Il Justine Project è condotto da navigati esperti di viaggi all’avventura. Tutto ebbe inizio nel 2007 quando alcuni amici ventenni decisero di partecipare al Mongol Rally con un macchina alquanto speciale. Hanno incominciato nell’era della cartina e ora proseguono nell’epoca del GPS e degli smartphone. Nell’arco di quasi dieci anni i giovani esploratori proseguono la loro avventura, visitando, con cautela, paesi anche tendenzialmente pericolosi.
Chi fa parte del Justine Project
C'è Subaru Justy (Justine), una ventottenne che è come un’automobile antropomorfa, proprio come il super maggiolino Herbie. “La macchina è straordinaria, ci sono cose che riesce a fare che neanche una Land Rover riuscirebbe a fare. Ha una vita, ha una personalità, ogni tanto ha degli acciacchi dati dall’età”, raccontano i ragazzi che si dividono l’amore e le attenzioni dell’unica donzella del gruppo.
C'è Alessio Puricelli (Co-Fondatore), che vive a Sydney e lavora nel marketing di Pirelli Tyre S.P.A.. Partecipò al primissimo viaggio del Justine Project, ideandolo con Andrew e coinvolgendo l’amico di vecchia data Benjamin. Era previsto anche Guglielmo, amico comune di Andrew (Andrea Brentae Alessio, ma non riuscì ad unirsi per il calcio d’inizio.
Dopo il percorso sulla via della seta, è con il secondo viaggio da Milano a Cape Town che si forma e consolida il trio di Jules Verne contemporanei, composto da Randy, Gaz Fontaine e Benja Cream.
Andrew Andrea Brenta (Randy il Diplomatico), di origini italiane ma nato a New York (città in cui vive a lavora come broker alla Vivaldi Real Estate), è colui che ha reso il Justine Project possibile. Sua nonna è la proprietaria della Subaru Justy. La signora Elena – detta Ninnola – non si perde neanche un viaggio, visto che l’adesivo che la ritrae è applicato sulla vettura, tuttavia teme di essere arrestata ed espatriata dato che la macchina è ancora a suo nome. Ma il nipote rassicura l’ottuagenaria: “alla sua età nessuno penserebbe ad estradarla.” L’ottimismo di Andrew è un ingrediente provvidenziale durante i momenti di difficoltà lungo il viaggio: “c’è sempre una soluzione a tutto”, secondo lui, e a lui viene affidato il ruolo diplomatico, quando è necessario interagire con gli uffici doganali.
Guglielmo Fontana-Rava (Gaz, il Navigatore) fino all’anno scorso ha lavorato in Yamaha come product planner, sviluppando nuovi ciclomotori e motociclette per il mercato europeo, vivendo tra Olanda e Italia. Adesso sta avviando una sua attività legata al mondo dei motori, influenzato proprio dal Justine Project: gare d’avventura multidisciplinari, non solo con mezzi a motore, ma anche con barche a vela. Considerato il suo expertise, durante i viaggi in Justine lui sa sempre quale percorso renderà l’avventura memorabile.
Benjamin Cremante (Benja il Meccanico) ha lavorato nel settore delle energie rinnovabili come consulente, sviluppando progetti d’energia solare. È un uomo dalle tante passioni, che lo hanno ispirato ad avviare altre attività in ambito sportivo, come il kitesurfing o rendere abitabile un Volkswagen Transporter, equipaggiandolo con letto, doccia e tutto il necessario per qualsiasi evenienza. Lui è quello che ha più padronanza del mezzo, motivo per cui lavora a stretto contatto con i meccanici nel momento in cui c’è da mettere mano su Justine.
Il tre ragazzi raccontano che questo progetto ha cambiato la loro vita: “Cerchiamo di vivere all’avventura tutti i giorni”, dicono, e per questo hanno scelto percorsi professionali che danno loro la libertà di poter prendere e partire.
In valigia
Zaino in spalla, equipaggiamento da campeggio, qualche ricambio essenziale, sia per l’abbigliamento sia per il motore della macchina, è tutto ciò di cui ha bisogno il Trio Justine. Quando si parte la preparazione è basilare: documenti in regola, spedizioni risolte, un bagaglio essenziale, un kit di primo soccorso sia per i ragazzi sia per “la ragazza” e una vaga idea sulla destinazione. “Devi sempre tenere la mente aperta, perché poi l’itinerario cambia. Vai in posti che non erano previsti e ne scarti altri che avevi pensato di visitare. Tutto è da scoprire!”, raccontano. Altra parte essenziale del bagaglio sono le taniche di benzina, soprattutto quando si percorrono luoghi in cui le stazioni di servizio sono poche o nei casi in cui ci si imbatta in quelle a corto di carburante. A volte si dorme in tenda, a volte in un albergo lungo la strada, quando non si fanno le notturne in macchina, a seconda della tabellina di marcia e del luogo in cui si trovano. Il Risiko non manca mai per ingannare i tempi morti, tra dogane, manutenzione di Justine dai meccanici locali, spostamenti in barca, pullman e aereo. Lo spirito esplorativo ingegna il Trio Justine alla creatività, anche con semplici stratagemmi, come le divertenti fughe prospettiche per gli scatti fotografici o l’utilizzo di una torcia frontale per immortalare nell’aria l’epico progetto, grazie a dei giochi di luce.
Le tappe
Il più recente itinerario del Justine Project ha abbracciato quattro paesi: Uruguay, Argentina, Cile, Bolivia. Partenza a Montevideo per proseguire verso Río Gallegos, Ushuaia, passando per la costa Atlantica lungo la Ruta 40, attraversando Torres del Paine, El Calafate, il ghiacciaio di Perito Moreno, San Carlos de Bariloche, Villa La Angostura. In Cile sono stati travolti dalla magnificenza delle Ande (dove c’è il vulcano Osorno, la provincia di Talca, il porto di Valparaíso) e sono poi rientrati in Argentina. Il passaggio per il Paseo de Cristo Redentor sotto Aconcagua ha avuto come tappe Mendoza, la provincia di Rioja, San Antonio de los Cobres, Paseo al Paso Sico, con un’altra deviazione cilena a San Pedro de Atacama. L’ultimo paese del viaggio è stata la Bolivia con il Parque Nacional del Sur: Uyuni, Potosí, Cochabamba. Questa è stata un’avventura durata all’incirca due mesi, dove Justine ha festeggiato un compleanno importante: 100.000 chilometri.
Odissea a quattro ruote
Justine oltre a poter vantare di essere una donna di mondo, annovera tra le sue esperienze di vita un rapimento, avvenuto nella tappa finale del viaggio precedente: Cape Town. Il giorno prima della spedizione per il Sud America il meccanico che doveva aggiustarla è sparito con la sventurata. Dopo una denuncia alla polizia e diverse peripezie Justine è stata ritrovata; il furfante, definito dai ragazzi “alla Breaking Bad,” si era intanto dato alla macchia. Arriva finalmente il momento di ricongiungere il quartetto a Montevideo. Guglielmo arriva prima degli altri, per seguire il Rally Dakar e trovare ispirazione per la sua nuova attività. Quando è raggiunto da Andrew e Guglielmo, i tre ragazzi vivono con trepidazione la consegna di Justine che, come una vera diva, arriva con una settimana di ritardo. Ma il rendez-vous che doveva essere un momento di tripudio è demoralizzante. Dopo tre anni che i ragazzi non vedevano la loro pupa a quattro ruote, vedono il container aprirsi, mostrando una creatura deturpata dal suo sequestratore che aveva smontato diverse componenti per rivenderle. Si perdono così altre due settimane per la rimessa a nuovo del veicolo. Il lavoro è talmente intenso che sulla fattura il meccanico anziché elencare tutte le riparazioni scrive “resurrezione”.
“È stato un momento molto complicato, molto buio, non che volessimo rinunciare al viaggio, non siamo persone che si rassegnano, tuttavia non è stato facile”.
Italia all’estero
Gran parte della comunità sudamericana ha origini italiane che vengono continuamente glorificate: “Quando vai all’estero si scatena una fortissima nostalgia per l’Italia. Tutti i sudamericani hanno una visione romantica e l’amore che hanno per il loro paese di origine talvolta sembra essere più forte del patriottismo degli italiani di oggi,” spiegano i ragazzi. Infatti l’orgoglio delle vestigia artistiche italiane e ciò che Gas, Benja e Randy hanno riscontrato maggiormente viaggiando in Sud America. Senza tralasciare le simpatiche analogie proverbiali tra paesi, che hanno notato quando si sono imbattuti in una scritta sul muro “Vivan las mujeres peludas”, che sarebbe l’equivalente di “donna baffuta sempre piaciuta.”
L'immancabile Inno
Anche i Justine Boys esprimono in ogni loro trasferta l’orgoglio d’appartenenza, portano alto lo stendardo dell’Italia in ciascun viaggio, anche in senso allegorico. Una bandiera italiana viene lasciata nel punto più lontano di ciascun itinerario, dopo aver cantato a squarciagola l’Inno di Mameli, con tanto d’introduzione musicale. La loro ultima cerimonia alla bandiera è stata “alla fine del mondo”, a Ushuaia, nella Terra del Fuoco a 18.000 chilometri dall’Alaska. Durante questo viaggio c’è stata un’implementazione al loro rito: da bravi marinai di terra, Andrew, Guglielmo e Benjamin hanno viaggiato con la bandiera del paese ospitante affissa alla macchina, proprio come nella tradizione nautica.
Il legame Italia-Argentina
L’Argentina è un paese enorme, ma con una popolazione inferiore all’Italia che vive solo al nord. La Patagonia copre più della metà del paese ed è meno abitata della Siberia: è il luogo più inabitato al mondo. “Non c’è turismo, è il Far West” – raccontano i ragazzi – è una terra molto arida, con tanti Canyon, ma anche con i ghiacciai. La natura e i paesaggi sono spettacolari. Qualsiasi zona potrebbe essere parco nazionale nel resto del mondo; c’è tanta bellezza in natura e nell’essere umano. Le persone argentine sono meravigliose. Considerata la discendenza italiana in Argentina, se dici di essere italiano l’accoglienza è fastosa”.
Parenti ritrovati
A volte andando dall’altra parte del mondo non solo emergono affinità tra diverse culture, ma i sei gradi di separazione vengono anche annichiliti dalla rivelazione di lontane parentele transoceaniche. È il caso di Andrew che ha scoperto di avere dei lontani cugini uruguaiani. Qualche anno fa l’altra nonna di Andrew – Maria Luisa, detta Dida – ha ricevuto una mail da una signora dell’Uruguay che aveva ricostruito il legame di parentela perché stava facendo degli studi genealogici per la cittadinanza italiana. È incominciato così un rapporto epistolare tra le anziane signore, dove la sudamericana raccontava la storia della sua famiglia, che aveva lasciato il Bel Paese prima che fosse effettivamente Italia, ovvero nel 1820, ben prima dell’unità. L’antenato comune risale a sei generazioni fa, quando i quattro fratelli si sono recati per lavoro in Uruguay e le quattro sorelle si sono sposate con uomini del nord Italia. Andrew ha colto l’occasione per incontrare la sua famiglia uruguaiana e ha riscontrato che in quella parte di mondo le riunioni familiari, attorno al barbecue, sono molto affollate, perché ogni nucleo familiare ha almeno otto figli. Quando è arrivato il “primo” (cugino) italiano, la commozione è stata intensa, e la picada di asado in famiglia un’esperienza che nessun ristorante è riuscito ad eguagliare.
Alterego sudamericani
Se è vero che tutto il mondo è paese, e come recita la filastrocca “it’s a small world after all”, Guglielmo, Andrew e Benjamin ne hanno avuto la riprova trovando i loro doppelgänger di avventure nel mondo. La cugina ritrovata di Andrew ha presentato il team Justine a dei suoi amici che stavano facendo il giro del globo on the road a bordo di una vecchia macchina di famiglia: una due cavalli Citroën Méhari decappottabile. Il patriarca di casa, in seguito ad un incidente in auto, iniziò a sistemare la sua vecchia Citroën. Ormai cinquantenne divorziato, sopravvissuto alla morte, venne colpito dal tarlo del viaggio. Lasciò il lavoro, che gli permetteva una vita di grande agio, e partì. I figli inizialmente furono ricalcitranti, infatti l’uomo viaggiò da solo dall’Uruguay al Canada. Poi spedì la macchina in Europa e proseguì dalla Spagna all’Italia, luogo in cui i figli lo attendevano per fargli una sorpresa e unirsi alla sua impresa. Proseguirono assieme il giro del mondo nell’arco di quattro anni, realizzando il documentario A 60 Kmh, attualmente conteso da diversi film festival.
Incontri inconsueti
Indubbiamente Randy, Gaz Fontaine e Benja Cream hanno avuto un’esperienza umana indimenticabile con gli autoctoni. Ma anche quella con il mondo animale è stata molto significativa. I lama, definiti dai ragazzi come “pecore con delle facce da cammello e con il carattere dei daini,” erano alquanto timorosi nell’interagire con i bipedi. Ma solo in principio. Infatti quando i Justine Boys si fermano al confine tra l’Argentina e il Cile per fotografare i buffi animali, un unico lama temerario corre verso di loro festoso, facendo accorrere i ragazzi in macchina. Il lama non demorde ed infila la testa nell’auto per socializzare. I ragazzi iniziano a familiarizzare con il simpatico camelide e lo battezzano Pasquale, come tributo ad un altro lama incontrato in Argentina, tenuto al guinzaglio da un bambino chiamato Ernesto, che aveva chiamato il suo pet Pasquale.
Donne all’avventura
“Checché se ne possa pensare il Sud America è molto sicuro. Magari le ragazze dovrebbero evitare alcuni luoghi nelle grandi città, alcuni quartieri delle capitali. Ma nei paesi e nelle città più piccole la gente è molto ospitale”, spiegano Benja, Gas e Randy. Alla domanda se a loro avviso questa modalità di viaggio potrebbe addirsi al gentil sesso rispondono: “La macchina puzza, non riusciamo sempre a lavarci e attraversiamo i deserti, fisicamente può essere faticoso quando guidiamo di notte, ma le ragazze sono toste”. Infatti ne hanno incontrate lungo il loro cammino di donzelle esploratrici, come dal Cile alla Bolivia, a 5000 metri, dove tra gli otto ciclisti brasiliani che stavano facendo il giro del mondo c’era una donna; o le tre studentesse argentine, che dopo l’università sono partite zaino in spalla. “Ragazze ventiquattrenni curate e graziose, che potevano sembrare dei pesci fuor d’acqua”, raccontano i Justine Boys, che ammettono di aver rivisto in quello delle tre ragazze il loro esordio di esploratori neofiti alle prese con l’inesperienza.
Esperienze ai confini della morte
“Ci sono momenti in cui temi per la tua vita”, raccontano i ragazzi. È accaduto nei loro viaggi precedenti, quando si sono confrontati con forze dell’ordine corrotte e sono finiti dietro le sbarre o come quando hanno assistito alla morte in diretta, mentre percorrevano in barca il lago Nasser, tra l’Egitto e il Sudan, e una persona è caduta in acqua ed è affogata. In quest’ultimo viaggio rimarcano la grande solidarietà da parte dei locali, ma non è mancato il momento NDE (Near Death Experience), a causa dei danni arrecati alla Justine durante il suo rapimento. Infatti la ruota posteriore sinistra durante tutto il tragitto sudamericano ha più volte manifestato di non essere in ottima salute. Questo malessere è culminato quando a Potosí, tornando dalle Terme Naturali a più di 4.000 metri, i ragazzi sono stati presi alla sprovvista da un rumore improvviso. La vettura ha grattato sull’asfalto e sbandato, con il guidatore (Guglielmo in quel caso) che cercava di frenare e il mezzo che non rispondeva. Quando Gas è riuscito finalmente ad accostare, i tre ragazzi hanno visto una delle loro ruote superarli. Proprio quando hanno realizzato di averla scampata, hanno visto gomma e cerchio rotolare lungo l’altra corsia, andando in rotta di collisione verso altre due macchine, che fortunatamente sono riuscite ad evitare l’impatto. Un viaggio iniziato e concluso in maniera adrenalinica, insomma.
Quando si riparte?
Attualmente Justine attende i suoi ragazzi a Bogotà, affidata al compagno d’università di Benja, Jorge di Cochabamba, che fa l’agente immobiliare ed è “una sorta di sindaco” della zona, conosce tutti ed è molto stimato. Insomma la macchina sarà in ottime mani, contrariamente alla sua ultima tappa di stazionamento. Gaz Fontaine, Benja Cream e Randy la rivedranno nel 2016 per completare l’itinerario sudamericano, tra Bolivia, Brasile, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela e Panama, dove Andrew ha gli zii (questa volta di primo grado). Dopodiché, le prossime destinazioni saranno dal Sud al Nord America, l’Australia (che vedrà tutta la squadra riunita con il ritorno di Alessio), il Sud Est Asiatico, per poi poi proseguire dall’India a Milano.
I ragazzi del Justine Project non solo hanno una schiera di fan che li segue sui social media, ma sono anche fonte d’ispirazione cinematografica. Recentemente sono stati contattati da un filmmaker, che ispiratosi alla loro storia ha scritto una sceneggiatura dove il protagonista prima di sposarsi va dall’amata macchina – chiamata Justine – per darle l’addio prima del matrimonio. Loro invece non si sono mai trovati di fronte a questa scelta, avendo sempre avuto il pieno sostegno di fidanzate, mamme…e nonne, che supportano le loro imprese con un intenso tamtam telematico che riscuote un successo al di fuori del tempo. Questi Magellani dell’era digitale coniugano passato e presente, attraverso un veicolo vintage, un intrepido desiderio d’avventura e la condivisione virtuale che potrà essere fonte d’ispirazione ad altri viaggiatori.