È un Istituto Italiano di Cultura gremito e commosso quello che ha accolto questa mattina, a New York, il ricordo di Mario Fratti, il commediografo scomparso il 15 aprile a 95 anni nella sua casa dell’Upper East Side.
Introdotte dal Direttore dell’ICC, Prof. Fabio Finotti e dal Console Generale Italiano Fabrizio Di Michele, le gesta e le opere di Fratti sono state raccontate da persone che il grande drammaturgo abruzzese (nato a L’Aquila il 5 luglio 1927) lo hanno conosciuto bene.
Patrick Hoffmann (Direttore e Curatore del Theatre on Film and Tape Archive), Dan Friedman (Direttore artistico emerito del Castillo Theatre), Anthony Tamburri (Dean del John D. Calandra Institute) e Maury Yeston (Compositore e Paroliere di Nine), hanno regalato aneddoti lavorativi e personali condivisi in decenni di carriera passati accanto a Fratti.
Tanti applausi, infine, per il discorso di Valentina Fratti, figlia di Mario, che con un sentito e intimo monologo ha voluto dare l’ultimo simbolico saluto a un padre con cui ha avuto una relazione a tratti burrascosa.

“Oggi posso parlare solo per me stessa. Ho avuto un rapporto affettuoso, complicato e a volte frustrante con lui. Era un uomo che credeva nella giustizia, nella generosità e nei diritti dei lavoratori. Sarebbe stato felicissimo di vederci riuniti oggi nella Giornata internazionale dei lavoratori. Il rapporto con mio padre è cambiato in modo significativo quando mia madre è morta trent’anni fa. Abbiamo condiviso il dolore per la sua assenza e abbiamo scoperto parti diverse l’uno dell’altra. Dopo il suo 90° compleanno, papà è diventato confuso, cosa che mi ha spezzato il cuore perché la sua mente era tutto per lui. Però mi ha permesso di entrare nella sua vita: finalmente aveva capito che potevo aiutarlo. Per fortuna non ha mai dimenticato chi fossi e siamo entrati nel lato più tenero del nostro tempo insieme.
Sarei ingiusta se non dedicassi un’attenzione particolare al buon amico di mio padre, Piero Picozzi, che è diventato mio buon amico e fa parte della nostra famiglia. Mario e Piero ridevano. Molto. Piero preparava piatti meravigliosi, guardavano insieme il calcio, i telegiornali e i film della Rai. Tra la pandemia e la sua condizione, incapace di girare per la città andando a teatro, mio padre ha passato molto tempo a casa. Anne, di cui adorava la risata, Millie, il nostro cane i cui baci lo confortavano, e io ci univamo regolarmente a mio padre e a Piero. Lui ha vegliato su mio padre, come un compagno e un figlio. Se non fosse stato per Piero… non avrei avuto tanto tempo con mio padre.
Papà, è difficile non pensare a te che sorridi, flirti e seduci in ogni dove. Per tutta la vita, quando me ne andavo o quando lui riattaccava il telefono, gli dicevo: “I love you” e lui rispondeva: “I love you more”.
Anche nell’ultimo mese, quando parlare era diventato difficile, riusciva a pronunciare quelle parole.
Quando non ci riusciva, mi stringeva la mano. L’ultimo giorno non ha avuto la forza per stringerla e io ho capito cosa stesse per accadere.
Ti voglio bene papà, spero di sentirti dire sempre ‘I love you more'”.