Ogni sette anni ritornano a Guardia Sanframondi, nel cuore delle colline dell’entroterra della Campania, in provincia di Benevento. Ritornano per i Riti Settennali di Penitenza. Dall’Australia, dal Canada, dall’Argentina. Centinaia e centinaia di uomini e donne e bambini che sono (e si sentono) ancora italiani, anzi guardiesi. Di prima o seconda generazione, l’italiano in molti casi non è semplicemente la loro lingua, è piuttosto una lingua tutta loro, che alterna termini italiani ad espressioni e ritmo inglese, con cadenza tipica del sud Italia e del dialetto guardiese. Uno slang che sembra una nostalgica sintesi linguistica “italoguardieseamericana”.
Nei giorni di agosto, in attesa della settimana dei Riti che quest’anno si sono svolti dal 20 al 27, potevi ritrovarli sul balcone di una casa ora in vendita, disabitata da quando genitori e nonni dieci, venti, cinquanta anni fa avevano deciso di lasciare il belpaese per un pezzo di pane in più. Intenti a lucidare vetri, corone di argento, crocifissi. A preparare le sedie e imbandire la tavola di peperoni imbottiti, parmigiana di melanzane, torte rustiche, taralli accompagnati da aglianico e falanghina, per ospitare amici e parenti devoti alla Madonna in processione. Nostalgici, accomodati sulla panchina di fronte al Municipio o davanti ai bar della loro cittadina d’origine. Emigrati, che facilmente puoi confondere con gli stranieri (circa 40, qualcuno dice addirittura 200) provenienti dagli Stati Uniti, dal Canada, dal Messico, dalla Nuova Zelanda e dalla Scozia, che, pur non essendo guardiesi, del borgo medievale hanno fatto meta stabile, in alcuni casi residenza. Questi ultimi, anch’essi “affezionati” ai riti, pur percependoli come qualcosa di incomprensibile. “Unbelievable”.
Come nel caso di Carlo Roberts che, dopo quaranta anni di attività trascorsa in giro per il mondo come tour operator tra compagnie aeree ed alberghiere made in Usa, ha deciso dal sud della California, di trasferirsi stabilmente a Guardia Sanframondi. Ha comprato casa nel centro storico, l’ha ristrutturata, ne ha fatto la sua prima dimora. Si è innamorata della piccola comunità sospesa nel tempo, dei suoi luoghi ospitali nonostante l’assenza di infrastrutture o trasporti efficienti. Adora i prodotti del luogo, vino, olio, frutta. Adora il rapporto umano distante km 0 con produttori e commercianti, dal barista al fruttivendolo, dal fioraio al macellaio. Conquistata dal mercato domenicale e dalla straordinaria gentilezza dei vicini con le porte mai chiuse, sempre pronti ad aggiungere un posto a tavola. Ha imparato a conoscere Guardia Sanframondi, i suoi vizi e le sue virtù. Tutto o quasi quel che c’era da conoscere di Guardia Sanframondi, perché dei Riti settennali – confessa – sa poco o nulla. Non è una persona religiosa Carlo, ma dei guardiesi rispetta profondamente “the dedication”, la devozione. “It’s unbelievable – commenta Carlo – the strength and the connection of the people with the religion and the history”. Da non credere.
Eh si, perché per capire davvero i Riti – Carlo insegna – non basta un certificato di residenza. Bisogna nascere con il sangue guardiese nelle vene per comprendere le motivazioni di chi decide di indossare un saio bianco, incappucciarsi e battersi il petto con una spugna di spilli fino a sanguinare. Bisogna nascere con il sangue guardiese nelle vene per riuscire a vivere la penitenza e la comunione verso la Madonna Assunta, vestendo i panni di un centurione, di Cristo o di Giuda. Bisogna nascere con il sangue guardiese nelle vene per riuscire a percorrere con una ingombrante croce in mano il ciottolato tagliente e rovente di un borgo in processione, a piedi scalzi e per oltre otto ore.
Tanto sono i Riti Settennali di Penitenza. Sudore e sacrificio e sangue. Sette anni di attesa e sette giorni di processioni. Quattro rioni coinvolti (Croce, Portella, Piazza e Fontanella) che alternano momenti di penitenza a processioni di comunione, rappresentando misteri tratti da passi biblici del Nuovo e del Vecchio Testamento o ispirati a santi anche contemporanei. Oltre mille figuranti, tra uomini, donne e bambini, in religioso silenzio. Ai quali si aggiungono altri mille battenti e flagellanti, incappucciati e in anonimato, che si pentono e si percuotono pubblicamente. Lasciando che quel petto o quella schiena insanguinata, non il loro volto, testimonino il “sacrificio” all’Assunta sotto gli occhi, spesso increduli e curiosi, di centomila turisti e fedeli.
Che si tratti di devozione o si tratti di tradizione, di sicuro c’è un grande senso di appartenenza della comunità che vive e si nutre dell’amore per quella Madonna miracolosa, che ha, nella memoria e nel racconto degli anziani, protetto e salvato il paese da peste e carestie. Alla quale donne e uomini affidano la propria vita e la vita dei propri cari con voti e ori. Una festa senza fuochi d’artificio e senza bancarelle. Una testimonianza popolare, antica ma sempre viva nel cuore del guardiese. Ovunque si trovi e qualsiasi età abbia. Riti che cambiano aprendosi alla tecnologia e al mondo, come fa notare Vittorio Del Vecchio. Vittorio, emigrante, nato a Guardia Sanframondi, vive a Sidney dal 1960. Lì, a parte la sua famiglia e il suo lavoro di tassista (oggi in pensione ma con una società di trasporto taxi che continua a viaggiare) Vittorio ha costituito un Comitato promotore dei Riti dedicati alla Madonna Assunta. Per sentire l’Australia due volte come la sua vera casa. Lui che ha lasciato l’Italia insieme alla famiglia appena diplomatosi da geometra, a poco più di venti anni. Lui che ha aspettato, per ritornarvi, quindici anni e che gli aerei diventassero alla portata di tutti, poiché “per ritornare in Italia con la nave sarebbero occorsi trenta giorni”. Vittorio ha memoria dei Riti settennali del 1949, quando aveva dieci anni di età, del 1956 e con un salto nel tempo delle processioni del 1989, 1996, 2003, 2010. “Non è più una festa solo guardiese. I misteri stanno diventando bellezza, estetica, ricerca di perfezione. Ma così si rischia di perdere, dietro ad un costume o ad un trucco ricercati, il senso del mistero in sé. A parte noi che veniamo da lontano e ritorniamo per fede, i giovani di Guardia oggi purtroppo non la sentono allo stesso modo. Così anche i nostri nipoti o figli nati in Australia che vivono in un contesto di pluralismo religioso”.
Per tenere vivo il legame, anche oltreoceano, con la Madonna Assunta, Vittorio e altri guardiesi ne hanno fatto scolpire una statua e l’hanno portata in Australia, nella parrocchia di San Leonardo a Wallby. “I Riti – spiega Vittorio che è anche presidente del Comitato – da noi sono annuali e non settennali. Ogni anno dedichiamo una giornata alla Madonna, con una processione, senza misteri né battenti o flagellanti, nella quale però c’è l’apertura della lastra con le tre chiavi, così come accade a Guardia ogni sette anni e, infine, un pranzo offerto ai fedeli guardiesi in Australia”. I guardiesi in Australia sono circa tremila. I Riti annuali per loro sono un “get together” aggiunge Vittorio “un’occasione per ritrovarci come comunità”. “I miei figli sanno cosa sono i Riti Settennali, vengono qui a Guardia con il desiderio di portare la statua a spalla. Ho sempre cercato di trasferire loro la mia fede verso l’Assunta, così come mia madre ha fatto con me. Cerco di farlo, non senza difficoltà, anche con i nipoti”. La sua voce è fluida, come le emozioni e i ricordi. Ma alla domanda “I Riti sono più fede o tradizione?” Vittorio si ferma. Non ha bisogno di riflettere per dare risposte. Ma è emozionato. La voce gli viene meno e gli occhi diventano lucidi. Lucidi e umidi come quelli dei fedeli che popolano il Santuario il giorno dell’apertura della lastra, che dopo sette anni si ritrovano al cospetto della loro Mamma. Come quelli che si contendono in processione la statua della Madonna a spalla prima di riportarla in chiesa nell’ultima domenica dei Riti.
“Ognuno manifesta la fede come vuole, ma per tutti noi – riprende a parlare Vittorio – l’Assunta è l’Assunta. Io continuerò a ritornare a Guardia per i Riti per la devozione alla nostra Madonna Assunta, perché nei Riti c’è anche il legame con queste pietre e queste mura, con i luoghi dell’infanzia, dove giocavamo “a mazz’ e piuz” (ndr, gioco antico con mazza e pallina). Ritornerà Vittorio finchè ne avrà forza, dunque, per rivedere il suo paese. Tra sette anni. “Perché – si congeda poiché sono le 8.00 del mattino e dal Santuario il suono delle campane sta per aprire la processione – “devi vivere fuori dal tuo paese per vedere quanto è bello quel tuo paese”.
Ritornerà Vittorio. Ritorneremo anche noi tra sette anni. Non per vedere mani e cappucci macchiati di sangue, ma per comprendere l’identità guardiese e forse italiana, ancestrale, che si nasconde, oltre il sangue, nei Riti Settennali di Penitenza.