I Trampiani non sono una stranezza. Patrick Ruffini, uno stratega digitale repubblicano, ha dichiarato a Buzzfeed: “Il patrimonio italiano è stato un indicatore significativo del sostegno di Trump”. È una tendenza ovvia e che, a mio parere, darà il colpo finale alla nostra comunità.
L’avvento del Remix “Make-America-Great-Again” e “White-Nationalist” ha beccato gli italoamericani nel giusto momento storico, nel mezzo di una crisi culturale. Abbiamo dimenticato quel tanto che basta della nostra eredità per essere accettati nella supremazia bianca, e ci aggrappiamo a stereotipi indegni per esibirci come buffoni del mondo bianco.
Come primo esempio, ecco Teresa Giudice, simbolo dell’umorismo, che grida “Prostituta sgualdrina!” Lasciatevi stupire mentre ci abbaglia con la sua abilità artistica!

Quando è arrivato Trump, eravamo pronti. Basta guardare i gruppi Facebook italoamericani, le pagine di meme e i fumetti del “Ritorno al passato” che riciclano le stesse vecchie barzellette intrise di misoginia, omofobia e razzismo, per vedere che l’odio ribolliva tra noi alla ricerca di un canale. Donald è stato quel canale, dando ai suoi seguaci ciò che hanno sempre desiderato: una maggiore accettazione della dominanza bianca e facili capri espiatori su cui appuntare il proprio scarso successo.
Ma c’era un intoppo nella nostra ritrovata accettazione: non molto tempo fa eravamo noi gli “sporchi immigrati”. La nostra vergogna provoca una “schizofrenia culturale”. Ora, nella nostra realtà parallela ci voltiamo e facciamo agli altri ciò che in passato ci hanno fatto. Stanislao G. Pugliese, professore alla Hofstra University ha detto: “Potremmo sottolineare – parola per parola – che quello che alcuni italoamericani dicono oggi sui recenti immigrati, è stato detto degli italoamericani anni fa. ‘Loro sono sporchi. Sono criminali. Sono pericolosi. Si rifiutano di parlare la lingua. Approfittano solo del sistema. Non diventeranno mai ‘veri’ americani”.

Noi sosteniamo: “ma eravamo diversi, immigrati migliori”. Le nostre delusioni di grande diaspora ci fanno ignorare le verità scomode. Frugando nella nostra visione idealizzata, c’è il ricordo nascosto che non tutti noi parlavamo inglese, né avevamo una grande esperienza di patriottismo. I non-anglofoni e i sostenitori di Mussolini si nascondono nei nostri alberi genealogici accanto ai nostri discendenti antifascisti e attivisti sindacali, altrettanto non riconosciuti. Ma nella storia della nostra versione siamo scesi su Ellis Island attraverso immacolate ali angeliche. Dunque, mentre eravamo sostenitori entusiasti del White Nationalist Mashup, in realtà non eravamo ancora completamente integrati.
Poi è stata abbattuta la prima statua di Colombo. Nel momento in cui è caduta a terra, quelli tra noi sono accorsi a difendere il loro falso idolo, deridendo apertamente l’importanza della rivolta – e in un’occasione, sputando addosso ai manifestanti e usando nomignoli razzisti, li hanno chiamati “spazzatura”. Quello è stato il momento in cui quei segmenti della comunità italoamericana si sono fusi con il nazionalismo bianco. All’improvviso, deturpare un simbolo falso della cultura italoamericana è diventato come essere “antiamericani”. Nella nostra mente illusa, un assalto ad una statua è diventato un assalto agli italoamericani e, quindi anche all’America. E così, siamo diventati parte della narrativa nazionalista bianca!

Pateticamente, all’insaputa degli schieramenti, l’indignazione per l’iconografia di Colombo non aveva nulla a che fare con gli italoamericani. Siamo l’ultimo problema nella mente delle persone, perché come gruppo etnico abbiamo smesso di contare qualcosa, eccetto in alcune aree metropolitane, dove contiamo comunque poco e non conteremo ancora per molto.
La nostra insistenza culturale sugli stereotipi è noiosa per le persone (vedi il disegno di Tracy Ullman: pochi ruoli disponibili per un ex membro del cast di “The Sopranos” che continua a fare lo stesso), ma soprattutto per le giovani generazioni di italoamericani, che sono sempre più apatiche riguardo la loro eredità. Non posso biasimarli, poiché le nostre istituzioni culturali e la nostra comunità non apportano più sostanza alle nostre tradizioni. Già la Festa di San Gennaro è significativa quanto una rievocazione storica come Colonial Williamsburg.
Se continuiamo ad aggrapparci agli stereotipi e non riusciamo ad espandere la nostra immaginazione culturale, allineandoci con un gruppo che ci accetta solo perché odiamo – entro un decennio sfumeremo in una nuvola di fumo di pistola di un potenziale mafioso, che vuole dire “ok, ci penso io”.
Il paradosso è che riconoscere e accogliere la nostra diversità potrebbe salvarci. Non siamo più un gruppo unito; oserei dire che ora siamo in gran parte “intersezionali”. Essere italoamericani è ormai un’esperienza complessa. Siamo come “Latinx”. Siamo neri, siamo gay. Gli italoamericani sono anche questo e tanto altro, ma non lo sapremo mai se indossiamo cappelli che significano: “Mantenere l’America Bianca”.
Questo momento storico passerà, e con esso tutte le persone che credono che Colombo dia loro un significato. All’alba di quella nuova era, le poche impronte di un’identità perduta, crolleranno.