Ci sono tantissime cose nel mondo che bisogna assolutamente tentare di fare almeno una volta nella vita. Un tratto del fiume Yukon è sicuramente una di queste.
La partenza da Whitehorse, avvenuta lunedì sera, dopo un paio di soliti imprevisti legati alle ultime faccende da sbrigare all'ultimo minuto, è stata esaltante. La luce era meravigliosa. Il tramonto dipingeva l'acqua con centinaia di tonalità di colori diversi, appagandomi della fatica.
Rossana fila sull'acqua come un'elegante signora d'altri tempi, mentre io prendo confidenza con la pagaia, giorno dopo giorno. Arrivo al lago Laberge di notte. L'indomani, con tempo che minaccia pioggia, mi avventuro sulla sponda sinistra del lunghissimo specchio d'acqua di ben cinquantatre chilometri. Comincia a piovere e non smette per circa otto ore. Nel pomeriggio mi trovo più o meno a metà strada e ripiego sulla costa per l'arrivo del vento.
Chiuso in tenda, contento di non essere rimasto in mezzo alle onde, che cominciano ad aumentare di intensità (al largo arriveranno addirittura a 5 piedi di altezza, rovesciando un team di canoisti che partecipavano alla Yukon Quest), rimango bloccato fino alla sera successiva e approfittando di un miglioramento guadagno chilometri, tagliando rischiosamente un paio di golfi.
Devo comunque ripiegare e bivaccare alle due del mattino circa, è quasi buio e il vento torna a picchiare. Durerà fino al pomeriggio di giovedi, quando riprendo a costeggiare, tagliando le onde ormai in calo, ma pericolosamente di traverso rispetto alla barca.
Il travaglio dura circa due ore e mezza. Raggiungo finalmente lo Yukon e filo via liscio sulle sue acque verde smeraldo. Sbarco in nottata al villaggio abbandonato di Hootalinqua dove mi accoglie una guida giapponese che rimane sconvolta nel sapere che ho attraversato il lago nei giorni scorsi.
Da Hootalinqua riparto la mattina di venerdì, pagaiando per una novantina di chilometri fino a poco prima di Big Salmon, dove, con mia sorpresa trovo un altro gruppo di persone con delle canoe, accampati in mezzo alle zanzare. Dopo una lunga giornata, finchè posso approfittarne, fermarmi a parlare con qualcuno e conversare davanti a un fuoco mi riempie di gioia.
È bello vedere come la gente vive e rispetta il fiume da queste parti. La solitudine rimane però una costante ed è a tratti davvero sconcertante. Attraversare questi immensi spazi sapendo di essere l'unico essere umano nel giro di chilometri lasciava sgomento lo stesso Bonatti, che non era di certo nuovo a questa condizione.
Durante il giorno tira sempre vento da nord, il che rende la navigazione piuttosto difficile, ma comunque possibile. Domani, tempo permettendo, mi attendono le rapide delle Five fingers, il prossimo ostacolo prima di Dawson city.
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