La vita continua e così è nata Nooria, la figlia di Shafiq, l’autista afghano che per anni ha lavorato con i giornalisti Rai a Kabul ed ora è al sicuro in Italia con la sua famiglia. Nooria ha visto la luce in un ospedale italiano e la sua mamma ha potuto partorire assistita da medici esperti. Nella foto che Shafiq mi ha mandato Nooria è tutta vestita di bianco, ha le braccine spalancate, fa molta tenerezza e appare indifesa come tutti i neonati. E’ una gran bella bambina alla quale auguro un mondo di felicità in Italia.
Non sarebbe stato così scontato partorire in sicurezza nell’Afghanistan dei talebani, dove si sta consumando una gravissima crisi umanitaria e tre milioni di bambini sono malnutriti e un milione, denuncia l’Unicef, rischia di morire di fame e di malattie facilmente curabili se ci fossero le medicine. Shafiq è arrivato nel nostro paese con il ponte aereo organizzato da Farnesina e Ministero della Difesa in agosto subito dopo il ritorno al potere dei talebani. Mi ha mandato un messaggio chiedendo aiuto, ho fatto quello che ho potuto, e in tanti si sono dati da fare per portare in salvo il maggior numero di afghani possibile.
Nel nostro paese ne sono arrivati 5000, siamo stati quelli che ne hanno accolti di più in Europa. Abbiamo ancora negli occhi le tragiche immagini di Kabul, con le persone in fuga dalle vendette degli integralisti, i corpi che volavano dalle ali degli aerei in fase di decollo e la gente che si accalcava all’aeroporto Hamid Karzai, in quel budello di terra polverosa con i canali di scolo a delimitare il percorso. Le mamme che passavano i figli più piccoli ai soldati al di là del muro di cinta per non farli schiacciare dalla folla, i padri che tenevano per mano i più grandi per non perderli nella calca.

Sono numerose le famiglie afghane, le madri mettono al mondo almeno 5 o 6 figli a testa. Anche Shafiq era in quel girone dell’inferno con la moglie, i loro 5 figli la sorella e tre nipoti. Il miraggio era riuscire ad arrivare ad Abbey Gate, la via verso la salvezza, oltre la quale c’era la pista con gli aerei diretti il più lontano possibile dai talebani. Ci sentivamo al telefono mentre cercava di risalire la calca ed è stato un grande sollievo sapere che ce l’aveva fatta a raggiungere i nostri soldati e poi dopo due giorni di attesa imbarcarsi verso Roma. Poche ore dopo un kamikaze, ricordate, si è fatto esplodere in quell’aeroporto facendo una carneficina.
Shafiq ha lasciato tutto quello che aveva a Kabul, un pezzo della sua famiglia, la casa e una vita decorosa. Da oltre tre mesi è nel nostro paese inserito in un programma di accoglienza. Ha terminato i colloqui con la commissione incaricata di seguire le richieste di protezione internazionale degli afghani e tra pochi giorni riceverà lo status di rifugiato, avrà i documenti necessari per stare in Italia legalmente e trovare un lavoro, una volta imparata la lingua. I suoi figli più piccoli già vanno a scuola, quelli più grandi stanno frequentando i corsi di italiano. E’ assistito da una cooperativa e vive in una casa in campagna con altre tre famiglie afghane. Tra qualche mese dovrebbe essere affidato ad un Comune inserito nei progetti SAI, il sistema di accoglienza e integrazione. Ogni volta che lo sento per prima cosa mi ringrazia, ma io ho fatto solo quello che andava fatto e la fortuna ci ha assistito.
”Va tutto bene e sono felice in Italia, mi ha scritto oggi, e anche i miei figli sono contenti”, ma il pensiero è costante a chi è rimasto in Afghanistan. “I problemi di sicurezza ed economia peggiorano di giorno in giorno” dice.

Da mesi ormai gli afghani non ricevono lo stipendio, i fondi internazionali sono congelati nelle banche per decisione degli americani presa dopo l’arrivo dei talebani. Shafiq sente spesso i suoi familiari e ancora pochi giorni fa, saputo dell’attivazione dei corridoi umanitari, mi ha chiesto di provare ad aiutare le famiglie di due poliziotti che rischiano la vita a Kabul. Mi ha raccontato che i talebani si sono presentati a casa loro per arrestarli e siccome non li hanno trovati hanno iniziato a sparare contro la casa ferendo alla mano il padre di uno dei due agenti. L’uomo è stato amputato. Ho spiegato a Shafiq che ormai è difficile inserirsi nelle lunghe liste di attesa preparate dalle organizzazioni non governative italiane per portare in salvo i loro collaboratori che vivono nascosti in case rifugio, nel terrore che gli integralisti possano trovarli. Non per tutti c’è un lieto fine.
Non sarà facile neppure per Shafiq che spera di poter lavorare al più presto. Vuole diventare indipendente e guadagnare per mantenere la sua famiglia. Sta imparando la nostra lingua e non appena avrà lo status di rifugiato potrà farlo. “ Facevo l’autista, dice, ma farei qualunque tipo di lavoro”.