‘The Living Legend of Professional Wrestling’, campione del mondo da record, Bruno Sammartino è morto ieri a Pittsburgh all’età di 82 anni. Da Pizzoferrato, Chieti, la sua famiglia aveva trovato rifugio in Pennsylvania nel 1950, dopo aver trascorso gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale nascondendosi dagli occupanti nazisti nelle montagne abruzzesi e vivendo di stenti.
Nel Nuovo Mondo anche una futura stella fu vittima delle discriminazioni sofferte dagli altri italiani. Sammartino non parlava una parola di inglese e il suo fisico gracile mostrava i segni dell’indigenza economica post-bellica. Per questo ragazzino immigrato, facile preda dei bulli del liceo, il wrestling fu più di un semplice sport: fu una vera e propria arma di riscatto e di liberazione da tutte le ferite che si era trascinato con sé dall’Italia. Le cicatrici sarebbero arrivate ancora ma dal ring, dove il ventiquattrenne Sammartino debuttò con una fulminea vittoria nel 1959.
Un anno dopo per l’abruzzese trapiantato nel nordest americano si aprirono le porte del Madison Square Garden di New York. Di lì in avanti, una catena di trionfi portò alla sfida del 17 maggio 1963 e all’investitura di campione del mondo, titolo che Sammartino mantenne dal 1963 al 1971 e, successivamente, dal 1973 al 1977. La comunità italoamericana di Pittsburgh rischiò di perdere il suo paladino proprio durante questo secondo periodo di successi, quando il lottatore cadde durante una sfida con l’acerrimo rivale Stan Hensen e si spezzò alcune vertebre del collo.
Forse le settimane trascorse in ospedale, forse gli anni che scorrevano inesorabili lo spinsero ad allontanarsi lentamente dalle luci dei riflettori e dal cuore dello scontro, fino al ritiro professionale nel 1981. Pur critico nei confronti di questo riconoscimento, nel 2013 Sammartino è stato inserito dalla Federazione nella Hall of Fame del Wrestling con una cerimonia di premiazione diretta da Arnold Schwarzenegger. Si è spento dopo aver perso la battaglia contro i problemi di salute che da due mesi lo costringevano in ospedale, come ha annunciato la WWE attraverso il suo profilo Twitter.
The one and only Bruno Sammartino was always a FIGHTING champion.#RIPBrunoSammartino pic.twitter.com/NJbwsSTjbJ
— WWE (@WWE) April 18, 2018
“He brought so much great inspiration to so many millions of children…He has made such great contributions to this country.” – Arnold @Schwarzenegger on WWE Hall of Famer Bruno Sammartino. #RIPBrunoSammartino pic.twitter.com/wznmodbkKb
— WWE (@WWE) April 18, 2018
Nonostante il wrestling moderno abbia inficiato la credibilità della disciplina, più simile ormai a una sceneggiata teatrale di attori con scarse doti di recitazione, l’aura di Sammartino è rimasta immutata. Con il duro lavoro e lo spirito di sacrificio, questo eroe dei due mondi è riuscito a realizzare il sogno americano e a diventare un simbolo non solo per Pittsburgh e per tutti gli immigrati che vi si trasferirono, ma anche per il suo paese natale, dove appena un anno fa è stata eretta una statua in suo onore.
Discussion about this post