Quando sono nato, nel 1984, le avventure epiche alla Marco Polo, Magellano, Amundsen, Bonatti, Cousteau, Messner, si stavano trasformando in sport estremi e sterili spettacolarizzazioni televisive, in cui spesso la tecnologia comanda sull’uomo o dove bisogna a tutti i costi battere dei record.
Oggi la situazione è ulteriormente degenerata. Chi, come me, ha un grande amore per l’avventura, ma non vuole diventare un “attore” o non ha le capacità dell’atleta dell’estremo, può quindi inventare i propri obiettivi guidato dalla propria curiosità, cercando di trarre, dal loro raggiungimento o fallimento, la massima esperienza possibile. Un’ esplorazione più interna che esterna. Forse l’unico genere di avventura che non potrà mai mancare all’uomo, data la sua intelligenza limitata davanti ai grandi misteri, può essere il tentativo di conoscere se stesso e dare un proprio senso alle cose.
Dai miei primi reportage in zone martoriate dalla guerra, Ossezia del Nord, Sahara Occidentale, Bosnia, ho sempre cercato di persona le informazioni che volevo ottenere, necessariamente di prima mano. Le successive traversate di Europa, Asia e Africa a bordo di una vecchia Y10 in occasione di Mongol e Africa Rally, la Marsala-Torino in bici per il Centocinquantesimo, mi hanno aiutato a capire meglio quale poteva essere il mio approccio alla scoperta del mondo. Paradossalmente però, una delle esperienze più importanti di questo percorso ha preso forma proprio dietro casa, nel fiume Oreto di Palermo, un rigagnolo d’acqua lungo 21km che attraversa la città e ne raccoglie parte degli scarichi fognari.
Risalire a nuoto e a piedi l’Oreto, da solo, potrebbe sembrare un’idea stupida e banale, ma mi ha dimostrato quanto l’ignoto del non-luogo urbano possa essere affascinante. La scoperta di luoghi nascosti e incantati del fiume che tutti ignorano, mi ha dato un gran senso di pace e ha aperto un “dialogo” tra me e le sue acque. Impensabile da una semplice osservazione da lontano e soprattutto possibile grazie all’amplificazione delle emozioni dovuta alla solitudine. Per questo ho poi deciso di passare un mese in solitaria a 30 metri di profondità, in una grotta del Monte Pellegrino, sempre a Palermo. Senza luce naturale, in un campo di appena 6 metri quadrati, senza orologi, internet, telefono, ho assaporato l’assenza del tempo. In una grotta o in un fiume, il tempo sei tu. Con una certa curiosità anche di sapere come il mio corpo avrebbe reagito a queste nuove situazioni, ho cercato di immaginarmi parte della roccia, parte dell’ acqua, nel tentativo di ricucire parzialmente lo “strappo”, ormai irreparabile, nella comunicazione tra l’uomo e gli elementi. Il senso di fragilità provato in quei silenzi mi ha affascinato e turbato tanto da convincermi a misurarmi con esso più spesso.
Attratto dallo Yukon-Territory e dalle leggendarie imprese legate a esso, sto organizzando la mia prossima spedizione in canoa lungo il fiume della Gold Rush. Tuttavia, non avendo ancora trovato dei supporter, ho deciso di partire in autostop da Toronto e cercare sostenitori direttamente a Dawson. Con l’occasione racconterò questi 7000 km attraverso il Paese più grande del mondo con dei resoconti periodici che potrete leggere in questa rubrica. In seguito, riassumerò per voi, a puntate, le mie precedenti avventure, sperando di viverne insieme sempre di nuove.