
Justine Elizabeth Mattera non ama passare inosservata. La fluente chioma bionda morbida sulle spalle, un vitino da capogiro e il sorriso disarmante, con trecentomila follower la ragazza americana scoperta da Paolo Limiti è una vera star di Instagram. Sportiva e autoironica, Justine non teme il nudo e delizia i suoi follower con scatti d’autore quotidiani. Ma la Mattera è molto più che una modella. Quasi quarantotto anni portati con splendida disinvoltura, è appassionata di triathlon, sport articolato su tre prove: nuoto, ciclismo e corsa. Mamma di due bimbi, attrice e atleta, non ha un attimo di pausa.
Dopo averla seguita a distanza per anni sui social, la conosco per caso a un workshop organizzato dalla Rocàmbole Events e tenuto da Alberto Buzzanca, fotografo padovano ambito dalle star, a Firenze. Gli impegni sono troppi e sto per rinunciare all’evento, ma alla fine raggiungo la città con qualche ora di anticipo. Alla reception, a pochi minuti dall’inizio del corso, incrocio Justine ancora senza trucco e in tenuta sportiva. Mi saluta con grande cordialità. Io e gli altri partecipanti, dopo aver pranzato in sua compagnia, trascorriamo un’intensa giornata di scatti con una Mattera spumeggiante. A fine shooting, ci chiede di non ritoccare le sue fotografie. Lividi e imperfezioni sono parte di lei, spiega. Non ce n’è comunque bisogno. Apprezziamo la sua spontaneità, così poco comune nelle donne di spettacolo.
Ecco la nostra chiacchierata milanese.
Cominciamo dalle tue origini, Justine. Sei nata a New York. Che ricordi hai della tua infanzia negli States?
“Era un’altra epoca. Erano gli anni settanta. Giocavo per strada, sono sempre stata sportiva. Una bella infanzia a Long Island, nel Queens. In città, ma in una tipica casa americana. Tanti giochi fuori con i miei amici, correre, giocare a baseball, football”.
Quando tua sorella Jessica si ammalò di linfoma di Hodgkin, tu eri adolescente. Adesso è una bellissima donna in salute e dagli scatti pubblicati su Instagram si intuisce la vostra grande complicità. Com’è il vostro rapporto oggi?
“Quando mia sorella si ammalò aveva undici anni, io ne avevo tredici. Non ho mai pensato che sarebbe morta, ho sempre pensato che fosse solo un momento così. Però è stato un momento difficile per tutta la famiglia. In quel momento lei rischiava di morire mentre io stavo bene, così ero lasciata sola a me stessa. Frequentavo una scuola molto prestigiosa in centro e studiavo, studiavo molto anche per scappare.
Ho vinto una borsa di studio e sono andata lontana, a Stanford, dall’altra parte degli Stati Uniti. Adesso riguardando quel periodo credo di non esserci stata abbastanza perché stavo crescendo e i miei genitori erano sempre con lei in ospedale, la malattia è durata diversi anni e li ha messi a dura prova.
Mio padre e mia madre sono stati fortissimi, l’esperienza li ha uniti tanto. Anche mia sorella è molto legata a loro, forse meno a me. Ripensandoci ora mi fa un po’ male, però in quel momento, crescendo, cercavo di pensare ad altro, di essere abbastanza brava e intelligente da scappare via. Adesso, dopo tutti questi anni, sta bene. Ha avuto diverse ricadute, sono sempre tornata quando doveva operarsi. È forte, la persona più forte che conosco. Ci sentiamo abbastanza spesso. Penso che quest’estate verrà a trascorrere le vacanze con me e i bimbi con i suoi due figli. Lo spero. I miei genitori verranno per la comunione di mia figlia, a maggio”.
Quali studi hai fatto? Come andarono i tuoi primi anni in Italia?
“Sono laureata in lettere, inglese, e letteratura italiana. All’inizio studiavo ingegneria meccanica, ma al secondo anno mi sono resa conto che non mi rendeva felice. Preferivo leggere e studiare le poesie. I miei genitori dicevano sempre ironicamente, brava, bella scelta per non lavorare! Però ho imparato bene l’italiano, che non è così scontato per un americano. Non perderò mai il mio accento, ma conosco la grammatica.
L’Italia era molto American-friendly, il dollaro era fortissimo. Studiavo a Stanford in Florence, a Firenze. Ho trascorso sei mesi da studentessa a Firenze. I primi giorni pensavo di aver studiato un’altra lingua. Non capivo nulla, ma stavo con una famiglia italiana: una contessa e i suoi figli in via San Domenico, sulla strada per Fiesole. Loro non parlavano inglese e questa era la cosa migliore per me. Dovevo provare a capire. Camminavo ogni giorno da casa fino a Ponte Vecchio perché pensavo caspita, mangiando tutto questo cibo italiano ingrasserò a non finire! Invece ho iniziato a considerare il cibo in modo diverso. Variando la dieta e mangiando magari anche grassi – rispetto all’America, dove tutto è non-fat – si aiuta il metabolismo. In Italia ho cambiato modo di pensare. Certo, erano gli anni novanta. Non c’erano ancora molti americani, quando camminavo, capelli biondi… pensavo, avrò successo in questo paese.
Quando ho finito di studiare ho lavorato d’estate in discoteca e mi sono rotta la caviglia, non lontano da Riccione. A Cervia mi dissero che non avrei più ballato o camminato allo stesso modo. Mio padre venne in Italia e mi riportò a New York, dove mi aspettava l’ambulanza. Sono stata fortunata, non zoppico neppure! Sono tornata negli Stati Uniti per concludere l’ultimo anno di università, ma sognavo già di tornare in Italia. Sentivo fortemente che il mio destino era qui”.

Paolo Limiti, tuo primo marito, è scomparso quasi due anni fa. Cosa lo colpì della giovane Justine? E com’era lavorare al suo fianco?
“Lo incontrai in corso Sempione, a Milano, nel 1996. Stavo camminando con un fotografo. La mia casa discografica era lì. Avevo fatto un singolo, Feel It, che era stato al secondo posto in classifica e che aveva venduto ventiquattromila copie. Vivevo ancora a Firenze, perché quando ero tornata in Italia avevo scelto la città che conoscevo meglio. Il fotografo mi raccontò che il suo amico Paolo Limiti stava per fare un nuovo programma in Rai, che aveva scritto moltissime canzoni, anche per Mina. Ma io che ne sapevo? Ero americana. Lo incontrammo per caso e me lo presentò. «Sono sicuro che impazzirà per te!», mi disse. All’inizio non alzò nemmeno gli occhi, poi mi guardò ed rimase colpito. Sei uguale a Marilyn Monroe! Mi propose di cambiare le sopracciglia e di tagliare i capelli – li avevo lunghissimi, ricci e biondi, ma non così biondi. «Tu sarai la mia valletta.» Innanzitutto, cos’era una valletta? E dove avrei dovuto fare il provino, a casa sua?
La settimana dopo feci il provino in Rai. La truccatrice sbagliò tutto, era molto imbarazzata. Lui disse no, la voglio così e così, ha fatto il disegno e sono stata ritruccata. L’importanza di un buon trucco! Senza di me, disse Paolo, l’americana, non avrebbe fatto il programma. È stata la mia grande fortuna. Pensavo, lo farò per poco, poi tornerò negli Stati Uniti per cercare un lavoro serio. Invece è durato sei anni, ogni giorno in televisione. Paolo un giorno mi disse: «Non so se sarò mai in grado di amarti come avresti bisogno di essere amata, ma ti farò diventare famosa». A me naturalmente non bastava, però ho preso quello che c’era. È stato una persona molto importante per me. Mi ha dato tantissimo: mi ha insegnato moltissimo. Ero molto innamorata di lui, magari soltanto della figura di lui dati i trentun anni di differenza, anche se ero una ragazza abbastanza colta. Anch’io conoscevo i pezzi degli anni quaranta. Lui era un grande appassionato della storia del cinema americano, delle dive di Hollywood, e anche a me piaceva. In famiglia ascoltavamo i musical. Per questo avevo molto in comune con Paolo. Essendo laureata in letteratura, avevo letto tanto ed ero preparata per un uomo di grande cultura.
Ho migliorato il mio italiano essendo lì ogni giorno. Mi aveva ingaggiato per fare soltanto la valletta, portare i microfoni, non dire mai nulla. Un giorno doveva cantare Fred Bongusto con Minnie Minoprio. Venendo a Milano, la Minoprio viveva a Roma, ci fu un incidente stradale e non potè partecipare al programma. Gli autori dicevano, cosa facciamo, cosa facciamo? Facciamola fare a Justine! Con i capelli tutti ricci, mi sono messa a cantare Quando mi dici così, che mi è venuta abbastanza bene. Da lì Paolo disse adesso ballerai, canterai! Ho cominciato a prendere lezioni, a prendere molto sul serio il mio impegno, rendendomi conto di non essere ancora in alcun modo preparata per affrontare la vita da soubrette. Ho imparato fidandomi di persone veramente capaci, non pensando mai di essere pronta o troppo brava. Mi sono sentita sempre un po’ sotto. Ho lavorato tanto per essere all’altezza e per non deludere Paolo che mi aveva dato questa grandissima possibilità.

Tuo marito Fabrizio è geloso di alcune tue pose hot, ma il vostro matrimonio funziona. Riesci a coniugare sensualità e intelligenza in scatti mai banali, sempre provocatori. Qual è il segreto di una relazione vincente? E perché le critiche sono sempre da parte di altre donne?
“Stiamo insieme da diciassette anni. Siamo cresciuti insieme. È un uomo molto diverso da me, molto più pratico, più ordinato, organizzato. Io dico sempre che aggiungo quel pizzico di sale e pepe! Lo trascino spesso perché lui tende ad essere abitudinario. Nonostante io sia un segno di terra, toro, mi piace cambiare, fare cose sempre diverse e portarmi marito e bambini al seguito. Poverini! Perché spesso e volentieri li porto in viaggio. Io amo viaggiare, amo l’idea di andare in aeroporto e scegliere una destinazione a caso. Sono uno spirito libero.
Ho sempre seguito il mio istinto e le mie sensazioni, con intelligenza, ma ovunque mi portava il vento. Tirava il vento giusto e provavo a interpretare i segni. Io ci credo molto. C’è un libro di Paolo Coelho, L’alchimista, dove è scritto che sul tuo sentiero ci sono indizi, sta a te coglierli. Nessuno ha lo stesso sentiero. Quando ho cominciato a fare fotografie più provocanti le mie amiche, più bacchettone di me, più rigide mi hanno detto ti rovinerai, non possiamo più essere viste con te dopo questi scatti. Cosa vuol dire? A me piace quel tipo di foto. Me lo posso ancora permettere. Anzi, è diventato un segno di emancipazione. Una donna, a una certa età e dopo due figli, sposata, felice può vivere pienamente la sua femminilità. È possibile per chiunque, senza rifarsi tutto il corpo, piuttosto facendo molto sport. Lo sport mi ha aiutata a dare un contenuto a delle foto che potevano essere interpretate come narcisismo. Invece, con lo sport, con il c… che ci si fa, si fa bene e si è di esempio. Questo è ciò a cui volevo portare le persone. Ci ho messo diversi anni, ma adesso lavoro tanto, specialmente per lo sport, per creme e cosmetici, per qualsiasi cosa che ha a che fare con la vita sana e i viaggi.
Conduco un programma su Sky che si chiama In viaggio con Justine, dove faccio vedere le regioni italiane in bicicletta. Faccio la salita in bici, mi godo un bicchiere di vino e poi risalgo in bici (ride) … è un programma stupendo, spero che andrà avanti a lungo. Anche grazie a questo programma ho cominciato a lavorare nel ciclismo seriamente, facendo Tour de France e Giro d’Italia con diversi sponsor.
Hai un fisico invidiabile. Quale sport consiglieresti alle mamme sempre di corsa e con poco tempo a disposizione?
“Bisogna ritagliarsi un po’ di tempo ogni giorno. La costanza ripaga in qualsiasi cosa. Anche se tu vai a camminare per un’ora, magari anche meno, basta mezz’ora, ma di attività dove ti dedichi per un po’ soltanto a te stessa, questo aiuta già immensamente. Anche a livello di testa, perché poi noi donne, che dobbiamo fare mille cose insieme. Meritiamo di regalarci un po’ di tempo per noi. Nessuno ha tempo. Molte persone mi dicono, io non ho tempo. Perché, io ce l’ho? Nuoto la sera alle nove, però faccio le gare. Si può anche andare a pranzo. Io non sono una che salta i pasti, mai. Saltare i pasti per una persona atletica significherebbe non fare metà delle cose che faccio. Però potete mangiare tranquillamente facendo un po’ di esercizio ogni giorno, o almeno tre volte a settimana. Palestra, corsi – io faccio lezioni di danza in gruppo con le mie amiche. È una lezione tosta, ma è bello farlo insieme. Non ci vuole tanto, ma ci vuole la costanza”.