“Avrei voluto fare l’architetto/designer ma nella vita si sa, i piani possono cambiare: per un’occasione, per un’incontro, per un’amicizia o per amore. Non sempre tutto va come avremmo voluto ma, delle volte, va anche meglio di come ce lo eravamo immaginati. Nel mio caso, l’incontro con Renzo Rosso, il fondatore dello storico Brand Diesel, mi ha cambiato letteralmente la vita.
L’ho conosciuto che avevo solo 23 anni e lui 20 e dopo 10 anni di profonda e sincera amicizia mi ha chiesto di occuparmi del settore Marketing, PR e Comunicazione della sua Azienda. Parole sconosciute a entrambi.
Alla mia semplice risposta, che di tutto quello non ne sapevo niente, lui mi ha liquidato dicendomi: “non ne so niente neanche io! Quale miglior occasione per iniziare in un modo nuovo, diverso, innovativo e senza contaminazioni? Gli dissi subito di sì e tutto ebbe inizio. Anni dopo ho scoperto che lui aveva visto in me quelle capacità che io stesso non sapevo di avere e che mi avrebbero permesso di riuscire ad aprire questo nuovo percorso.
Non sono stato il primo e nemmeno l’ultimo ad affrontare una sfida del genere. Il suo intuito, la sua visione e la scelta degli uomini giusti al posto giusto sono sempre state le armi che hanno reso grandi le sue avventure imprenditoriali. È il lontano 1988 quando comincia la mia avventura in un mondo che diventerà la mia vita, fatto di avventure, soddisfazioni, errori e ripartenze, confronti e scontri, scoperte, scelte e decisioni prese su pure sensazioni emozionali, senza paura ma con la consapevolezza che ce l’avremmo fatta. Un vero e proprio laboratorio di esperienze fatte sul campo, in un gruppo dove non è mai esistito l’io ma solo il noi, dove la squadra doveva vincere e alla domanda «dove lavorate?», la risposta era semplicemente: lavoro per Renzo Rosso”.

Inizia così la mia intervista per La Voce di New York. Lui è Maurizio Marchiori, classe ‘52, veneto di nascita con una capacità innata per tutto ciò che ruota attorno alla creatività, attorno al business e al Team work e con una forte e costante curiosità su tutto quello che lo circonda. E’ stato lui, attraverso la gestione del Diesel Creative Team, a creare le irriverenti e ironiche campagne pubblicitarie premiate più volte al famoso Festival di Cannes e che hanno fatto conoscere Diesel in tutto il mondo (For Successful Living), cambiando per sempre il sistema di fare comunicazione. Hanno creato un impero, con la sola strategia dettata dal cuore.
Dopo più di 13 anni con responsabilità internazionali, nel 2001 arriva a New York. Inizia la sua avventura americana come responsabile del settore marketing della filiale, dove contribuisce in maniera efficace alla crescita del Brand nel mercato Nord-Americano e dove rimane ininterrottamente sino al 2005, anno in cui decide di fare un cambiamento. Cambiamento da lui definito un’operazione a cuore aperto senza anestesia, quella di lasciare l’azienda per poter affrontare nuove sfide.
Quello stesso anno si trasferisce in Belgio (Liegi), nel quartier generale Europa della Suzuki dove, come Direttore Generale del comparto della Superbike, gli viene affidato il compito di trasferire le vittorie delle competizioni in azioni di vendita e di marketing.
Ma la velocità di quei bolidi da corsa non va di pari passo con la velocità delle sue idee. È il suo mondo, ha sempre avuto la passione per i motori, ma si scontra con la poca propensione al cambiamento, al rischio dell’azienda e dei suoi dirigenti e una certa chiusura di “classe” per chi non è giapponese. Rientra nel 2007 a New York, dove crea TAR, una rivista “manifesto” semestrale, successivamente acquistata dal Gruppo Mondadori, che unisce business, arte e tutto ciò che riguarda l’innovazione, quest’ultima il suo chiodo fisso, la sua carta vincente.

Una specie di “bible” dove spiegare che l’arte o i cosiddetti contenuti artistici, potevano essere trasferiti al mondo del business, in una vera e propria alleanza senza contaminazioni o compromessi. L’arte ha sempre avuto bisogno delle “sponsorizzazioni” dei mecenati, che una volta erano Papi, Regine e Re, ora si chiamano Prada, Armani, Gates.
“Non è cambiato niente, anzi, è la conferma che la visione che avevo avuto si è rafforzata ancora di più. Oggi un artista è anche una delle massime espressioni di marketing integrato a un prodotto o a un’azienda che si contaminano fra di loro”.
Passa poi attraverso altre sperimentazioni lavorative in diversi settori del Business che lo portano al giorno d’oggi ad una sola certezza, NYC. “La città che mi aiuta a non diventare vecchio, ad inventarmi ogni giorno qualcosa di nuovo, a crescere e ad imparare, mettendomi sempre e costantemente alla prova, sotto esame.
Qui ho imparato a capire che esiste uno stress positivo, a gestirlo capendo per primo me stesso ed i miei limiti senza però mai abbassare l’asticella.”
Perché hai lasciato l’azienda Diesel dopo tutti questi anni di grande collaborazione?
“Perché ho capito che l’azienda era diventata troppo grande e nella sua crescita aveva perso quei valori con cui era cresciuta ed in cui mi riconoscevo, e non potevo pretendere che l’azienda potesse cambiare o adattarsi a me. L’amicizia con Renzo ha poi fatto il resto ed alla fine ho preferito privilegiare questa, preferendolo come amico che come “capo”. Al contempo faccio una promessa: non lavorerò più per un’altra azienda di Denim. Certe esperienze sono come i tatuaggi, devono rimanere per sempre”.
C’è sempre un prima ed un dopo da raccontare in tutte le storie. Ora dimmi, il tuo “dopo Diesel” è un lieto fine?
“Assolutamente sì. I cambiamenti portano sempre ad una crescita sia professionale che personale, soprattutto quando queste vengono fatte in totale indipendenza, con coraggio, senza pressioni ed al momento giusto. Con la convinzione che se si chiude un ciclo subito se ne può aprire un’altro, il cosiddetto “Circle of Life”.
Come è cambiato il lavoro in quest’ultimo anno e mezzo?

“La pandemia ci ha messo di fronte ad un cambiamento epocale. Ci sono venuti a mancare tutti quei parametri su cui avevamo creato le nostre convinzioni, il nostro pensiero, le nostre strategie. Il mercato è cambiato, il consumatore è cambiato e le aziende e le persone che non sapranno ri-presentarsi in maniera nuova affonderanno nella banalità del “déjà-vu”. Di certo però questa crisi ci ha fatto aprire gli occhi su tante cose; la potenza devastante del digitale ma allo stesso tempo l’enorme importanza del capitale umano su tutti i processi. Le componenti e le aree del business in un’azienda si devono ora allineare perché sono diventate tutte fondamentali. Allo stesso tempo siamo diventati tutti più sensibili, ecco che abbiamo cominciato a pensare di più all’etica, alla responsabilità e alla sostenibilità. Abbiamo capito che, per qualsiasi prodotto, chi muove oggi il business sono le “community” con cui bisogna dialogare, cercando di capirne i loro interessi, i loro desideri e le loro aspettative. Oggi serve e servirà più che mai circondare qualsiasi prodotto dalla cosiddetta “experience”, trovare una alleanza vera tra retail fisico ed il retail digitale (e-commerce), siamo di fronte ad un nuovo inizio”.
Come è nata la tua idea di business?
“Molto semplicemente ho cercato di capitalizzare anni di esperienza, connessioni e competenze nel creare un’agenzia che io definisco “liquida” nel senso che può crescere e decrescere in maniera organica a seconda dei clienti (che noi chiamiamo Partners) e dello scope of work. Siamo così in grado di formulare delle collaborazioni sia con aziende grandi o anche con semplici start up o ancora addirittura operare nel campo del personal branding senza caricare verso i partner le spese fisse. Allarghiamo il team con l’innesto di specifici freelance che portino valore aggiunto al progetto stesso nella direzione unica di usare le leve del marketing e della creatività x la crescita del business. La nostra è una formula di consulenza che definiamo invisibile, non vogliamo apparire ma integrarci in maniera strategica al team dell’azienda che alla fine saranno gli attori reali di un possibile cambiamento indicato e suggerito da noi. Quindi è nostra responsabilità anche la loro crescita professionale. Le aziende, i Brands raggiungono gli obiettivi solo se le azioni strategiche partono dal loro interno prima che si arrivi al mercato o al consumatore stesso”.

Quanto è importante avere dei dipendenti preparati affinché un’attività abbia successo?
“Oggi più che mai contano le competenze, le conoscenze e la professionalità, è la cosa che ho imparato dal primo giorno che sono arrivato a NYC e sono venuto a contatto con la mentalità anglosassone. Qui le porte sono tutte aperte ma si chiudono subito se non operi in maniera qualitativa e per il raggiungimento dei risultati promessi nei tempi e nei costi indicati dal progetto stesso. Il rispetto dei timing o le pianificazioni sono fondamentali e se ci riesci il mercato ti paga. Questo è quello che mi piace degli USA”.
Dimmi tre punti fondamentali per diventare un imprenditore di successo
“La leadership, il saper delegare, il saper prendere decisioni”.
Cosa si impara dai fallimenti?
“Nel vocabolario cinese non esiste la parola fallimento, è sostituita dalla parola cambiamento. Fallimento è proprio una brutta parola, si può sbagliare ed è solo attraverso gli errori che si impara. La cosa fondamentale è la reazione agli errori, una volta capiti e metabolizzati non faranno più parte di noi sia dal punto di vista personale che professionale”.
Quanto bisognerebbe insistere su un’idea o un progetto prima di rinunciarvi ?
“Dipende da quanto ci credi. Ma allo stesso tempo bisogna saper capire ed accettare che magari la strada scelta o voluta non è quella giusta, gli indicatori ci sono basta saperli vedere o sentire. Certe volte non serve buttare giù il muro a testate, guardiamo prima se c è una porta od un passaggio e soprattutto confrontiamoci magari con qualcuno che ne sa più di noi”.
Quali sono le strategie migliori per raggiungere il successo a lungo termine?
“Quelle che crescono in maniera organica e nei tempi giusti. La maggior parte delle volte le accelerazioni o le crescite repentine non costruiscono la piattaforma solida per un business long-term. Credo che la pazienza ripaghi sempre”.

Quali consigli dai per migliorare la propria attività di marketing?
“Lo studio e l’attenzione alla parte strategica del business in direzione della crescita dello stesso e soprattutto negli ultimi anni l’integrazione con la strategia digitale, fondamentale x comunicare con la nuova forza che muove il business: le communities”.
Come gestisci la paura?
“Affrontandola! La maggior parte delle volte le paure sono solo dentro di noi e non nel percorso che vogliamo fare. Questa è una ragione per cui ho tatuato nel mio braccio, born in Sparta in greco antico. Gli Spartani non conoscevano la paura, io nemmeno”.
Tecnologia fa rima con passione?
“Siamo in piena era tecnologica e sempre di più le persone e le aziende scoprono il valore del human capital. La tecnologia non va rifiutata ma va guidata ed a guidarla saranno sempre i valori che contraddistinguono i rapporti umani in qualsiasi campo. Oggi più che mai vince la squadra, le contaminazioni a tutti i livelli, l’apertura mentale, le diversità, l’onestà ed il saper riconoscere i propri limiti e dare sfogo sempre alla curiosità, l’antidoto che non ti farà mai invecchiare. Il cervello non invecchia mai, basta alimentarlo con stimoli continui ed usarlo al massimo delle sue potenzialità. Il resto? Semplici algoritmi, numeri, statistiche che vanno interpretate e poi applicate. L’uomo e la donna dovrebbero essere sempre al centro del sistema il resto periferia”.
Cosa succederà dopo la pandemia?
“Dobbiamo tutti capire che il mondo, il mercato, le persone non saranno più gli stessi. Di conseguenza saremo noi a dover cambiare presentandoci in maniera diversa, attuale a quelle che saranno le nuove condizioni sia professionali che personali. Se non lo facciamo tutta la sofferenza patita in questi mesi non sarà servita a niente. Alziamo la testa, guardiamo avanti, prendiamoci cura di noi stessi e degli altri, della nostra casa (il pianeta). La vera forza sta in quanto riusciremo a modificarci in maniera positiva per alimentare altra positività. Crediamo prima di tutto in noi stessi ed abituiamoci a parlare di meno ed ascoltare/ascoltarci di più”.