L’Occidente ha grosse colpe nei confronti della Germania. Furono Francia e Gran Bretagna a scatenare la Prima Guerra Mondiale, non viceversa. La quale Grande Guerra preparò poi la Seconda Guerra Mondiale che sappiamo come andò a finire dopo che la Germania nazionalsocialista aveva sterminato milioni di ebrei e dopo che gli Stati Uniti avevano per primi fatto ricorso all’Atomica, stroncando così un Giappone già ridotto allo stremo.
La fine dell’ultimo conflitto mondiale vinto dagli Alleati e dall’Unione Sovietica che, così, debellarono, oltre al Giappone, le Potenze dell’Asse (Roma e Berlino); sancì quindi la divisione della Germania in due Stati: la Germania Federale a ovest, la Repubblica Democratica Tedesca a est, una nazione, questa, comunista sotto il controllo dell’Unione Sovietica. Berlino stessa fu divisa in due settori: americani, inglesi, francesi in quello occidentale; il regime di Pankow in quello orientale. Fu la Berlino troncata in due dal Muro fatto erigere nell’agosto del 1961 dal “gauleiter” tedesco dei sovietici, Ulbricht, nel tentativo di fermare l’esodo di cittadini della DDR verso Berlino Ovest e verso il resto della Germania Federale.
Capitale della Germania autenticamente democratica, a quell’epoca era una cittadina della quale fino ad allora non s’era quasi sentito parlare: Bonn, nel cuore della Germania Occidentale. Ma da oltre vent’anni a questa parte, Berlino è di nuovo la capitale della Germania, della Germania riunificata sotto la guida del Cancelliere Kohl. Non c’è tuttavia bisogno che questo ce lo confermino atti istituzionali o la presenza stessa del Bundestag. Che Berlino sia ancora una volta capitale tedesca lo si sente nell’aria… Lo si nota nelle opere pubbliche che si vanno realizzando, nel crescente riammodernamento di quartieri della vecchia Berlino Est, nella perfetta manutenzione generale che va dai mezzi di trasporto pubblici alla rete idrica, alle scuole, agli ospedali – e questo, senza che il Fisco prenda per la gola i cittadini.
Berlino è fiera della riacquisizione del suo antico status. Berlino è ansiosa di bruciare altre tappe e di bruciarne altre ancora. Ma, pur conscia del suo antico spessore, si meraviglia del credito che riceve da parte delle moltitudini di giovani stranieri che vi affluiscono in cerca di lavoro, rispetto, comprensione. Giovani che arrivano a ritmo ininterrotto da Italia, Spagna, Grecia, Russia, Polonia, Brasile, Argentina, Egitto, Siria, Algeria, Tunisia, Nigeria, Camerun, Ghana, India, Vietnam, Thailandia. Ma ne arrivano anche dalla Gran Bretagna, dalla Repubblica d’Irlanda, dall’Australia, perfino dagli Stati Uniti d’America: giorni fa abbiamo conosciuto un Leyland, 35 anni, nato e cresciuto a New York, il quale nei mesi scorsi, e dopo vari anni di residenza sul suolo tedesco, ha chiesto e ottenuto la cittadinanza tedesca: diseredato seduta stante da nonni e genitori… Ma a lui questo non importa affatto: gli importa seguire la spinta del proprio spirito.
La generazione perduta
Eccola, quindi, la nuova “generazione perduta” che, a differenza di Hemingway e compagnia bella, ha scelto Berlino e non Parigi. Ha voluto, e vuole, abbracciare la capitale, aperta e dinamica, che si proietta nel futuro e vi si proietta nello slancio di “sempre”. Ai posteri il ruolo di testimoni di quest’altra “Drang Nach”… (“Spinta verso”… Un tempo verso le terre slave: “Drang Nach Osten”), probabilmente incruenta, a differenza di quelle del ’14 e del ’39, ma nondimeno spettacolare, condotta a fondo.
Ed ecco le belle, audaci menti italiane, greche, spagnole, africane le quali in patria più non sopportavano d’assistere allo sterile scorrimento della propria esistenza. Ecco ricercatori e ricercatrici scientifiche apprezzate e ben remunerate dagli “Unni”; ecco imprenditori, liberi professionisti e professioniste, artisti e artiste, addetti e addette ai servizi turistici che nella società berlinese trovano appunto la giusta ricompensa morale e materiale. Di qui non se ne andrebbero nemmeno sotto le cannonate… A tutti loro le autorità altro non chiedono che stare alle regole: se stai alle regole, verrai tutelato e aiutato; se non vi stai, il rimpatrio è immediato, come può esserlo anche la galera…
Rigidità teutonica
Tedeschi rigidi e irragionevoli?? Non lo sono i berlinesi. Un esempio, uno solo: un paio di anni fa, mia figlia Lavinia, da poco trasferitasi a Berlino, dovendo ottenere la residenza in loco, si presentò a un funzionario comunale coi documenti i quali provavano che lei era proprietaria dell’appartamentino compratole dalla mamma. Però, i documenti necessari non erano proprio quelli che s’aspettava il dipendente del Borgomastro… Lavinia cominciò a tremare… Sfiorò il panico… Ma a un tratto, il servitore del Municipio le disse: “Se mi dici d’essere proprietaria dell’immobile in questione, io ti credo: vai libera e tranquilla”. E le porse il certificato di residenza!
Disordini razziali, questi sconosciuti
Non avvengono disordini razziali a Berlino, benchè sia nutrita la presenza di africani, nordafricani, indiani. Non ne sono mai avvenuti; magari qualche rissa, sporadica, isolata, nell’Amburgo di oltre mezzo secolo fa: niente in confronto a Watts ’65, Nottingham ’58, Brixton ’80 e così via. Certo che ferisce, ferisce assai, la disparità di trattamento fra neri ed ebrei riservata dalla Germania nazionalsocialista; disparità a tutto scapito, ciclopico scapito, degli ebrei. Ma c’è quest’aneddoto il quale bene illustra l’atteggiamento della popolazione tedesca verso i neri. Una ventina di anni fa, Ralph Metcalfe, afroamericano, l’uomo che nella finale dei 100 metri piani all’Olimpiade del 1936 a Berlino, arrivò secondo dietro il grande Jesse Owens, venne intervistato da un giornalista americano il quale pretendeva di mettergli le parole in bocca, riguardo, appunto, alle Olimpiadi di Berlino… Alla tendenziosa domanda se a Berlino si fosse sentito come un paria, come un “trascurabile”, come un “fastidio”, Metcalfe rispose così: “Oh no! I always felt comfortable in Berlin: at least no-one ever ordered me to sit in the back of the bus” (Oh no! Mi sono sempre sentito a mio agio a Berlino: per lo meno lì nessuno mi ordinava di sedermi in fondo all’autobus)!

Uno scorcio del quartiere Friedrichshain.
Gran bella gioventù
È una gran bella gioventù, la gioventù berlinese. Bellissima quella “teutonica”, ugualmente attraente quella uscita da unioni fra tedeschi-tedesche e italiane e italiani; turche e turchi, polacche e polacchi, nere e neri, arabe e arabi. Di tutti loro colpiscono subito la grazia, la disinvoltura negli atteggiamenti, l’eleganza nell’incedere, la spontanea gentilezza nel rapporto col prossimo. Giovani donne, giovani uomini (rieccoci!) che si sentono tutelati, stimati, valorizzati. Hanno tutti un lavoro, che non dànno affatto per scontato. È antica tradizione in Germania (lo era anche in Italia…) far crescere i figlioli nell’educazione al lavoro, alla professione, al mestiere, al guadagno che non va dato, no, per scontato. C’è, eccome, la frangia dei “bohèmien”, degli ‘outsider’ per vocazione, ma nulla essi chiedono, nulla accampano, nulla rivendicano. È gente fiera anch’essa, orgogliosa della propria indole, del proprio ‘modus vivendi’. Vive felice nella vecchia Berlino Est, soprattutto nel quartiere di Friedrichshain, la cui atmosfera ricorda in modo impressionante quella della Londra degli anni Sessanta. Donne e uomini votati alla causa degli animali: si tolgono il pane di bocca per assicurare un pasto decente ai loro cani, alle loro cagne. È commovente. È poco italiano…
Noblesse oblige
Non tutta l’aristocrazia berlinese è morta a Stalingrado, a Orel, in Nordafrica, a Creta, in Sicilia, a Anzio, in Normandia; nei cieli della Russia, dell’Inghilterra, nell’Atlantico, nel Mediterraneo. Ne è rimasta ancora un po’, ma i suoi discendenti non ci pensano nemmeno a mettersi in mostra, non smaniano per essere avvicinati da stampa e tv; non pretendono d’impartire lezioni, non cercano l’applauso, la riverenza. Non vivono di rendita, anche perché di rendite gliene sono rimaste poche: zero nella Germania Orientale a partire dal 1946. Lavorano. Lavorano anch’essi sodo, ma si tengono lontani da industria e commercio, anche perché, come i loro antenati, hanno sempre saputo di non essere tagliati né per l’una, né per l’altro. Sono ingegneri, avvocati, funzionari di Stato, diplomatici, medici chirurghi: maestre d’asilo, professoresse di Liceo, stiliste di moda. Il loro senso del decoro è un esempio.
Mangi e bevi al prezzo giusto
A Friedrichshain, in locali assai accoglienti, e dove il servizio è svolto da “silfidi” teutoniche o da “matrone” teutoniche, come da graziose vietnamite, cambogiane, thailandesi, si può mangiare anche con soli 6 euro, quanti ne costano, ad esempio, un “chicken wings stick” ‘mit’ “baguette” e un boccale di birra. La cucina è ottima. Ottima quella tedesca, squisite quella turca e quella asiatica. In un locale situato in Sonntag Strasse, abbiamo divorato per soli 4 euro e mezzo un “yellow chicken thai” accompagnato dal riso più buono del mondo, a sua volta inumidito da una salsa scura, fragrante, gentile.
Mezzo litro di birra comprata nelle apposite rivendite (la Berlin Kindl, la Erdinger, la polacca Tiskye e altre ancora) richiede una spesa fra 1 euro e 5 centesimi e 1 euro e 40: nulla! Nulla in confronto alla Nastro Azzurro presente nei nostri supermercati: 2 euro a 50 a bottiglia (66 centilitri); anche 3 euro nei bar… E non è d’importazione!

Il Deutsches Historisches Museum.
Ricordando la Grande Guerrra
Si tiene in questi giorni una mostra al Museo di Storia Tedesca (Deutsches Historisches Museum) sull’Unter den Linden, a due passi dal fiume Sprea solcato da battelli affollati di turisti inglesi, francesi, americani, belgi, olandesi, australiani. Se ne nota lo sbalordimento, l’ammirazione: Berlino risorta dalle ceneri, risorta nell’abbattimento del Muro. La Berlino che scommette su se stessa.
È la mostra sulla Grande Guerra esplosa proprio nell’estate di cent’anni fa. L’allestimento è imponente, dettagliato. Si va dalle uniformi tedesche, inglesi, francesi a cucine da campo, a prime pagine di quotidiani tedeschi, inglesi, americani. Si va da pacchi di lettere inviate da militari germanici a familiari e fidanzate e viceversa; da diari tenuti da inglesi e tedeschi al Fronte a maschere antigas, alle mazze “medievali” rispuntate nella prima guerra meccanizzata, nella guerra delle macchine che avrebbe dovuto “porre fine a tutte le guerre”.
È in mostra perfino un cappello da alpino, Settimo Reggimento, insieme a una accurata ricostruzione delle Undici Spallate sull’Isonzo ordinate dal Generale Cadorna… Scorrono intanto filmati, e sono filmati che fanno impressione; eseguiti sulla Somme, ad Amiens, Thionville; girati in Belgio. La Grande Guerra in tutta la sua apocalittica nudità. Desta ancor più impressione un documentario sul razionamento del cibo nella Berlino del gennaio-febbraio 1918: una folla di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, vecchi e vecchie, ben incolonnati, che sotto l’imperversare del vento gelido e rabbioso, aspettano con disciplina, ma anche con umana trepidazione, la provvidenziale zuppa di spinaci, patate, pezzetti di carne. Si vedono volti che poi più non potrai dimenticare, come quello d’una vecchia ricurva e macilenta, avvolta in uno scialle, piegata sulla gavetta appunto colma di zuppa; come quello d’una ragazzina la quale gioisce, ma in maniera composta, non appena le viene servita la minestra bollente.
Sono imparziali i tedeschi: i curatori della mostra ci offrono anche un poster americano diffuso a partire dall’autunno del ’17. Vi campeggia fiero, sorridente, plastico, un ‘marine’ il quale esclama: “We keep the world safe for democracy”. Propaganda. Bassa, deprecabile propaganda: la Germania imperiale non rappresentava una dittatura, bensì uno Stato parlamentare. I tedeschi andavano alle urne, il loro voto era inviolabile. Lo stesso imperatore Guglielmo non si sarebbe mai sognato di sopprimere il Parlamento.
Berlino è una signora, Roma è una donna sciatta
Ecco quindi Berlino nel suo attuale splendore. Non si vedono poliziotti in giro, ma non c’è una sola cartaccia gettata sul marciapiede, non una sola insegna commerciale che offenda il quadro d’insieme, non un solo bivacco di impresentabili individui che insudici e oltraggi una piazza, una strada, come invece avviene in quasi mezza Roma e non s’interviene “per non creare tensioni”, eppoi “siamo tutti fratelli e l’Italia è Paese civile”…
Noi italiani seguendo capi fasulli, egocentrici, viziati non si sa da quali complessi, divorati da ambizioni sfrenate, malsane, abbiamo in questi ultimi vent’anni voluto proporci come terra di conquista, come l’Italia del Cinque e Seicento. Come ci annullammo allora, oggi ci annulliamo di nuovo. Non siamo più un popolo, una nazione: siamo un coacervo di individui senza coraggio, senza carattere, senza tempra. Chi invece dispone ancora di queste qualità, ecco che se ne va altrove. Va a Berlino. Berlino è arbitro di se stessa; Roma, no. Berlino è una signora, Roma è invece una donna sciatta, deforme, dimèntica di se stessa. Di tutto si lascia fare. Di tutto. Così diversa da quella che conoscemmo da bambini, da ragazzi. Che sventura… Quale scempio…
La Germania fa paura
Oggi il 1914 è “vicino”. Più vicino di quanto lo fosse trenta o quarant’anni fa. Il 1914, l’anno, sì, in cui la Germania fu aggredita da Francia e Gran Bretagna accompagnate dalla grossa stampella zarista, presto frantumata ai Laghi Masuri dai Generali Hindenburg e Ludendorff. 1910, 1911, 1912, 1913… Millenovecentoquattordici: facevano paura i prodotti tedeschi, di prim’ordine; faceva paura la vitalità dell’industria germanica. Creava un’ansia quasi grottesca l’ingegnosità di ingegneri, scienziati, tecnici tedeschi. La stessa paura che la Germania fa oggigiorno… E la fa mentre, supini, ci lasciamo mettere i piedi sulla testa dalla Cina, dall’India, anche da Taiwan, dalla Corea del Sud.
La Germania ha un mercato interno che consuma una quantità impressionante di beni. Ma ha anche bisogno di sbocchi esterni, se non altro per non fare la fine degli Stati Uniti del ’29… Si ripresenta quindi l’esigenza di “spazio vitale”. Spazio da non conquistare, no, come già sottolineato, con Panzer e Stukas: con U-Boote… Ma di necessità appunto si tratta. Con questo tutti dovremo prima o poi fare i conti. La Germania è forte e, in una certa misura, è forte anche la Gran Bretagna; ma gli altri sono deboli; lo sono per loro dabbenaggine, per loro avventatezza; per la cupidigia di partiti mai sazi: per la cupidigia di personaggi, almeno nel caso dell’Italia, inadatti al comando. Donne e uomini, salvo rare eccezioni, vestiti a festa… Campioncini e campionessine dell’apparenza. Rissosi e rissose… Maestri e maestre di doppiezza… Assi della “smentita”!
Berlino è capitale della Nazione spolpata fra il 1920 e il 1932 da Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti; rasa quasi al suolo nella Seconda Guerra Mondiale. Ma oggi, ancora oggi, Berlino inventa, crea, procede. Roma, al contrario, resta al palo…
Il dolore, l’imbarazzo, sono enormi.