Il mese scorso, poco prima delle feste natalizie, mi ero recato d’urgenza a Sondrio per l’improvvisa scomparsa di un’amica, una persona alla quale tenevo davvero tanto.
Il giorno della commemorazione, i monti della Valtellina erano già innevati e l’aria era frizzante da pizzicare il naso. Sarebbe stato bello restare un altro po’ a guardarsi intorno e a ricordare la persona scomparsa, ma dovevo tornare subito a Palermo per lavorare al mio progetto nello Yukon.
La soluzione aereo, dato il periodo delle festività, era da escludere: troppo cara. Meglio l’autostop.
Con questo metodo la scorsa primavera avevo portato a termine la traversata del Canada, quasi settemila chilometri da sud a nord, in appena sei giorni. Di certo ero stato fortunato come prima esperienza, ma ne avevo anche carpito abbastanza bene le tecniche e le dinamiche, osservando i flussi migratori stagionali e la tipologia di persone che mi avrebbe dato passaggio più facilmente e per distanze più lunghe.
Perché quindi non provare ad autostoppare questi “appena” duemila chilometri e vedere che differenze ci sono con il Nord America? L’Italia congestionata dalle proteste, la neve sui monti, nuovi flussi migratori da osservare… insomma, una bella storia.
Per una serie di fortunate coincidenze scopro che Paolo, il ragazzo che guidava la nostra Y10 per il Mongol e Africa Rally, è in partenza da Milano per Terni in auto con a bordo passeggeri paganti, trovati tramite un sito di carsharing. Personalmente credo che sia una gran bella soluzione se hai un’auto, specie se a metano. Puoi dividere le spese, scambi due parole con gente a volte interessante, rimani vigile e attivo alla guida. Ma da passeggero, sulle lunghe distanze, preferisco andare gratis in autostop. Che altro metodo rimane in alternativa?
I treni in Italia costano troppo e sono lenti, a parte alcune fortunate tratte di lusso servite da mezzi al passo con i tempi, considerati il fiore all’occhiello delle ferrovie. Del resto come tutto da noi: si dorme su un materasso di paglia in camera da letto, ma nel salone ci deve essere uno schermo panoramico da almeno quaranta pollici per vantarsi con gli amici.
Gli aerei rimangono la migliore soluzione classica, dato che con trenta euro vai davvero dove vuoi, basta non pensare troppo allo sfruttamento del personale delle low cost e ai danni che porterebbero alle compagnie di bandiera, ma se queste ultime non riescono a stare al passo con i tempi noi possiamo farci ben poco. Sotto Natale anche questa opzione è comunque da scartare per i prezzi alti.
Partiti da Milano di domenica notte, io e Paolo procediamo quindi verso Terni con due passeggeri a bordo: un pendolare che studia a Bologna e un esperto di marketing di una compagnia aerea che studia il fenomeno del carsharing. Guarda un po'…
Probabilmente la preoccupazione del settore dei trasporti è motivata da questo fenomeno sempre più diffuso e gestito da veri e propri social network di successo. Piccole idee geniali che sfruttano i flussi e le esigenze del momento.
Diverse migliaia di studenti, per esempio, hanno ormai rinunciato al treno per spostarsi tra l’Emilia e la Lombardia, trovando dei gruppi (sempre su internet) che fanno la stessa tratta in auto ogni settimana, risparmiando e ampliando le proprie compagnie.
La rete stradale di queste due regioni inoltre permette di evitare i caselli autostradali, viaggiando su delle statali che di notte sono parecchio sgombre e discretamente fornite di servizi. Le autostrade italiane sono considerate tra le più care al mondo e potersi arrangiare è un diritto.
Verso sud le cose sono già più complesse, perché territorio e rete stradale sono più difficili da sfruttare in tal senso, spesso anche per via della dorsale appenninica e delle sue strade malconce.
Lasciati i ragazzi a Bologna, arriviamo in nottata a Terni. La temperatura è scesa sottozero. Da esperto viaggiatore in autostop, Paolo mi consiglia un paio di soluzioni per ripartire entro un paio di giorni e arrivare a casa in una ventina di ore dal primo passaggio.
Mi propone il raccordo anulare di Roma, dove sicuramente il traffico fornisce una vasta scelta in ogni direzione. Ma quell’intricata rete di autostrade non mi piace per niente. Di norma preferisco una strada minore (statale) con direzione obbligata e con discreto traffico, che si immette in autostrada più avanti. E’ più facile così trovare un solo passaggio da centinaia di chilometri che non una decina di strappi da dieci chilometri alla volta, anche se magari bisogna aspettare un po’ di più.
Dopo una lunga discussione Paolo si convince a lasciarmi dalle parti di Cassino, più a sud di Terni e molto fuori il delirio di Roma. Insiste che sul raccordo anulare avrei potuto trovare di meglio, ma ne approfittiamo per fare un giro panoramico verso l’Aquila. Attraversare le montagne dell’Abruzzo così innevate e rilucenti, che avevo già visto in bici in estate anni fa, mi lascia senza parole. I boschi sembrano fatati così ricoperti di brina. In lontananza scorgiamo il centro storico martoriato dal terremoto, mentre il ghiaccio che ricopre a tratti la strada comincia a sciogliersi al timido sole di dicembre. La notte all’aperto sarebbe stata dura con l’attrezzatura che porto nel mio zainetto da quindici litri scarsi. Arriviamo all’area di servizio di partenza. “Boh, lasciarti qua mi sembra quasi omissione di soccorso. Se non parti fra due ore chiama che ti porto a Roma. Io sono nei paraggi con mio padre”. Paolo sembra quasi preoccupato.
In effetti questa statale sembra un deserto, passa un’auto ogni dieci minuti circa, ma sono convinto che non aspetterò molto. Il parcheggio è grande, c’è un piccolo ristorante e la direzione verso sud porta sicuramente all’autostrada per Caserta. Arriverà qualcuno a pranzo. Guardando la mappa mi pare ovvio che devo evitare anche Napoli o ci rimarrei bloccato per ore. Devo riuscire a beccare il flusso giusto.
Chiedo al gestore se passano anche dei camion da quelle parti. “Tantissimi. A pranzo di solito vengono diversi autotrasportatori, ma oggi i forconi hanno fatto dei casini a Roma e non scende nessuno. Potrebbe durare per giorni questa situazione”. Arriva quindi un grosso tir che entra nel parcheggio a velocità elevatissima, sollevando una gran nuvola di polvere e spargendo ghiaia sulle pompe di benzina. “Non vorrai mica andare con quello vero?” mi dice il benzinaio preoccupato.
Guardo la targa: croata. E’ una lingua che conosco vagamente e riesco ad approcciarmi all’autista in modo simpatico. Mi crede serbo e mi guarda ripetutamente dalla testa ai piedi, poi dice “Intanto mangio, poi vediamo”. Alla fine si convince. Faccio alcune centinaia di chilometri con questo personaggio, suonatore di fisarmonica diatonica, cacciatore di cinghiali, che non sopporta l’inaffidabilità degli italiani e la nostra maleducazione al volante, infatti lavora solo per i croati. Conosce bene le leggi locali e mi dice che gli autotrasportatori stranieri possono decidere di caricarmi a bordo, ma gli italiani non lo faranno mai, rischiano un verbale. “Con i tempi che corrono prendere un autostoppista è comunque un bel rischio. Lo sai che a me hanno già fregato un camion? Proprio qua nella zona di Napoli! Era quindici anni fa, sono sceso per fare la fila tra chi doveva scaricare, ho lasciato il camion acceso a un centinaio di metri e dopo dieci minuti non c’era più!”. Non mi sono messo a spiegargli che se lascia a Napoli un camion carico con le chiavi nel quadro ha una buona probabilità di non trovarlo. “Ho saputo che qua i ladri si mettono d’accordo con la polizia e nascondono i camion in caserma!”. Si sarà confuso e pensa di essere in Russia forse, ma soprattutto che c’entrano gli autostoppisti con il suo furto? Proprio un tizio strano.
Mi lascia poco sopra Sarno in un grosso autogrill. Mi metto a parlare con i benzinai che mi intrattengono per un paio d’ore. “Ma tu non hai qualche contatto in Svizzera? Perché loro fanno i soldi! Io me ne voglio andare, ma c’ho i figli, se conosci qualcuno lassù famme sapè”. Attilio è un omone sui quarantacinque anni, casertano, mi prende per uno che conosce gente ovunque e mi chiede consigli. E’ molto seccato: “Io spero che domani succede un macello, così scassiamo tutto e mandiamo tutti sti infamoni a casa! Io per i miei figli non so più cosa devo fare! Li sto mandando tutti all’alberghiero così possono andare a lavorare fuori! Qua si muore di fame!”. Come dargli torto.
Mi raccoglie un giovanissimo camionista bosniaco che prosegue verso Battipaglia. Il camion ha problemi all’impianto elettrico e lui sembra parecchio in difficoltà. Giungo a un autogrill che diventa la mia casa per quasi quindici ore. Non è proprio il posto ideale da un punto di vista logistico, perché una buona parte di automobilisti invece di andare a sud verso Cosenza, gira per Potenza, dove rimarrei tagliato fuori dalle grandi vie di comunicazione. E’ ormai sera. Faccio amicizia con il gestore, che mi guarda piantonare la porta d’ingresso ormai da un po’ ed è meglio presentarsi per evitare fraintendimenti inutili. L’autostop nella zona di Napoli è considerato (dagli stranieri) un’attività più rischiosa che al nord. Ma da palermitano gioco in casa e, anzi, posso giurare di aver vissuto alcuni episodi di grande ospitalità da queste parti. Faccio un giro a chiedere passaggi ai camionisti che, a malincuore, devono rifiutare dicendo più o meno la stessa cosa: “Ormai con le leggi non si capisce più niente. Prima ci portavamo la moglie o i figli sul camion. Non si può fare più. La prima cosa che ti chiedono al posto di blocco è la busta paga. Se chi è a bordo non è dipendente dell’azienda ti fanno un verbale che non finisce più e ti sequestrano il mezzo per trenta giorni. Giustamente a loro chi lo dice che non stai lavorando in nero o che non ti metti a guidare senza patente? A me dispiace perché sei un bravo guaglione, ma è troppo rischioso”. Peccato, è tutta brava gente che ha tante storie da raccontare, mi sarebbe piaciuto farci un giro assieme. Non a questo prezzo, si capisce.
Tutti gli autotrasportatori del parcheggio si mobilitano per trovarmi un passaggio notturno per Reggio, ma nessuno può più accettare. Giunge notizia di una pattuglia della stradale che ferma i camion che escono a scaricare all’uscita per Eboli. Fine della storia con i camion. Formiamo un capannello di persone e scambiamo quattro chiacchiere davanti a un caffè caldo. E’ tutta brava gente che lavora onestamente e fa tanta fatica ad andare avanti. Alcuni non stanno a casa da mesi, perché devono prendere un lavoro dopo l’altro e cavalcare l’onda fin quando possibile.
La stazione di servizio è fermata obbligata di numerosi pullman che vanno dalla Lombardia alla Calabria o da Roma alla Sicilia. Ecco un altro flusso interessante: gli emigrati che tornano a casa per le feste e non vogliono o non possono prendere l’aereo. Tantissimi, scendono ad affollare bar e toilette, ancora intorpiditi dal sonno e dal lungo viaggio. Sembra improvvisamente la banchina dove sbarcano i vecchi transatlantici. Molti sono ragazzi con uno zainetto in spalla e un trolley in stiva. Potremo essere nella New York di fine ottocento o a Portland, luogo di partenza dei cercatori d’oro. Solo per strada puoi davvero respirare la storia. Poi arrivano anche i rumeni nei classici pullman con rimorchio. I passeggeri sono prevalentemente donne con fazzoletti colorati avvolti sulla testa e alcuni giovani ragazzi molto robusti con dei sacchetti in mano. Parlo a gesti con due degli autisti di questa linea internazionale che fa tutta una tirata verso la Sicilia, magari hanno un posto libero e mi prendono.
Di tutte le famiglie di lingue che posso cercare di inventarmi per una comunicazione base, il rumeno non ne abbraccia neanche una e faccio una fatica tremenda. Arriviamo quasi al malinteso. Mi fanno salire a bordo abbracciandomi e ridendo e poi mi chiedono quaranta euro per il biglietto. Rifiuto come se mi avessero offerto di pagare per vedere il mare, loro non la prendono benissimo e mi fanno scendere mandandomi sicuramente a quel paese.
Alle due di notte scelgo un posto per dormire, ma solo dopo essermi accertato che la barista di turno non mi veda come una minaccia. Mi offre cordialmente di entrare al bar a riscaldarmi, qualora ne avessi bisogno. E’ prevista una gelata notturna. Ormai non rimane che aspettare il flusso dei lavoratori della mattina. Mi sistemo su una panchina sotto al Gazebo vicino ai camion, stendendo un telo di plastica sulle tavole di legno.
Il freddo, inizialmente tollerabile, si insinua a poco a poco nei miei vestiti come delle dita gelide che non conoscono ostacoli. Vesto tutto quello che ho nello zaino, ma l’umidità è forte e la temperatura intorno allo zero diventa motivo di sogni inquieti. Il mio giaciglio è abbastanza nascosto da occhi indiscreti e vicina ai camion dei miei amici per sentirmi un po’ più a casa. Ogni tanto mi alzo e controllo che non ci sia polizia in giro. L’autostop in autostrada è illegale, anche se vi sono diverse attenuanti se lo fai in autogrill. E’ chiaro che se ti metti all’uscita con il pollice all’insù sei un pericolo, ma se chiedi passaggi agli autisti e stai tranquillo senza dare problemi, spesso neanche si rendono conto della tua presenza.
Ogni due ore circa devo andare al bar a bere un the caldo, mettermi sotto alla pompa di calore e riprendere un minimo di temperatura. La mattina alle dieci sono ancora vestito come una mummia e solo a bordo della prima auto che mi porta a Lagonegro posso riscaldarmi bene e riporre nello zaino il secondo maglioncino e il copripantalone impermeabile. Capisco finalmente il mio target ideale in Italia: l’ imprenditore sopra i quaranta che viaggia da solo per lavoro per alcune centinaia di chilometri. Tutti i passaggi che trovo fino a Villa S.Giovanni sono così. In Canada invece erano ragazzi giovani che andavano da una “province” a un’altra per cambiare lavoro stagionale e non facevano mai meno di duemila chilometri filati. “Io ormai ho capito che l’Italia è il paradiso dei furbi e di chi conosce le leggi, oltre di chi conosce la gente importante, è chiaro. Da amministratore di condominio ne ho passate di cotte e di crude: gente che fa finta di sparire e si chiude in casa, chi toglie i sigilli al gas e continua a usarlo senza pagare, chi si allaccia alla corrente elettrica del palazzo accanto. E la fanno sempre franca”, mi dice l’ultimo autista con il quale attraverso l’ultimo pezzo di Calabria da Lamezia Terme a Villa.
E’ un tizio simpatico, molto alla mano, con un buon lavoro e una bella famiglia, ma mi lascia allo svincolo per gli imbarchi in piena autostrada, convinto che debba camminare solo per poche centinaia di metri. Cammino invece per un paio di chilometri su una rampa dalla quale vedo già il mare e la costa Sicliana, procedendo su un ponte strettissimo sul quale passano tutti i tir che sbarcano a Villa S.Giovanni. Dagli sguardi dei camionisti capisco che non è stata proprio una grande idea, ma non è che abbia avuto tanta scelta. La situazione mi preoccupa non poco, ma un ragazzo che va verso il porto accosta e mi incita a salire: “Non ti sei accorto di essere ancora praticamente in autostrada? Ti stirano qua!”. Mi lascia proprio davanti agli imbarchi e prendo il traghetto che sta per partire sotto la luce meravigliosa del tramonto invernale sullo Stretto.

Villa S. Giovanni vista dal traghetto per Messina
E’ sempre bello traghettare su questo tratto di mare. A Messina capisco che potrei arrivare a casa in tempo per la cena e mi convinco a prendere un treno. Una decina di euro per fare neanche duecento chilometri fino a Cefalù. Non l’avessi mai fatto! Risultato di questa brillante idea: il mio treno viene soppresso, quello dopo parte in ritardo di venti minuti e viene fermato a Brolo (ME) per un incendio sui binari. Provano a metterci su un pullman per continuare il trasporto, ma poi ci richiamano sulle rotaie per ripartire, intanto l’impianto elettrico del vagone fa le bizze e restiamo al buio per un’ora.
Ma chi me lo ha fatto fare? Fossi andato in autostop sarei almeno arrivato in tempo per la cena!