Innumerevoli possono essere le declinazioni di un commiato amoroso. Distante da facili romanticismi e armata di graffiante ironia (e autoironia) la cantautrice Diana Tejera con il suo settimo disco, il terzo da solista, Mi fingo distratta, uscito il 13 aprile 2018, ne offre un sapido e multiforme assaggio. Nel corso di 12 tracce l’autrice assembla infatti il suo mosaico sulla fine di un amore – o anche di più amori – con toni poco solenni ma assai ficcanti, passando musicalmente dall’orchestrale a staccati swing-jazz, dall’intimo al quotidiano, dall’universale al più minuto particolare, in un amalgama sempre continuamente ricondotto nell’alveo di una personalità autoriale non cede mai il passo al cliché, al già noto o ascoltato.
Il disco si apre con Resto sola, una ballata malinconica e ironica, un po’ amara e tanto liberatoria, quasi un inno programmatico a quanto seguirà di lì a breve. Il brano si inaugura con una delicata intro al piano che è preludio però a un ritornello sferzante che recita spavaldo “brindo alla tua assenza e resto sola”, pronto a incarnare le varie modalità di una solitudine già matura e ben digerita che si libra infatti nel finale in un crescendo di archi, impeccabile viatico alla libertà e all’autodeterminazione.
La chitarra elettrica è invece protagonista fin dalle prime note di Parentesi di delirio, il primo singolo del disco, qui più che altrove l’arrivo del reparto archi suggerisce un esplicito apparentamento con i grandi classici della canzone nostrana di stampo sanremese (alla Pino Donaggio, per capirci), mentre gli intervalli swingati in stile anni ’60, il testo improntato a una disillusione surrealista e gli interventi ai fiati di Ersilia Prosperi -che con Diana Tejera aveva già dato vita al duo ED MONDO -, conferiscono al pezzo quella vivace, giocosa e riottosa ironia che caratterizza l’interno album dell’artista.
Se la classicità viene momentaneamente ritrovata nel successivo Dritto negli occhi, il successivo Attraversatemi è netta espressione di un’anima più esplicitamente rockettara, quasi alla Franz Ferdinand, coadiuvata poi da suoni elettronici graziosamente vintage e da un testo sorprendente e imprevedibile venato di un’esplicita comicità, che ben risuona in quel ritornello che reclama imperativo “attraversatemi, mi faccio cassa di risonanza”.
Altra fondamentale anima di Mi fingo distratta è quella che sposta il cantautorato nostrano oltralpe e oltreoceano, per approcciare la verve recitativa e istrionica di uno chansonnier à la Serge Gainsbourg. Ritroviamo queste suggestioni in uno dei brani migliori dell’album, Abito, dove gli archi lasciano il posto ai fiati cha dialogano esplicitamente con la voce di Diana Tejera, mentre un piano swing-jazz suggerisce un vago romanticismo. La riuscita del brano sta tutta nell’impeccabile e ricercata relazione tra voce e suoni, dapprima intenti quasi a battibeccare tra di loro, per poi unirsi in un amalgama ricco di sfaccettature.
Più apparentabile all’exotica, con suggestioni bossanova frammiste a incursioni di suoni elettronici è il brano Necessità mentre Quando tornano i colori rappresenta di fatto una canzone d’amore senza remore, il lamento a tratti quasi straziante di chi non sa più riconoscere la persona amata. Ma il romanticismo tout court poco si addice a Diana Tejera e al suo Mi fingo distratta, ecco infatti che con il brano Che giornata l’autrice passa a descrivere l’attesa un po’ romantica sì, ma prevalentementemente assai sarcastica, della persona amata per la quale, sia ben chiaro, non è previsto un canino “fare le feste”, mentre è assai gradito un “tienimi stretta come un ombrellone in alta stagione”.
È invece una vera e propria cronaca di una separazione – e qui si torna dunque al tema portante dell’intero album -, con tanto di scatoloni del trasloco già prêt-à-porter Piuttosto che restare con te, amaro resoconto della ripetitività delle situazioni dell’amore, lasciarsi incluso, e, in fondo, anche dell’eterna interscambiabilità di volti, situazioni e persone, a parte il fatto che questa volta, come ben declama la Tejera, “no, non ti do la locandina del film Ferro 3”. Per restare in tema cinematografico è quasi un “sequel” la traccia successiva del disco, ovvero L’intervallo, descrizione di una pausa tra un amore e l’altro, ma anche, di fatto, tra l’essere e il non essere di un amore. Si cambia completamente registro, per lo meno dal punto di vista contenutistico delle liriche con Segreto professionale, il cui testo è incentrato sulla memoria personale, familiare, di un rapporto tacito e segreto, con la figura autorevole di un padre medico. Si tratta di una ballata intima che chiosa sul dialogo tra uno straziante assolo di chitarra e la dolcezza dell’acustica. Ancora la chitarra acustica è protagonista insieme ai fiati della title tack Mi fingo distratta, che chiude in maniera succinta e con una punta di amarezza il disco di una cantautrice matura, ben consapevole che anche l’apocalisse di un addio può arrivare con passo felpato e con tenerezza, e allora è meglio essere attrezzati con una certa determinazione e l’opportuno sense of humour.
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