Nessuno comprende il dolore degli altri. Sembra che di questi tempi l’empatia sia cosa rara. Ogni giorno siamo raggiunti da notizie terribili ma difficilmente toccano il nostro cuore perché non riguardano la nostra vita.
Quando nell’Eneide Didone chiede ad Enea di narrargli la guerra e la caduta di Troia, egli le dice: “Regina, tu mi chiedi di rinnovare un grande dolore”. C’è sempre pudore a narrare le disgrazie subite e le proprie miserie, se si ha dignità. Enea narra con la vergogna del vinto, ma Didone lo ascolta e soffre con lui: condivide la sua pena perché già lo ama.
Quanto ho detestato Odisseo, uomo senza valore che riesce a prendere Troia con l’inganno. E il suo nome significa proprio “odioso”. E’ sempre il più scaltro colui che vince, sembra dirci Omero. Ma gli dei gliela faranno pagare: gli dei servono per questo. Per ristabilire l’ordine delle cose, che è anche far capire agli uomini che con gli imbrogli non si arriva lontano, anzi si rischia di perdersi, di essere imbrogliati a propria volta, come succederà ad Odisseo.
Ognuno si misura con il proprio braccio: se è una persona retta pensa che lo siano tutti, se è falsa pensa che lo siano tutti; così se il primo finisce fregato dal secondo, il secondo perde l’occasione di rapportarsi a una persona retta. Ho notato pure che chi più si lamenta dei torti subiti e chiede con insistenza di esser risarcito, di solito è quello che viene ascoltato. E’ facile commuoversi sentendo solo chi si professa offeso, senza indagare come tutto successe e come andarono le cose. Il carnefice si professa vittima e la vittima diventa carnefice.
Nell’intellighenzia politica italiana poi c’è un pregiudizio di fondo: chi non era partigiano, era fascista, uno sporco fascista. Noi esuli e figli di esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia siamo considerati tutti fascisti e quindi inascoltabili: dobbiamo essere cancellati dalla storia. Nel secondo dopoguerra solo noi abbiamo pagato con le nostre terre, con le nostre case, con le nostre tombe, con le nostre vite le nefandezze del regime fascista. Ma se tutti gli italiani erano fascisti!
Come tutto è cominciato.
All’inizio dell’ 800 l’impero austriaco cominciò ad applicare il sistema “divide et impera”: agli italiani della Costa orientale venivano slavizzati i nomi, erano privati del lavoro, confiscate le terre a favore degli slavi, che gli austriaci avevano trasferito sulla costa dall’interno, al fine di metterci in minoranza e reprimere possibili moti irredentisti volti a unire Istria e Dalmazia alla madrepatria.
Alla fine della prima guerra mondiale all’Italia, pur vincitrice, non erano state assegnate l’Istria e la Dalmazia promesse dai suoi alleati. Per ritorsione, nel 1920, durante il governo Giolitti, squadre neofasciste diedero fuoco alla Casa del Popolo, che bruciò per tre giorni, perché di fatto era un centro di spionaggio stracarico di bombe del neonato Regno dei serbi, croati e sloveni che voleva annettersi anche Trieste. Di conseguenza, durante il fascismo, i contadini della minoranza slovena del Carso triestino vennero privati del diritto di comunella, cioè di coltivare i terreni sopra Trieste e i loro nomi vennero italianizzati.
Alla fine della seconda guerra mondiale, con la sconfitta dell’Italia, all’arrivo dei partigiani jugoslavi in Istria e Dalmazia sono fuggiti 350 mila italiani, 60 mila si sono fermati a Trieste, moltissimi si sono imbarcati per l’America. Vite spezzate, famiglie distrutte. In Italia ci hanno accolto come fascisti, perché fuggivamo dal paradiso comunista, e tali ancora ci considerano.
Tesi giustificazionista
Quindi aver gettato nel 1945, a guerra finita, nelle foibe dell’altipiano carsico di Trieste e in Istria almeno 30 mila civili vivi, lasciandoli agonizzare per tre giorni, sarebbe per la minoranza slovena di Trieste e la sinistra italiana “la logica conseguenza”. Aver mozzato mani e piedi agli italiani in Dalmazia e averli gettati con una pietra al collo in mare, sarebbe la logica conseguenza. Essere entrati nelle case e aver trucidato e saccheggiato sarebbe la logica conseguenza. E’ un’efferata conseguenza. Nella mia famiglia ne abbiamo passate di tutti i colori sia da parte dei fascisti che da parte dei comunisti.
Trieste subì l’invasione dei partigiani jugoslavi per 40 giorni e, se non fosse stato per l’esercito americano che ne fece un protettorato per 10 anni, sarebbe finita come l’Istria sotto il comunismo jugoslavo.
Ecco in sintesi la versione mistificatrice di un avvocato della minoranza slovena, cittadino italiano, che mi ha attaccato su Facebook: “L’Italia non ha mai pagato i danni di guerra – ha invaso l’Istria – l’Istria non era italiana”. Ho ribattuto: “L’Italia ha pagato i danni di guerra con i beni degli esuli, di cittadini privati! L’Istria e la Dalmazia sono state veneziane per 400 anni”. Risposta: “Non avete pagato con denaro. Venezia non era italiana”. Trovo diffamante per il nostro Stato questa affermazione di un cittadino italiano benché di etnia slovena.

(Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)
Il presidente Sergio Mattarella ha incontrato sei volte a Roma il presidente della Slovenia Borut Pahor, il quale ovviamente gli ha raccontato la sua versione vittimista e Mattarella ha deciso di intestate la Casa del Popolo alla minoranza slovena di Trieste. Niente da obiettare se anche la Slovenia avesse restituito agli esuli almeno le case disabitate. Ma Mattarella non ha sentito gli esuli né ha preteso alcuna reciprocità. Ha chiesto invece che il presidente sloveno il 13 luglio venisse a rendere omaggio alla foiba di Basovizza dove i partigiani sloveni gettarono migliaia di civili, donne, vecchi e bambini, soprattutto italiani, ma anche slavi anticomunisti, sostenendo che erano tutti fascisti.
Tesi negazionista
Il 13 luglio, a Trieste, lo scrittore triestino sloveno Boris Pahor, 107 anni, poco prima di esser insignito dall’onorificenza italiana di cavaliere di gran croce, ha dichiarato alla televisione locale che “l’uccisione degli italiani nelle foibe da parte dell’armata jugoslava è tutta una balla”. Secondo lui non è stato gettato nessun italiano. Ci sono finiti dentro, per esempio: mio suocero austriaco, un bambino istriano cugino di mia madre e il nonno sloveno di una mia amica, perché non era partigiano. Lo scrittore Pahor, in odore di Nobel, è un ex partigiano talmente nazionalista da rasentare il razzismo: “Il sindaco nero di Pirano è un brutto segno”.
Slovenia e Croazia sono repubbliche fortemente nazionaliste ma con storia e cultura molto recenti: nei libri di testo non parlano della cultura secolare italiana di Istria e Dalmazia, hanno slavizzato tutti i nomi degli italiani illustri, come Marco Polo, e ora stanno diffondendo la loro versione del dopoguerra attraverso un’infiltrazione di scrittori sloveni e giornalisti di sinistra nei maggiori quotidiani italiani che propugnano le loro tesi giustificazioniste.
Mattarella pensa di aver orchestrato una pace storica, essendo riuscito a prendere per mano il presidente sloveno Borut Pahor e averlo fatto guardare giù nella voragine della foiba. La maggioranza della minoranza slovena con cittadinanza italiana non ha partecipato, non volendo riconoscere il misfatto. Le associazioni degli esuli istriani e dalmati e gli stessi triestini sono stati tenuti a un chilometro di distanza per timore di proteste.
Il presidente Pahor si sente vincitore perché, oltre al riconoscimento materiale, ha preteso che Mattarella rendesse omaggio al monumento di quattro terroristi fucilati dall’esercito italiano nel 1930. Che umiliante pagina di storia quella del 13 luglio 2020 a Trieste. Anche per i presidenti, che hanno imposto una rappacificazione non sentita dai loro popoli.