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“Io, artista italiana a New York, buttata fuori dal sogno americano”

Laura, che chiamava casa Brooklyn, aveva collaborazioni importanti, ma, partita per l'Italia per rinnovare il passaporto, le è stato revocato il visto...

Marco GraffeobyMarco Graffeo
“Io, artista italiana a New York, buttata fuori dal sogno americano”
Time: 5 mins read

Laura vive al 357 di Graham Street, a Brooklyn, in una stanza affittata da una donna italiana sulla sessantina ad un prezzo di favore. Credo sugli 800-900 dollari, ma la cifra esatta non la so, non la dice neanche me, forse per paura che possa spifferarla in giro. Non lo farei mai. Laura è una ragazza riservata. La chiamo ragazza, ma in realtà è una donna di 45 anni, anche se neppure sull’età lei vuole che si parli. Ogni giorno si alza, si prepara, si mette uno dei suoi vestiti neri che le confeziona Giovanni, un suo amico che fa il sarto per una casa di moda italiana a New York e va a mangiare un boccone da Lella Alimentari, la piadineria che ha sotto casa, mentre il resto del tempo lo passa a disegnare. Non solo disegnare anzi, Laura è una vera e propria artista visuale e riesce sempre a trovare delle idee geniali per esprimere il suo talento. Io non so se sia un requisito necessario per essere artisti quello di avere talento, ma una cosa di cui sono sicuro è che lei ne ha da vendere.

Noi ci vediamo ogni giovedì, perché ci piace andare da Sole Luna, il ristorante italiano gestito da Valerio a Sunnyside, dove abito, che fa la puccia pugliese originale da cui siamo diventati dipendenti. A dire il vero ogni tanto saltiamo perché, mentre io esco solo con pochi intimi a New York, lei ha una vita sociale molto impegnata. Pubbliche relazioni di lavoro, penso, invece no. Lei non si sa molto “vendere”, non agisce mai con doppi fini, si circonda di persone perché le piace dare nei rapporti più che ricevere, ama fare favori, essere a disposizione e davvero è fatta così, tanto che chi la conosce le vuole bene per quello che è – e in molti spesso ne approfittano. Si muove sempre in bicicletta. Hai presente andare in bici per le strade di Manhattan? Un incubo. Io non ho mai neanche imparato da piccolo a pedalare, per cui figurati. Ma lei non sembra curarsi molto del traffico, dei taxi che le sfrecciano così vicino da farla sbandare, delle salite, delle buche nelle strade, dei pedoni distratti che occupano  pericolosamente le piste ciclabili. Vive un po’ in un mondo tutto suo, nel senso che nel suo mondo vive un po’ ingenuamente una felicità fatta di piccole cose, che la rendono sicura e che le danno coraggio.

“Ciao Laura ci vediamo?” “Non posso, questa settimana devo andare a Roma, che devo mettere il visto sul nuovo passaporto perché mi scade”.

Laura è partita e da allora non l’ho più vista.

Cosa è successo?

“È successo che non sarei mai dovuta partire. Se hai un po’ di tempo te lo racconto. Come sai sono andata a Roma per rinnovare il mio passaporto e metterci il visto artistico che già avevo. Sono andata all’Ambasciata Americana e al colloquio, come da routine, mi hanno fatto le solite domande per confermare lo sponsor eccetera. L’addetto alle interviste mi ha ritirato il passaporto, dicendomi che aveva bisogno di una documentazione maggiore e che avrei dovuto mandargliela il prima possibile. Sono tornata a casa, ho mandato tutto quello che mi ha chiesto e sono rimasta in attesa. Ho aspettato una settimana e ho mandato una email per chiedere aggiornamenti. Mi hanno detto di rimanere in attesa. E ho aspettato. Un mese dopo rimando una email e mi dicono di continuare a rimanere in attesa. Così ho contattato un avvocato di New York, che dopo essersi informato mi dice che la mia application è stata messa in Administrative Processing e aggiunge che questa procedura la chiamano il Buco Nero perché si sa quando inizia, ma non si sa quando finisce, può durare perfino anni”.

E tu cosa hai fatto?

“Ho aspettato. E dopo quattro mesi ho riavuto il mio passaporto”.

Bene! E poi?

“Ho aspettato. E aspettato. E dopo aver aspettato un anno e mezzo mi hanno revocano il visto, contestando il fatto che non fossi un’artista. Vivo a New York da undici anni. Undici. Ho sempre pagato le tasse, fatto quello che c’era da fare, non una multa, nessuno si è mai lamentato, ho sempre voluto fare le cose per bene, senza mai neanche pensarci a fare qualcosa che non fosse legale. Non ho mai avuto l’ambizione di trasferirmici a vita, ma stavo collaborando a progetti importanti. Ho sempre avuto quel tipo di visto negli anni passati, sempre approvato da loro e ho sempre lavorato. Mi sono ritrovata senza sponsor e a dover rinunciare a tutte le esposizioni che avevo già in calendario”.

Cosa hai deciso di fare dopo questa notizia?

“Non c’è molto da fare in una situazione del genere, se non arrabbiarsi, sentirsi vittima di un’ingiustizia. Sono tornata in Ambasciata per chiedere un visto turistico, almeno da poter tornare a casa per un paio di giorni e recuperare tutte le mie cose, prendermi indietro tutto quello che fino ad allora mi ero costruita: i miei successi, i miei desideri, i miei progetti, la mia vita”.

E quando torni?

“Non sono idonea per tornare, questo mi hanno risposto. Neanche come turista. L’unica possibilità che ho è trovare un nuovo sponsor e iniziare tutto da capo. Mi sento umiliata, dopo una carriera trascorsa a pagarmi da mangiare grazie a quello che faccio.

New York è fatta così, capace di stordirti e soffocarti. Ti illude di essere a tua disposizione, di servirti di tutto, ma, come ogni cosa bella, spesso ti chiede qualcosa in cambio che non sei in grado di darle”.

Sembra che tutti a New York siano solo di passaggio e che vengano qui cercando di assorbire tutto quello che possono, ma le cose che hanno il più alto prezzo da pagare sono sempre le nostre scelte. Eppure solo se vivi la città nella sua interezza puoi capire la forza magnetica che ti attrae a lei, l’energia che sprigiona da ogni angolo di strada, dalla forza dei suoi abitanti, con i suoi parchi, i ponti, i monumenti, le culture, le diversità. Laura è un’artista capace, non ha bisogno di certificazioni per dimostrarlo, la sua arte parla per lei. E’ solo un peccato che i suoi sogni, i suoi progetti e il suo cuore siano rimasti qui. Se un po’ ho imparato a come costruire ponti nella vita, invece di alzare muri, se qualcosa ho appreso sull’arte di fare della propria esistenza qualcosa di unico, ispirato e grande seguendo le proprie passioni, senza aver paura del giudizio del domani, lo devo soprattutto a lei.

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Marco Graffeo

Marco Graffeo

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