In questa situazione di lockdown a New York sono emerse delle strategie di adattamento e delle forme di solidarietà che prima non si conoscevano. Ci affascina da sempre, camminando con la macchina fotografica in mano scoprire quello che la strada offre, e in questo periodo in particolare vedere, attraverso persone in carne ed ossa e voce come in una realtà di quartiere le imposizioni e i decreti restrittivi siano stati accolti, interpretati, digeriti, attuati.
Abbiamo così deciso di venire a Boerum Hill, dove abbiamo incontrato la poliedrica Laura Giromini Arrigoni, attrice, blogger, istruttrice di fitness… e non solo.
Nata a Carrara e cresciuta tra Saronno e Marina di Carrara, Laura si trasferisce a Milano a 19 anni. Studia scienze politiche mentre lavora sia come attrice e ballerina (pubblicità, TV ed eventi aziendali) e sceglie di investire più tempo nella sua formazione come performer a tutto tondo. Dopo aver studiato recitazione con Marina Spreafico del Teatro Arsenale di Milano, completa la formazione di musical al Musical The School di Milano aggiungendo anche lezioni di danza con Annarita Larghi e Virgilio Pitzalis e quelle di acrobatica con Gabriella Crosignani. È solo dopo essere stata in scena in “Cantando sotto la pioggia” de La Compagnia della Rancia (con Raffaele Paganini, Justine Mattera, Giulia Ottonello e Gianfranco Fino) che si rende conto di amare il musical e il cinema. Torna a studiare recitazione al Teatro Dedalo e attende i primi workshop di Eleonora D’Urso, con la quale porta in scena anche un pezzo teatrale inedito. Sceglie così di trasferirsi a New York con il marito Luca perché è lì che il cinema indipendente dà il suo meglio. A NYC prima studia con Robert Castle e poi per 8 intensissimi mesi intensi si prepara con Susan Batson – la acting coach di Nicole Kidman e di Lady Gaga sul set di “A Star Was Born”.

Cosa ti ha portato qui a New York?
“La recitazione. Lavoravo come attrice e ballerina in Italia e volevo farlo qui. Nata a Carrara, ho fatto le scuole a Saronno e a 19 anni, dopo aver messo da parte i primi risparmi lavorando come ballerina durante l’estate, sono andata a vivere da sola (in una casa che condividevo con altre tre ragazze) a Milano. Mio babbo mi ha sempre spronata ad essere indipendente e cittadina del mondo. Mentre studiavo Scienze Politiche, mi mantenevo facendo la ballerina e/o l’attrice sia per eventi aziendali che per produzioni teatrali e televisive (tra le varie cose ho lavorato anche per Casa Vianello, Paolo Limiti Show e Raccontami). Ad un provino per Disney Channel conobbi Luca, che come me aveva la passione per l’America. Forse ci innamorammo anche per quello. Insieme siamo arrivati a New York nel 2007 e dal primo giorno ci siamo rimboccati le maniche… finendo subito a lavorare come cameriere lui e come baby sitter io (che ancora non parlavo molto bene la lingua). Luca aveva vinto la Green Card ed è poi diventato cittadino americano mentre per me era un po’ più complicato. Volere è potere. Prima ottenni un visto artistico, poi la Green Card e da 6 anni sono cittadina anch’io. Luca ha aperto due pizzerie – Sottocasa – una a Brooklyn e una ad Harlem, mentre io insegno fitness in palestra”.
Cosa ti manca di Marina di Carrara?
“Di sicuro la mia famiglia. Anche la cucina prelibata di mia mamma, a base di prodotti del campo e pesce freschissimo… e il gelato di Rosellini o i pasticcini di Benito – ho decisamente un debole per i dolci!”
Che lavoro fai?
“Come attrice sto sviluppando vari progetti insieme a colleghi del mestiere che stimo molto e intanto insegno da Crunch, una delle più popolari catene di palestre a NYC, da pole dance a strength and conditioning. Mi piace tantissimo poter contribuire al benessere fisico di chi mi segue e quando uso il microfono mi sembra un po’ di essere sul palcoscenico anche lì! Adoro creare comunità, ed è anche per questo che dal 2009 scrivo VivereNewYork, per condividere “la mia NY” con chiunque la ami. Anche tenere vivo il blog (e i relativi social media) in realtà è diventato un lavoro”.
Come ti ha aiutato NY nella tua carriera di performer?
“Non esiste città al mondo che offra più stimoli, creatività e opportunità di New York. Richiede tantissima energia ed è sempre pronta a ricompensare chi dà tutto. Non ci sono limiti al possibile o ai sogni. Quando condivido idee con amici e colleghi la prima risposta è sempre “cool!””.

Arriviamo alla domanda che più ci interessa: dal tuo osservatorio di quartiere come descriveresti la città durante periodo di quarantena?
“Viviamo a Boerum Hill, Brooklyn, da oltre 10 anni ed è un quartiere che ho amato dal primo momento. Ora ancora di più. Appena è stata dichiarate l’emergenza nazionale (venerdì 13 marzo) mi sono arrivati messaggi da parte dei vicini: c’era chi si offriva di andare a far la spesa per chi ne aveva bisogno, chi raccoglieva fondi per supportare i business locali e chi proponeva di fare mascherine per gli infermieri… un’ondata di solidarietà e amore che avevo vissuto anche durante Sandy. Il 27 marzo per la prima volta ci siamo ritrovati tutti sui gradini di casa o alla finestra per applaudire gli operatori sanitari in prima linea: da allora lo si fa ogni sera alle 7pm e giorno dopo giorno siamo sempre più rumorosi ed entusiasti. È il mio momento preferito della giornata. Finito l’applauso, cinque minuti dopo le sette, seguono le chiacchiere – a distanza. Si scende sul marciapiede per arrivare davanti all’ingresso di casa di qualcun altro e ci si racconta com’è stata la giornata, ci si assicura che si stia tutti bene. Supporto, supporto e ancora supporto. Questa è la mia esperienza della NY THOUGH nel momento delle difficoltà, perché come dice il nostro Governatore Andrew Cuomo (di cui non mi perdo una parola), tough vuol dire anche loving. Il 15 marzo poi, rispondendo proprio ad uno dei messaggi dei vicini, ho iniziato a cucire mascherine in tessuto con una tasca all’interno in cui poterci aggiungere un filtro. Mi è sempre piaciuto cucire (mia nonna era sarta e mi aveva insegnato quando ero piccola) cosi negli anni ho accumulato tantissima stoffa: quale modo migliore di utilizzarla se non facendo qualcosa di utile per la comunità?”
In che modo cucire le mascherine dà un aiuto concreto alla città?
“Le prime mascherine le ho regalate agli ospedali, poi agli essential workers e ora a chiunque ne abbia bisogno. In cambio, se qualcuno ha della stoffa da portarmi (lenzuola o magliette pulite vanno benissimo), posso usare anche quelle per continuare “la produzione”. Riesco a farne da 20 a 40 al giorno e c’è sempre chi ne ha bisogno. Ho conosciuto persone meravigliose che mi hanno ringraziato in ogni modo: dal portarmi del materiale all’offrirmi qualcosa col cuore, dalle candele o saponette fatte a mano ai piatti deliziosi cucinati in casa”.
Insomma, la comunità vince sempre.