Che l’Italia non sia un Paese per giornalisti non è affatto una novità. In tutte le classifiche che parlano di libertà di stampa, il Belpaese figura costantemente a bassa quota, ben peggio di quello che ci si aspetterebbe per uno stato occidentale, democratico ed economicamente sviluppato come il nostro. Secondo la classifica dell’anno 2018 di Reporters Without Borders, siamo infatti al 46esimo posto su 180 Paesi in classifica, con già un significativo balzo in avanti di 6 posti rispetto all’anno precedente. Il trend è positivo (da notare che, da quando Donald Trump è presidente, siamo solo un gradino al di sotto degli Stati Uniti), ma il risultato resta deprimente – perché rimaniamo, tra i Paesi occidentali, rigorosamente tra gli ultimi -. Le cause sono diverse e concomitanti: si ricordi almeno l’ineliminata influenza della mafia sul nostro territorio, ma anche una concentrazione di potere editoriale e potere politico che resiste al tempo che passa e alle campagne di opinione. Un risultato su cui peraltro pesa, in questi giorni, la condanna dell’illustre organizzazione che vigila sulla libertà di stampa dei recenti, incresciosi “incidente” che hanno avuto come protagonista Mario Landolfi, già ministro delle Comunicazioni per il governo Berlusconi nel 2005 e nel 2006, e il presidente di Federbalneari Renato Papagni.

L’ex Ministro Landolfi ha aggredito, colpendolo con un sonoro schiaffo, il giornalista Daniele Lupo, inviato di “Non è l’Arena” (La 7), “colpevole” di avergli rivolto delle domande sulla spinosa questione dei vitalizi. Successivamente, Landolfi ha chiesto scusa durante la trasmissione televisiva, ma di fatto non ha spiegato adeguatamente il proprio comportamento, che resta ingiustificabile.
Come se non bastasse, il povero collega Lupo è in buona compagnia. Altro giornalista aggredito di recente mentre svolgeva il suo lavoro, Giorgio Mottola, inviato di Report (Rai Tre), che ha avuto l’ardire di mostrare dei documenti con la foto di alcuni progetti di costruzioni illegali in quel di Ostia al presidente di Federbalneari Renato Papagni. Il quale ha cercato di infilare, con vero savoir faire (permetteteci un po’ di amarissima ironia), nella bocca di Mottola le carte che documentavano l’inchiesta.
“Reporters Without Borders condanna l’inaccettabile comportamento dell’imprenditore e dell’ex ministro italiano che, in due episodi separati la settimana scorsa, hanno reagito violentemente a domande imbarazzanti poste da giornalisti. RSF chiede un riscontro alle autorità italiane”, si legge nel comunicato rilasciato dall’organizzazione. “Questi atti di aggressione sono un fastidioso memento di come il clima di ostilità e disprezzo verso i giornalisti in vari paesi europei faciliti pericolosamente il passaggio dalle parole alle azioni”, ha dichiarato Pauline Adès-Mével, presidente della sede europea e balcanica di RSF. “Rispondere con la violenza a domande ordinarie poste da giornalisti è semplicemente inaccettabile e indegno di politici e imprenditori in un Paese democratico. Invitiamo le autorità italiane a reagire velocemente, per non permettere che attacchi di questo tipo rimangano impuniti, cosa che ingoraggerebbe altri episodi di violenza di questo tipo”.