Giovanni Morassutti, attore, regista, imprenditore culturale. Apparso in una ventina di film fra cui Last Days di Gus Van Sant, in teatro ha lavorato molto con Ellen Stewart e il suo La Mama Theatre. Formatosi a New York, ha poi lavorato anche in Europa e fondato due residenze internazionali per artisti, in Friuli e a Berlino. Lo abbiamo incontrato a Park Slope e conversato tra un tramezzino e un caffè.
Per cominciare raccontaci le tue origini.
Sono nato a Padova dove ho vissuto fino al termine del liceo, o meglio dei vari licei che ho frequentato, Tito Livio, Cornaro, Dante e Fermi, non ero un alunno molto diligente… Pensavo al teatro, al cinema e all’arte più che alla matematica o al latino… Proprio a Padova ho iniziato a recitare e ho conosciuto per la prima volta il Method Acting grazie a Susan Strasberg. A Padova ho invitato ad insegnare nei primi anni del 2000 il fratello di Susan, nonché figlio di Lee, John Strasberg, con cui poi ho studiato e collaborato per tanti anni sia in Europa che a New York.
Qual è a Padova la tradizione della tua famiglia?
Da parte di padre provengo da una famiglia di imprenditori, originari del Friuli Venezia Giulia, niente a che fare con la recitazione anche se un antenato, in arte Franco Zaccarini, fratello della mia bisnonna Emilia Buzzaccarini, faceva il cantante lirico.
Cosa ti manca di Padova?
La mia famiglia di origine, alcuni amici, la pizza di Orsucci e i tramezzini del bar degli spritz.
Come sei arrivato a New York la prima volta e come mai hai deciso di viverci?
Avevo 16 anni, ero venuto a trovare mio cugino Stefano Morassutti Vitale, che viveva a Long Island, ed è stato amore a prima vista. Devo molto a New York, mi ha fatto diventare la persona che sono oggi. Mi sono sempre sentito a casa qui. Sono d’accordo con John Steinbeck che diceva che dopo aver vissuto a New York e dopo averla fatta la propria casa, nessun altro posto ti soddisfa altrettanto.
Che cosa rappresenta lavorare nel mondo dell’arte fuori dall’Italia?
Ho sempre desiderato lavorare a livello internazionale e il mondo dell’arte me lo consente. Mantengo un piede in Italia attraverso il progetto della residenza per artisti Art Aia Creatives In Residence e questo mi permette di rimanere legato alle mie origini. Come attore ho un agente anche in Italia e mi capita di andarci per lavoro. Conoscendo bene l’Inglese intendo lavorare sempre di più a livello internazionale.
Come è nata l’idea di questa residenza per artisti?
Da un sogno, una visione. Ho immaginato nella casa di famiglia a Sesto al Reghena, in Friuli, una residenza artistica internazionale. Il vecchio centro agricolo popolato da artisti al lavoro sul loro processo creativo. Mio padre aveva ospitato degli artisti e mi ha ispirato. Ha contribuito anche il mio rapporto con Ellen Stewart e il teatro La MaMa di New York dal momento che anche loro hanno una residenza per artisti in Umbria, dove ho trascorso diverse estati. Infine mi ha ispirato la mia esperienza di key student presso l’HB studio nel West Village.
In che modo il mestiere di attore e quello di imprenditore nel mondo dell’arte si completano?
Entrambi richiedono l’accettazione del rischio e la necessità di avere coraggio. Come attore la creatività è una componente fondamentale, ma anche la produzione di progetti culturali come mostre, residenze per artisti e la rivalutazione di spazi può essere molto creativa ed essere fatta in maniera artistica. Nel mio caso specifico, essendo anche regista teatrale trovo molte similitudini tra l’organizzazione di eventi e il curare la messa in scena di uno spettacolo. In più collaborare con altri artisti è una profonda fonte di ispirazione.
Come ha inciso il Covid sui tuoi progetti?
La pandemia ha avuto un forte impatto sul mio lavoro. Ho chiuso uno spazio a Berlino e ho deciso di tornare in Italia per un anno. Ora che le cose sembrano tornate alla “normalità” sono tornato a vivere a Berlino dove a breve intendo aprire un altro spazio artistico.
Quali sono state le tue ultime esperienze americane?
Sono stato invitato come relatore a Boston alla conferenza International Opportunities in the Arts dalla curatrice Mary Sherman, la fondazione TransCultural Exchange’s Betsy Carpenter e dal Rudi Punzo Memorial Fund, per illustrare le strategie per l’implementazione di progetti interdisciplinari che incorporano arte, teatro, scienza, ambientalismo e business. È stata un’esperienza molto stimolante che mi ha dato modo di confrontarmi con colleghi molto preparati sul tema della sostenibilità nelle arti e della Climate change art. Dopo la conferenza sono venuto qui a New York dove mantengo delle solide amicizie e delle collaborazioni di lavoro. Sono stato felice, ad esempio, di rivedere il mio maestro di recitazione.
E qui a New York dov’è che ti senti bene e ti piace camminare?
New York la amo tutta ma sono particolarmente attratto dai quartieri di Brooklyn che stanno subendo una sorta di gentrificazione artistica come Bushwick con i suoi loft, Bed Stuy e Sunset Park. In questi giorni ho avuto modo di conoscere anche la bellezza dei ponti e del suo skyline. Quando sono arrivato mi sono comprato un paio di sneakers e quando cammino per la città mi sembra di volare.