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Non è mai tardi per levare l’ancora alla libertà. La fantastica storia di Lisca Bianca

Igor D'IndiabyIgor D'India
Un'immagine scattata durante il primo giro del mondo di Sergio e Licia Albeggiani, a bordo di Lisca Bianca

Un'immagine scattata durante il primo giro del mondo di Sergio e Licia Albeggiani, a bordo di Lisca Bianca

Time: 5 mins read

 

Che ci sia sempre tempo per vivere una grande avventura è secondo me un fatto vero. Basta non rimanere fermi a collezionare scuse per rimandare, ma piuttosto tenere quel sogno stretto a mente, come il mandriano tiene al lazzo il giovane puledro che scalcia per correre via. Un’esperienza di libertà può essere in preparazione per anni, persino decenni.

Ricordo la storia dei coniugi Albeggiani di Porticello (Palermo) che trent’anni fa, in età di pensione, decidono di vendere tutto e andare a vivere su una barca. Passano molto tempo a scegliere il modello più congeniale alle loro necessità e alla fine decidono di far costruire da zero un Carol Ketch del ’29. La chiamano Lisca Bianca, come un famoso vino locale di cui sono amanti.

Il Ketch è un vero e proprio mulo dei mari: scafo in legno, trentadue piedi di lunghezza, doppio albero, chiglia in ghisa e appena un metro e mezzo di pescaggio. Il progetto originale prende spunto dalla struttura di vecchi pescherecci norvegesi e la riadatta per affrontare lunghe tratte nel Pacifico. Dopo un buon rodaggio, Sergio e Licia Albeggiani decidono di partire per fare il giro del mondo con la loro barca.

Immaginate la Palermo del 1984, che vede partire i due impavidi coniugi più che sessantenni, in un tempo in cui ancora nessuno ha internet, non esistono Gps o telefoni satellitari alla portata di tutti. Tanto scetticismo misto a invidia nelle vene di chi rimane a terra, tanto entusiasmo e preoccupazione per chi lascia il sicuro golfo di casa con gli occhi gonfi di emozione che fissano l’orizzonte. Navigano verso l’ignoto affidandosi al vento.

barca

Lisca Bianca al tempo del primo viaggio dei coniugi Albeggiani

Comincia un lunghissimo viaggio pieno di imprevisti a cui far fronte: lo scafo che inizialmente fa acqua, i visti e i permessi, le tempeste, l’arte di arrangiarsi ricopiando a mano le carte nautiche fornite dai navigatori del posto, uccelli esotici che diventano “passeggeri” per qualche miglio, treni d’onde e correnti nuove da capire al più presto. Del resto “la barca sta al sicuro nel porto, ma non è stata costruita per quello”.

Dopo tre anni in mare e 29.180 miglia nautiche, gli Albeggiani tornano in patria, ma preparano subito un secondo giro del globo. Troppa inquietudine nella vita noiosa e piatta del mondo a terra. Il ritorno, certamente, è anche il senso del partire, ma inevitabilmente sopraggiunge presto il ricordo di un incontro fortunato, la nostalgia del blu dipinto di sole che avvolge la nuova alba piena di domande, la visione di una nuova rotta con cui misurarsi. Il vento torna a soffiare più forte di prima.

Ecco che nel 1989 Sergio e Licia riprendono il largo, ma la storia stavolta finisce a Las Palmas, Canarie. Un malore stronca Sergio. Licia torna a Porticello da sola e continua a vivere in barca per circa due anni. La realtà prende il sopravvento sul sogno. Lisca viene trasportata in una rimessa. Vi rimarrà per più di dieci anni, arrivando a un passo dal giorno della demolizione.

Ma nell’Aprile del 2013 Francesco Belvisi, un giovane yacht designer impegnato in un sopralluogo per lavoro, nota la barca in stato di abbandono nella rimessa di Romagnolo e chiede a un amico se sa qualcosa di quel pezzo da museo che marcisce poggiato su un’invasatura arrugginita. Il suo amico, il sociologo e mediatore penale Elio Lo Cascio, è un appassionato di vela che conosce bene quella storia perché ha letto con entusiasmo Le isole lontane, il libro che pubblicarono i due velisti al rientro dal primo giro del mondo.

Ecco che l’avventura, che dorme sottocoperta avvolta dal vecchio fasciame, viene risvegliata da un nuovo entusiasmo, una novella visione che innesca la scintilla e muove gli animi.

Perché non restaurare quel legno leggendario e riportarlo a nuova vita coinvolgendo i giovani seguiti dei servizi sociali? Lisca Bianca potrebbe rinascere per l’integrazione e l’inclusione sociale?

barca old

Lisca Bianca oggi

Del resto i tantissimi ragazzi in difficoltà e a rischio di devianza, ospitati dalle comunità e dai centri di recupero, hanno già trovato nella velaterapia una valida fonte di stimoli. Il mare può ridare sogni a chi sbatte il muso da sempre contro il muro dell’indifferenza. Belvisi e Lo Cascio, consapevoli del potenziale dell’idea, si attivano subito per contattare la famiglia Albeggiani che sposa il progetto, mette a disposizione la barca e autorizza l’inizio delle operazioni di restauro. In breve nasce un vero e proprio team di esperti in vari settori (che cureranno la parte organizzativa, dalla raccolta fondi alla comunicazione) e intorno a Lisca cresce una rete che coinvolge volontari, artigiani, associazioni importanti come l’Istituto Don Calabria, Apriti Cuore, la Lega Navale ed enti come il Comune di Palermo e l’Assessorato Regionale al Turismo. Arrivano i primi aiuti da imprese locali e la barca viene trasferita per il restauro in un cantiere a Sant’Onofrio (Trabia, PA), presso la comunità terapeutica per tossicodipendenti, gestita appunto dal Don Calabria.

A breve si spera di far partire il laboratorio di restauro, in cui saranno inseriti in qualità di tirocinanti gli ospiti della comunità terapeutica S. Onofrio e i giovani detenuti all'interno del Carcere Minorile di Palermo Malaspina. Un main sponsor ha già fornito le attrezzature per i lavori in cantiere, ma il percorso è ancora lungo e tortuoso.

Questo continuare nonostante le difficoltà è già una storia nella storia e dimostra come l’energia possa trasformarsi. L’odissea degli Albeggiani ha affascinato più di una generazione di velisti e continuerà a stupire e ad evolversi in qualcosa che ancora non conosciamo, ma che racchiude tutti gli ingredienti per appassionare anche un vasto pubblico.

L’entusiasmo del team che sta lavorando per riportare Lisca in mare è contagioso e probabilmente anche questo è continuare la ricerca di isole lontane. Chi di noi non vorrebbe salire almeno una volta nella vita a bordo di un sogno così romantico?

Sergio Albeggiani scrisse nel suo libro: “Le isole lontane esistono. Sono dentro di noi e non ce ne accorgiamo o, forse, ce ne dimentichiamo. Dimentichiamo di essere liberi”.

Per seguire e contribuire al progetto potete visitare il sito www.liscabianca.com.

www.igordindia.it/mblog

 

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Igor D'India

Igor D'India

Documentarista d'avventura, ho attraversato lo Yukon in canoa sulle tracce di Bonatti, ho pagaiato sulle acque del Mekong, ho percorso l'Italia in bicicletta e trascorso 700 ore nella Grotta del Pidocchio (Palermo, Monte Pellegrino), a trenta metri di profondità, in completa solitudine. Mi piace documentare la relazione uomo-fiume-clima con approccio old style. Ho attraversato alcuni grandi fiumi del mondo e adesso torno in Alaska.

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