“Voglio tornare in Italia, tu pensi di rientrare?”. Ricevo due giorni fa questo messaggio sul mio cellulare, da parte di una ragazza italiana, conosciuta ad Alicante.
Non comprendendo il motivo delle sue parole, chiedo spiegazioni: la Spagna ha bloccato tutti i voli aerei da e per l’Italia.
Cerco, allora, di informarmi meglio.
“Temo di rimanere bloccata qui- mi dice Marina, 26 anni, fresca di laurea in scienze politiche e had Alicante da soli due mesi- in un Paese che non è il mio. Non stanno prendendo, a mio avviso, nemmeno le precauzioni adeguate per far fronte al Coronavirus. Mi hanno già cancellato tre voli, rimborsandomi i soldi del biglietto”.
Dopo un solo giorno dalle misure annunciate dal premier spagnolo, Pedro Sánchez, un centinaio sono gli italiani che non hanno potuto fare rientro a casa dalla penisola iberica.

“C’è gente che mi ha definito matta solo perché io voglio a tutti i costi rientrare in Italia. Credo che sia diritto di un cittadino che si trovi in un Paese straniero poter tornare nel proprio Stato”, afferma con rammarico la ragazza che, continuando, aggiunge ”ho parlato con il Consolato italiano e mi hanno detto che posso rientrare o via mare o facendo degli scali in altri Paesi. La situazione è allucinante. Non sanno nemmeno loro cosa dirti”.
Provo, quindi, a telefonare io stessa al Vice Consolato Onorario d’Italia qui ad Alicante, al Consolato Italiano a Barcellona e alla nostra Ambasciata a Madrid. Nessuna risposta. Una voce registrata ti invita a scrivere una mail alla loro casella di posta elettronica, però non è detto – data la mole ingente di lavoro – che sia garantito che ti rispondano o, se proprio desideri parlare verbalmente con un addetto agli uffici, devi comporre un numero a pagamento, valido solo per la Spagna.
Marina di una cosa è sicura: non vuole in nessun modo rimanere qui e, nel momento in cui gli faccio notare che i collegamenti con l’Italia dalla Spagna sono interrotti fino al 25 marzo, mi contesta:”La mia paura è che le cose, presto, precipiteranno pure in Spagna, perché solo adesso il Governo si è svegliato e ha iniziato ad adottare misure cautelari. Temo che, se dovesse peggiorare la situazione anche qui, poi sarà il mio Paese a non farmi ritornare”.
Leggo tensione, ansia nelle sue parole. Come darle torto?
Io, che da diversi mesi vivo ad Alicante, non ho invece il desiderio di rientrare: ho paura solo a mettermi in viaggio.

Le notizie che mi arrivano, inoltre, sono devastanti: sento quotidianamente i miei genitori e gli amici più cari. Si vive con il fiato sospeso e la paura che tutto possa crollare da un momento all’altro. O forse già sta crollando.
Mia madre, farmacista di professione, è una delle poche persone che in queste ore non resta a casa come tutti gli altri . Mi racconta le sue giornate frenetiche in farmacia:”Lavoro con la mascherina e i guanti. Stiamo consentendo l’accesso, all’interno della farmacia, solo a due clienti alla volta che devono rimanere a un metro di distanza da noi, senza avvicinarsi troppo al bancone. Queste sono misure precauzionali perché siamo esposti al contagio in qualsiasi momento”.
La sua più grande paura è che possano iniziare a scarseggiare anche i medicinali: ”ho chiamato a diversi depositi e persino l’alcol è finito”.
Mi raccomanda di stare attenta: “non andare in luoghi affollati. Cerca di evitare di mangiare fuori”.
Quello che noto invece, nel posto in cui mi trovo, è che nonostante il Governo abbia iniziato ad adottare provvedimenti più seri, non tutti gli spagnoli hanno ancora capito la gravità della situazione.
Parlando con un collega, ad esempio, ho domandato se avesse comprato le mascherine. “La sanità spagnola dice che le mascherine non sono necessarie. Li dovrà portare solo chi è infettato”, mi ha risposto.
In verità, guardando la televisione spagnola, medici e presentatori invitano costantemente a portare le mascherine e lavare le mani: è sufficiente fare zapping da un canale all’altro per constatare che l’argomento principale è il Coronavirus. L’atteggiamento dei media, però, è un po’ diverso da quello assunto in Italia: si cerca di informare, senza innescare il panico.

Ascoltando ieri pomeriggio l’intervista ad un medico spagnolo, mi ha colpito una sua affermazione: “abbiamo la migliore sanità del mondo, non credo possa succedere la stessa situazione italiana e non sarà necessario l’isolamento dell’intero Paese. Riusciremo a tenere tutto sotto controllo”.
Saranno vere le sue parole? Me lo auguro.
Eppure le affermazioni di una donna italiana, residente ad Alicante da diversi anni e raggiunta telefonicamente, dimostrerebbero il contrario:”Sono stata a Roma qualche settimana fa e sono rientrata ad Alicante la notte del 6 marzo. All’arrivo a Roma, il 16 febbraio, i controlli erano massicci: misuravano la temperatura a tutti. Al rientro in Spagna, invece, non ho trovato alcun controllo ad attendermi. Tutto molto tranquillo. Adesso mi sto lasciando prendere dal panico. Non sto molto bene e sto provando a chiamare da quattro giorni tutti i numeri che il Governo ha diramato in caso si temi di aver contratto il coronavirus, ma niente, non rispondono mai. Sarà una semplice influenza, ma voglio aver fatto il tampone e non riesco a trovare nessuno che mi risponda al telefono. La mia dottoressa si è limitata a fornirmi il numero delle urgenze. Che fare?”.
In caso ci si trovasse in uno dei comuni appartenenti alla Comunità Valenziana, è utile sapere che il numero gratuito volto a prevenire la possibile trasmissione del virus e in caso di urgenza è il 900300555.
Il Presidente della Comunità Valenziana, Ximo Puig, solo pochi giorni fa aveva sostenuto che “appena era stato attivato il numero d’urgenza, in brevissimo, le chiamate ricevute erano state 3600”.
“Sarà, ma io da giorni provo a chiamare e non rispondono”, replica la donna italiana.
“E adesso che farai”, le chiedo. “Resto a casa, non voglio essere un potenziale untore”, mi dice.
Il termine “untore” inizio a non tollerarlo e, all’estero siamo visti ormai così.
All’inizio che arrivai in Spagna, quando dichiaravo di essere italiana, le prime cose che mi venivano dette erano “pasta, pizza, spritz” o, male che mi andava, “mafia”. Ora “coronavirus”.
A volte te lo dicono con un sorriso sarcastico, che però fa male, altre ti umiliano.

L’altro giorno, ad esempio, ero alla biblioteca comunale a scegliere un libro da portare a casa. Una signora anziana, appena ha compreso che ero italiana, ha chiesto alla bibliotecaria perché io fossi lì dentro.
Quest’ultima, con un sorriso dolce a me rivolto, le ha risposto: ”Aquí no hay miedo”. “ Qui non c’è paura”.
In un primo momento la colpa era dei cinesi, ora degli italiani. L’ignoranza spinge a pensare che le persone sono il virus, che gli italiani abbiano infettato l’Europa. E allora, alla larga.
Poche ore fa, dal momento in cui sto scrivendo, un’altra scena poco piacevole .
Stavo aspettando, con un’ amica, l’arrivo dell’autobus; vicino a noi una ragazza che, sentendomi parlare del coronavirus e della situazione italiana, ha preso la sua valigia e si è spostata dall’altra parte della strada, ben lontana dalla mia persona. La stessa, però, era senza mascherina, a differenza mia, che viaggio possibilmente indossandola.
Del resto, è difficile trovare in posti affollati – almeno qui ad Alicante – gente che copra il viso con la mascherina. Eppure il virus sta galoppando, in maniera impressionante, anche in Spagna: circa 3000 casi e 80 decessi finora.
Alla stazione dei treni, vedo solo due turisti indossare la mascherina antivirus. La gente è seduta tranquilamente ad attendere di partire, a volto scoperto. La stessa cosa accade anche per quanto riguarda la polizia e gli addetti a svolgere i controlli di sicurezza. Tutti senza mascherina e senza guanti.
Per caso, incontro due colleghi di una televisione locale. Decidono di intervistarmi.
Chiusa la telecamera, mi raccontano che sono lì ad aspettare l’arrivo del treno proveniente da Madrid.
“Pensa – mi dice una dei due colleghi – che il nostro canale ci ha mandato ad intervistare le persone che arrivano dalla capitale, dove ora c’è un numero elevato di infettati e nessuno ci ha detto di indossare mascherine o guanti. Lo stesso Governo non ce lo ha imposto come obbligo. Sappiamo solo che dobbiamo disinfettare spesso le mani e il microfono con l’alcol”.
Vedo la collega della televisione spagnola preoccupata. Una delle poche che, probabilmente, ha compreso che la situazione italiana potrebbe essere anche per loro alle porte.
Io per il resto, anche qui, cerco di autotutelarmi. Faccio lunghe passeggiate sulla spiaggia e provo ad evitare i luoghi chiusi o affollati.

Quotidianamente sento una mia amica che vive a Siracusa e che mi racconta le sue giornate da “reclusa”, a seguito del decreto firmato dal Premier Giuseppe Conte e con il quale il nostro Paese sta cercando di combattere la pandemia del Covid-19. Mi descrive la bella Siracusa deserta. “C’è confusione solo davanti al supermercato e lì va fatta la fila per accedervi”, afferma.
E’ un momento in fondo difficile per tutti: per chi in questo momento si trova in Italia e per chi, come me, è lontano dai propri affetti.
“Questa situazione mi sta causando forte emozioni, sensazioni dentro incredibili”, mi dice la mia amica siracusana.
Oggi, attraverso un audio su whatsapp, la stessa ha voluto condividere con me un suo pensiero: “Pensa, Annarita, che a volte mi viene da piangere. Sai, una persona da troppe cose per scontato nella vita. Poi invece, ad un certo punto, ti alzi un giorno e scopri che ti viene tolto tutto per determinate ragioni. In questo caso, per carità, comprensibilissime. Da un lato c’è la paura, quindi devi rimanere a casa; dall’altro lato, ti senti privato della tua libertà di essere: non tanto di vivere le cose, perché non è il non poter uscire in sé che ti fa stare male, quanto il fatto che non lo devi fare. Sai cosa spero? Che tutto questo passi presto e che si possa tornare ad abbracciarsi più di prima”.
Ed è quello che spero anch’io.
Forse non sarà la stessa cosa, ma non potendolo fare in questo momento físicamente, facciamolo con il cuore: abbracciamoci tutti con il cuore.
Vi abbraccio con il cuore. Rialzati Italia.