Mi piace vedere la faccia dell’altro, del mio interlocutore, quando gli dico, non senza una punta di orgoglio, che vengo da Firenze. Se straniero il viso s’illumina immediatamente in un sorriso e si capisce che con la mente richiama brevemente immagini del passato del capoluogo toscano. Non sono un fiorentino d’hoc, sono cresciuto nei dintorni, ma lì ho studiato, lavorato e vissuto una buona parte della mia vita. Tuttavia, seppur, non vivendoci più da qualche anno, così mi definisco a chi mi chiede di dove sono. Ovviamente dico italiano, ma subito sottolineo Firenze, aspettandomi quel segno di disponibilità ed interesse che subito si mostra negli occhi dell’altro. Quando invece dico che sono italiano, senz’altro aggiungere, in questo caso il sorriso, che comunque si affaccia, spesso diventa beffardo, tra simpatia e ostilità che nasce da un’ idea diffusa di inaffidabilità.
Dicendo fiorentino le cose cambiano, perché Firenze è la città della cultura per eccellenza, e la cultura, a chi ne è sensibile, fa sorridere, illumina, apre la mente e il cuore.
Ma Firenze esprime, a mio avviso, una altra particolare qualità: rappresenta un caso importante di città fortemente impregnata di valori locali e al tempo stesso globali, o meglio universali. Una città, malgrado i suoi tanti problemi, in grado di raccontarci qualcosa sull’Italicità. Sappiamo che ci sono tante altre città glocali e italiche nel mondo, anzi soprattutto fuori d’Italia: New York, Buenos Aires, San Paolo, San Francisco, Stoccarda, Parigi, ecc…, Firenze, tuttavia, è un simbolo di orgoglio in un’Italia che, al contrario, fa fatica a diventarlo.
Non sono un ostinato nostalgico della Firenze Rinascimentale, spesso troppo abusata e magari vissuta come un rendita attuale. Tuttavia, mi piace, proprio a partire dallo sguardo di cui dicevo all’inizio, ricomporre un immaginario diffuso in tutto il mondo e che ancora oggi fa proseliti: Firenze e l’Umanesimo, il Rinascimento, Dante Alighieri, Giotto, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Donatello, Botticelli, Machiavelli, Lorenzo dei Medici e così via.
Firenze tra XIII e XVI secolo è stata città fertile di arte e di commerci. Alle banche, che prestavano soldi in tutta Europa, si affiancavano artisti ed intellettuali che avrebbero pensato e ricostruito una nuova identità dell’essere umano. L’Umanesimo era questo: concepire un uomo nuovo, un uomo al centro di se stesso e del proprio mondo. Un uomo capace di concepire la propria esistenza al di là degli schemi fissi, imposti da una millenaria cultura cattolica. L’uomo non doveva essere più prigioniero di una vita predeterminata da sovrastrutture di carattere religioso o comunque di qualsiasi altro tipo, ma piuttosto consapevole della sua esistenza e pertanto sensibile alla costruzione di un disegno della propria vita, che non fosse solo divino, ma anche frutto della sua capacità di pensiero e di agire sul mondo delle cose. L’uomo è, allora, qualcosa di divino in se stesso, non necessariamente assimilabile in tutto e per tutto a Dio, ma in grado di comunicare perfezione dalle sue forme e di avere in sé l’idea di un senso compiuto. Così l’uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci ci ricorda l’essere umano e la sua centralità all’interno di un cerchio, essenza e completamento di se stesso. Oppure lo stesso David di Michelangelo, ammirabile presso la Galleria dell’Accademia, il quale coniuga in sé la perfezione estetica e l’intelligenza umana, capace di sconfiggere il più forte Golia con l’astuzia. Il David, le cui mani e testa leggermente sproporzionate (più grandi) rispetto al resto del corpo, esprimono le qualità dell’intelletto e della forza tipiche del nuovo uomo, simbolo della Rinascita culturale. A Firenze, poi, si dice che siano presenti i migliori esempi di bellezza maschile (Il David appunto) e femminile (la Venere del Botticelli).
E’ la vittoria dell’uomo contro le sue paure, contro l’oscurantismo alla ricerca di una rinascita dell’epoca classica, di una nuova luce che nel corso dei secoli farà sorgere l’Illuminismo francese. Un pensiero quindi universale.
E’ in questo contesto che nasce il genio fiorentino che si fa strada e si sposerà con l’idea più ampia di genio italico. L’idea cioè di individui dotati di immaginazione, creatività ed abilità che non hanno eguali. Uomini toccati probabilmente dalla grazia divina per le capacità che portano in sé e che sembrano manifestarsi per giungere a tutto l’universo umano.
Firenze ci appare continuamente come un abisso, man mano che proviamo ad addentrarci sembra di scavare nell’animo umano. Più ci si avvicina alle verità dell’uomo e più, ironicamente, esse sfuggono come d’improvviso. Una volta un viaggiatore americano scrisse “Italy is the land of human nature”. Certamente a questa definizione ha pesato molto il contributo della città toscana.
E’ una città piena di contraddizioni, non è proprio un inferno: troppo gentile e colta; ma non è neanche un paradiso: troppo indisciplinata e caotica. E’ una sorta di purgatorio particolare, pieno di anime in pena che si affannano per mantenere un rapporto privilegiato con il loro “padrone di casa”. Un posto in grado di estasiare e immediatamente dopo di far imbestialire, in un’alternanza di sentimenti che eccita e al tempo stesso frustra.
Tuttavia, Firenze affascina il mondo, così almeno una volta nella vita si deve partecipare al grand tour italico delle città rituali: Venezia, Firenze e Roma. Un tour che nessuno, almeno presso le famiglie borghesi e aristocratiche, di qualsiasi stato e nazione europea, dalla fine del XVI e fino a tutto il XIX, poteva mancare. Firenze, così amabilmente descritta da Henry James, è luogo in cui si va, ancora oggi, per studiare l’arte, l’architettura, la lingua italiana, per ammirare le meravigliose chiese: Santa Maria del Fiore (Il Duomo), Santa Croce, San Lorenzo, Santo Spirito, Orsanmichele, SS.ma Annunziata. Stendhal racconta di quanto gli batteva forte il cuore non appena scorse le prime vedute della città (da qui la sindrome di Stendhal o detta anche di Firenze).
A tutto questo e alla sua figura si aggiunge un senso di mistero che spesso avvolge da sempre la città. Un mistero legato all’idea dell’intrigo a palazzo, del tramare alle spalle, di alleanze contingenti per uccidere o eliminare pericolosi nemici che fino a poco tempo prima erano i migliori amici, delle coltellate sul dorso, della fiducia sospettosa. Tutto questo portò il letterato e uomo politico Guicciardini a ricordare che a Firenze era “meglio far torto che patirlo”. Agire cioè prima degli altri, togliere loro la possibilità di essere pericolosi, colpire prima di essere colpiti.
Insomma, Firenze è questo ma anche molto altro. Ciononostante tutto si muove su due binari che fanno fatica ad incontrarsi: la Firenze di ieri e quella di oggi. Alla Firenze di oggi fa’ molto comodo quella di ieri, perché è sinonimo, giustamente, di grandi guadagni e così si tenta di riproporla continuamente, costruendo un’immagine, magari artefatta, in grado di soddisfare le aspettative dei visitatori. Forse non esiste più ma di certo per molti viaggiatori continuerà ad esistere: è quella che va dal XIII al XVI secolo, ormai lontana, ma che alla fine ci accontentiamo, tutti, di sognarla nel suo essere italica da sempre.