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January 10, 2014
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Giustizia etica e Corte di Strasburgo. Il caso della parità dei cognomi

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Time: 3 mins read

Perché la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia sulla questione del cognome materno? Perché le sue leggi non prevedono ancora la possibilità di attribuire il cognome della madre ai figli. Sembra una risposta; ma non lo è. Oppure è sbagliata la domanda. Riproviamo. Perché è illegittimo che uno Stato regoli la questione come ha fatto l’Italia finora? Perché “ragioni culturali” impongono che non lo faccia come lo ha fatto finora, e lo faccia invece come dice la Corte di Strasburgo. Questa è una risposta. Una pessima risposta, ma è una risposta.

È frequente l’affermazione che l’Europa delle Istituzioni non sarebbe stata una cattiva idea, ma le mancherebbe l’anima, perché si occupa solo di soldi. Se si occupasse anche di questioni più ampie, più alte, sarebbe non solo accettabile, ma anche degna del migliore sostegno. Deve diventare politica. Così generalmente si dice.

Si tratta di una menzogna fondativa. Nel senso che questa Europa ha assoluta necessità di mentire in questo modo per esistere. Infatti, le “questioni altre” sono ampiamente attratte al dominio di Strasburgo, come l’esempio di cui stiamo scrivendo ovviamente dimostra. Solo che queste competenze sono etiche, alla greca, o morali, alla latina. Preciso che assumo i due termini nell’accezione in cui Hanna Arendt li assunse nel trattare della “banalità del Male”. Etico, da ethos, che attiene all’esistere; morale da mores, costumi, consuetudini del vivere.

Perciò la sentenza sul cognome materno non è una sentenza giuridica, ma è una sentenza etica o morale. Non dal contenuto, o dai riflessi, o dalle implicazioni etiche o morali, come sempre avviene con le sentenze giuridiche. No. È proprio una sentenza etica, morale. E suona male, malissimo. Infatti, non si deve dire. Guai! Per questo scrivo di menzogna fondativa.

Per essere giuridica, avrebbe bisogno di un diritto europeo. E un diritto europeo, per essere autenticamente tale, dovrebbe essere frutto di una comunità, di una Pòlis europea che, come si diceva all’inizio, per unanime riconoscimento è proprio quella che non c’è. Per carità, Trattati, quanti ne vogliamo: Trattato di Roma, Trattato di Schengen, Trattato di Amsterdam, Trattato di Maastricht, Trattato di Lisbona (che ora incorpora anche la Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo). Anche se (tranne il primo, che fu poco più che una stretta di mano), qualcuno approvato quasi di nascosto, qualche altro perso nella notte dei tempi, o reso deliberatamente “illeggibile” (Copyright, Giuliano Amato). Perciò, la forma è salva. Ma norme giuridiche che non siano prodotti di laboratorio, norme che siano anche approssimativamente riconducibili ad una espressione politica, cioè comunitaria, non se ne deve neanche parlare.

Dunque abbiamo l’economia e abbiamo l’etica. Ma non abbiamo la politica. Cioè non abbiamo l’uomo medio. Infatti, a che serve questa unione Etico-economica? Serve proprio a fissare un potere oligarchico. Chi decide? La Commissione (economia). Chi l’ha eletta? Nessuno. La Corte di Strasburgo (etica), legge un diritto politicamente determinato che, in democrazia, significa democraticamente determinato? No.

Allora perché l’Italia sulla questione del cognome materno aveva “torto”? Su quali basi il torto o la ragione si decidono a Strasburgo? Sulla base di una “sensibilità culturale”, trasfusa in quei Trattati, di cui la maggior parte dei cittadini dei c.d. Paesi Membri ignora anche solo il nome (e non parliamo di date che, come si sa, sono sempre importanti).

E non sia alibi che i partiti non funzionano più. L’Europa istituzionale è antipolitica, cioè antidemocratica, per necessità fondativa, si ripete. Perciò, anche con i migliori uomini politici del mondo, tale rimarrebbe. È nata contro i popoli e gli Stati nazionali. Così è, e così resta.

Il tribunale speciale di Strasburgo, pertanto, è evidentemente dispotico e tirannico. Ed è irrilevante che a questo o a quello (o anche a chi scrive) il merito della decisione etica possa piacere. Sarebbe come vincere al Superenalotto. Non ci sono garanzie che la politica, cioè la comunità nel suo complesso, sia considerata nel suo farsi segno, testimonianza, cultura. Conta solo la forza di un’oligarchia invisibile ma incombente.

Non aveva torto l’Italia a mantenere il suo segno culturale. Ha torto la Corte di Strasburgo ad esistere.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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