Una sera di dicembre del 2011, mentre lavoravo al montaggio di "Oreto the Urban Adventure", un documentario girato nel fiume dimenticato di Palermo, mi venne in mente la storia di Michelle Siffrè, il primo "speleonauta".
Dal 1961, con numerosi esperimenti, questo speleologo francese testò sul suo corpo gli effetti della vita "fuori dal tempo", che consisteva nella permanenza in solitaria in una grotta sottoterra, senza riferimenti temporali, sole e orologio.
I suoi ritmi biologici venivano registrati da un team di scienziati che monitoravano l'esperimento da un campo in superficie, attraverso una rete di sensori, cavi, microfoni e diavolerie tecnologiche fornite addirittura dalla NASA e dall'esercito francese. Questi presero spunto dagli studi di Siffrè per elaborare test e training per astronauti e soldati.
Ma cosa si prova a vivere in un mondo il cui il tempo non esiste?
Ero cosciente del fatto che il capitolo degli "speleonauti" fosse già stato chiuso nel libro dell'avventura. Eppure, volevo vivere questa esperienza, per amplificare il mio senso di solitudine, "cucendo" questo vestito sulle mie capacità, riducendo all'essenziale i sussidi esterni. Io non avrei avuto sicuramente il supporto della NASA. L'elemento grotta, tra l'altro, era a me del tutto sconosciuto.
Nel gennaio 2012, ne parlai con degli amici del Soccorso Alpino e Speleologico Siciliano, con i quali prestavo servizio come operatore video. Nonostante l'ovvio scetticismo iniziale, i miei compagni mi fornirono preziosissime informazioni sull'eventuale grotta candidata all'esperimento e sul tempo minimo di permanenza per avere dei risultati tangibili, stimato intorno al mese.
Proprio a Monte Pellegrino, a dieci minuti di auto da Palermo, c'è una grotta detta del "Pidocchio", il cui antro è proprio sulla strada, nascosto dalle pale di fico d'india. L'accesso vero e proprio è costituito da due stretti fori, dai quali si sviluppa un pozzo verticale di circa venticinque metri.
In fondo a questo primo pozzo, vi è un crollo di detriti che fornisce lo spazio minimo per allestire un campo di appena sei metri quadrati. Per raggiungerlo è necessario l'uso di corde. L' unico problema relativo alla sicurezza è il vuoto intorno al campo, sotto al quale si apre un ulteriore pozzo di venti metri circa.
A fine gennaio avevo già radunato un team formato da un dietologo, uno psicologo, un personal trainer e un medico del CNSAS, per avere un'idea delle mie possibilità di riuscita almeno da un punto di vista medico.
I test sembravano incoraggianti.
Con l'amico Marco Nicolosi, del Soccorso, facevamo intanto formazione tecnica e sopralluoghi in grotta per capire la disposizione del campo e dove piazzare la radio per le emergenze.
Sono sempre stato contrario all'utilizzo della radio. Cercare la solitudine assoluta con uno strumento di comunicazione mi sembrava un paradosso, ma stavolta ero in una riserva naturale e avevo il backup di un ente nazionale, non potevo scaricare su di loro la responsabilità delle mie scelte. La radio sarebbe stata usata solo per i controlli medici e gli eventuali colloqui con lo psicologo per testare le mie capacità mnemoniche a metà esperimento. Ho accettato quindi in nome della gradualità dell'esposizione al rischio nelle mie esperienze. Ma ancora oggi mi domando se avrei potuto trovare soluzioni migliori.
A marzo, quello che sembrava una semplice idea diventò un progetto concreto. Il tempo di permanenza in grotta fu dichiarato di trenta giorni esatti, dall'ingresso alla "liberazione". Trovai subito un discreto numero di sponsor che avrebbero coperto le spese di attrezzatura e provviste.
La data di inizio era fissata per il 24 Marzo. Con l'indispensabile supporto del Presidente del Cnsas, Giorgio Bisagna, ottenni il via alle operazioni da parte della Riserva Naturale Orientata di Monte Pellegrino. Alcuni amici volontari del Soccorso si inventarono la disposizione del minuscolo, fangosissimo, campo sotterraneo. La zona abitabile, coperta da un telo impermeabile da giardinaggio e pavimentata da tre tavolacci di legno uniti da una rete metallica, era poco più di due metri e mezzo in lunghezza per un metro circa di larghezza. Il cibo venne organizzato in uno scatolone ermetico, il wc chimico piazzato in un gradino appena sotto la zona "asciutta", mentre due bidoni stagni avrebbero raccolto i liquami in modo sicuro e antisettico.
Il cavo della radio, circa settanta metri, partiva dal campo e arrivava a un'antenna in ceramica di un metro e mezzo, montata su un alberello a trecento metri in linea d'aria dietro Castel Utveggio.
Psicologicamente ero carico, curioso, ma avevo paura. In due mesi avevo mobilitato team, stampa, enti…e se mi fosse venuto un attacco di panico dopo due giorni? Se avessi scoperto di essere claustrofobico? Io ho sempre odiato dormire al buio totale. Eppure stavo per tuffarmi in un mondo che non ha mai visto il sole. Per settecento ore sarei rimasto isolato senza sentire il tepore dei raggi primaverili. E se l'umidità della grotta (100%) avesse tenuto costantemente bagnata la brandina e la mia tuta? Ero abbastanza attrezzato per vivere in quell'ambiente? L'ora X era arrivata.
Calati gli ultimi pezzi del campo, dovevo solo salutare e scendere a mia volta nel pozzo, che quella notte mi sembrava più profondo e buio di sempre. Cosa sarebbe accaduto la prima notte? Quando avrei perso il ritmo circadiano? Davanti a me avevo solo dubbi e domande. Gli addetti ai lavori prevedevano il mio ritiro già alla seconda settimana. L'aria pesante della grotta colpì i miei sensi violentemente, ero ansioso.
Nella prossima puntata: Ambientamento difficile e ingresso nel "mondo senza tempo"