molte probabilità compiuti dai contadini che coltivano i campi dei benedettini e da ragazzi allo sbando che vanno al monastero per una scodella di brodo.
Oltre a distruggere le lapidi, i resti dei cadaveri vengono disseminati ovunque. “Per noi ogni riesumazione è proibita – racconta Izzo – quindi oltre all’orrore dello scempio, c’era anche la disperazione di non lasciare i defunti nella posizione prevista, in attesa della Resurrezione. Nella Bibbia c’è scritto ‘sei uscito dal ventre di tua madre nudo e nudo vi ritorni’. Ancora oggi seppelliamo il corpo nudo, avvolto da un lenzuolo e sistemato in una bara che deve stare sempre sotto terra, mai sopra”.
Per fermare gli obbrobri, la comunità scrive alla Magistratura chiedendo di poter costruire un recinto attorno al cimitero. Il permesso viene subito concesso. A mano a mano che la comunità ebraica cresce, arricchendosi di ebrei stranieri che fuggono dagli editti cattolici per trovare rifugio a Venezia, la tensione con i benedettini diminuisce. Con il tempo saranno proprio i monaci a donare più terre ai nuovi concittadini.
Riposino in pace
I problemi però non sono finiti. Data la posizione vicina al mare, in tempi di guerra questa parte dell’isola si usa per difendere Venezia. È qui che si costruiscono fortini o accampamenti. Ogni volta le lapidi vengono spostate e riposizionate a vanvera, tanto che si chiede un posto nuovo che viene concesso nel 1774, a pochi metri di distanza, che ancora oggi è l’attuale cimitero ebraico.

Per quasi un secolo, il cimitero vecchio passa in secondo piano, fino a quando viene riscoperto dai Romantici, ritornando alla ribalta a metà Ottocento. Per Goethe, Percy Bysshe Shelley, Lord Byron, Théophile Gautier è un vero colpo di fulmine. Non c’è letterato o poeta che non aneli a passeggiare tra le lapidi ricoperte dalle radici degli alberi selvaggi, come ricordano i versi di Giovanni Prati.
“Prese i fanciulli e lentamente venne al Lido – recita Izzo, ricordando a memoria il passaggio sul cimitero dell’Edmenegarda, opera del 1842 ispirata a Ildegarda, nome della sorella del veneziano Daniele Manin, che tradiva il marito in questo luogo – nuda e desolata è quella terra e ironite pietre sparse all’intorno, non le onora un segno e non le guarda una croce, eppure stanno qua, custodi di una progenie estinta. Eternamente le percuote il vento, eternamente le flagella il mare a testimoniare che su quella cenere pesa la sentenza di Dio, ma guai all’uomo superbo che calpesta quelle pietre e ride”.
Salvataggio dall’estero
Presto iniziano a fiorire leggende sul misterioso luogo, come quella sullo spirito di Shylock che si aggira tra le lapidi, lamentandosi dello stato di abbandono del cimitero. Eppure nessuno se ne prende più cura fino a quando, a inizio Novecento, si scoprono le vacanze. Nascono gli hotel Excelsior e Des Bains e l’ospedale dell’isola diventa famoso per la talassoterapia. Le luci sono puntate sul Lido, perché non trasformare anche il cimitero ebraico in un’attrazione turistica? Si recuperano le lapidi ritrovate nelle aree circostanti e si piantano alla bell’e buona, senza seguire nessuna cronologia e togliendo qualche erbaccia.

Urge comunque un restauro. Se ne parlerà soltanto a fine anni Novanta, quando Regione e Comune versano un totale di 300 milioni di lire, non ancora sufficienti. Il finanziamento decisivo, 800 milioni, arriverà pochi anni dopo, tramite l’organizzazione no profit Save Venice che ha sede a New York, Boston e Venezia: “È stata una straordinaria esperienza – ricorda Melissa Conn, direttrice di Save Venice – Siamo stati coinvolti dal professore Cesare Vivante, allora parte del Comitato Scientifico della Comunità Ebraica, e da Aldo Izzo e ci siamo messi all’opera. Grazie alla Shauer Foundation di New York abbiamo trovato i soldi necessari per restaurare il cimitero”.
A pochi metri da quello vecchio e confinante con il cattolico, c’è il cimitero ebraico utilizzato oggi. All’ingresso, in una casetta, abita da 25 anni il custode, l’artista Artemio Tagliapietra, con i gatti Hansel e Gretel: “Questo è un bel posto dove stare – commenta con un sorriso – Prima o poi, tutti passano di qua…”.