La giornata era iniziata sotto un cielo nuvoloso e con una spossatezza generale dovuta al caldo afoso tipico dell’estate Newyorchese ma, man mano che il giorno progrediva, per tutti gli Italiani a New York iniziava quella che sarebbe diventata una giornata indimenticabile. Un fiume di messaggini e telefonate, la ricerca frenetica di un posto dove incontrarsi con gli amici per andare a vedere la partita che ci avrebbe poi visti campioni. Iniziarono a volare nomi di pizzerie e ristoranti Italiani da Kesté a Ribalta. Dove vai a vedere la partita? Chi viene? C’è posto? Il tutto con una frenesia che aumentava con il passare delle ore.

Alla fine mi sono unito a un gruppo di amici che andavano da Ribalta Pizzeria, che qui a New York è considerata come “Quartier Generale dell’Italia”. Lungo la strada per arrivare a Ribalta ho iniziato a seguire una scia di magliette blu che si dividevano come rivoli a seconda di dove si andava a vedere la partita. Più mi avvicinavo alla pizzeria e più le avenue e le streets diventavano dei fiumi blu.
Appena arrivato a Ribalta, con ben due ore di anticipo sulla partita, l’atmosfera era già incandescente tanto quanto la temperatura fuori. Davanti al locale il gruppo d’Italiani era talmente folto che il fiume blu era ormai diventato un lago. Non siamo mai stati lupi solitari noi Italiani e certe cose per noi vanno fatte insieme, in questo caso più siamo meglio è.

Mi ero incontrato con gli amici in pizzeria, ma il posto da dove avrei poi seguito la partita era in realtà al Consolato Italiano dove il nuovo Console Generale Fabrizio Di Michele aveva aperto le porte agli Italiani per guardare la partita insieme e io ero stato invitato a unirmi a loro. Ho lasciato Ribalta e mi sono diretto in metro verso il Consolato Italiano. Indossavo una maglietta blu dell’Italia e anche nella metro notavo gli sguardi compiaciuti di molti passeggeri che mi sorridevano e ammiccavano facendomi segni di buona fortuna.
Il Console Generale e la moglie hanno fatto sentire tutti a casa, l’atmosfera era molto più serena di quella che avevo appena lasciato da Ribalta, ma questo era solo all’inizio. Non eravamo in molti, forse una sessantina, distanziati. Lo schermo era visibile a tutti da qualsiasi parte della sala e gli ospiti erano uno spaccato d’Italia che raggruppava tutte le generazioni; è li che ho iniziato a guardare la partita e a osservare le emozioni dei connazionali presenti. Avrei potuto voltare le spalle allo schermo e seguire la partita solo osservando gli ospiti senza perdermi neppure un secondo di quello che stava succedendo dal vivo. Ogni volta che un giocatore Italiano sfiorava la palla la reazione era immediata e conforme in tutta la sala.

La partita era iniziata con un misto di tensione e speranza che divenne da subito disperazione e incredulità al momento del primo goal da parte degli Inglesi. Un atmosfera plumbea, come il temporale che era in arrivo fuori, sembrava fosse penetrata dentro le mura del consolato.
È difficile descrivere lo sconforto e il panico dei presenti. Ero lì con mio marito, che è Americano, ma ovviamente tifoso dell’Italia e che spesso ci osserva da lontano con gli occhi dell’anglosassone ormai abituato agli alti e bassi che solo noi Italiani riusciamo a produrre in maniera cosi rapida. Quel goal è stato come se qualcuno della famiglia fosse improvvisamente venuto a mancare tra la sofferenza e l’Incredulità dei suoi cari .
Ho constatato quindi che siamo una famiglia vera e propria, una famiglia unita, compatta al di là della provenienza geografica, dello status e della generazione a cui apparteniamo. Durante tutta la partita osservavo a intermittenza lo schermo e gli spettatori. La tensione era sempre più palpabile, credo si siano vissute nella sala tutte le emozioni umane possibili, dal dolore alla gioia, dalla frustrazione all’incitamento, dallo sconforto all’euforia e sono veramente poche le occasioni nella vita dove nell’arco di 90 minuti si viva tutto questo delirio di emozioni.
L’esplosione di gioia finale è stata poi incredibile e per tanto direi indescrivibile, ma non trovo la necessità descriverla in quanto è stata vissuta simultaneamente dagli Italiani sparsi in tutto il mondo.

Ho avuto il piacere e l’onore di vivere quel momento in Consolato, nella casa degli Italiani, con il nostro Console Generale e insieme a tanti altri connazionali. La visione della vittoria Italiana sullo schermo e l’esultanza dei nostri calciatori rimarrà un ricordo indelebile, come pure l’immagine del Console Generale Fabrizio Di Michele, la sua felicità, la pura incarnazione della gioia mentre era avvolto con orgoglio nella bandiera Italiana.
Dopo la partita sono tornato alla pizzeria Ribalta, la strada era in festa e il lago era nel frattempo diventato un mare blu, con spumante e canti e bandiere Italiane ovunque. Tutti cantavano le canzoni Italiane che ci uniscono da generazioni, offrendo anche un omaggio musicale alla New York che ci ospita e che in questa occasione speciale ci ha osannato in ogni angolo di strada.
C’è una ragione perché diciamo che “noi” abbiamo vinto, “abbiamo” giocato bene, o “potevamo” fare di meglio e certamente, soprattutto in questo caso, non è per usare il pluralis majestatis della Regina ma perché, in effetti, tutti gli Italiani a partire dalla sala del Consolato di New York per passare da Ribalta, e in ogni angolo del mondo, hanno giocato quella partita come se si fosse noi fisicamente e mentalmente in campo. Ci abbiamo messo tutte le nostre forze ma soprattutto il cuore e per questo “ci” meritiamo la vittoria.

Spesso dimentichiamo cosa ci unisce e ci focalizziamo invece su cosa ci divide. Questo è il momento che ci deve far ricordare che siamo tutti Italiani e che ora abbiamo un motivo in più per essere orgogliosi di esserlo.
Non abbiamo bisogno della Regina per essere incoronati campioni, perché “We Are The Champions”.
Viva l’Italia e viva noi Italiani!!