Luca Maestri, chief financial officer della Apple, ha aperto il 10 febbraio scorso al Consolato Generale d’Italia a New York, il primo di una serie di incontri, promossi dal console generale Francesco Genuardi, che si concentrano sull’eccellenza del capitale umano nostrano e sulle storie di successo dei top manager italiani che occupano posizioni importanti nella società globale.
In conversazione con la giornalista de Il Corriere della Sera Maria Teresa Cometto, Maestri ha raccontato a una stanza gremita di giovani italiani ingiacchettati e incravattati, ma soprattutti “folli e affamati” (come recitava Steve Jobs), la sua brillante carriera, iniziata con una laurea in economia alla Luiss di Roma e un master in Science of Management alla Boston University. Prima di entrare alla Apple nel 2013, ha lavorato per altre importanti multinazionali come General Motors, Nokia Siemens Networks e Xerox.

Una carriera, dunque, che lo ha portato a vivere in giro per il mondo, dall’Europa all’Asia, dall’America del sud a quella del nord, fino ad approdare a Cupertino, dove la sua giornata lavorativa inizia ogni giorno prima dell’alba. Per il CFO, considerato l’italiano di maggiore influenza nell’economia internazionale dopo Mario Draghi, lavorare alla Apple significa vivere al tempo stesso in un esercito e in un monastero: “esercito”, poiché per sviluppare e mettere insieme prodotti complessi da consegnare tempestivamente ovunque nel mondo, ci vuole una disciplina militare; “monastero”, in quanto alla Apple l’ego bisogna metterlo da parte: contano essenzialmente il lavoro del team e l’armonia di gruppo.
Inoltre, in questo periodo così difficile, la multinazionale si è schierata con i colossi della Silicon Valley contro l’ordine esecutivo con cui il presidente Donald Trump ha sospeso gli ingressi da sette paesi a maggioranza musulmana. Da unico italiano a lavorare alla Apple, Maestri racconta che a Cupertino si possono trovare persone di ogni nazionalità: “Per noi sono steccati inconcepibili: siamo una società aperta con dipendenti di tutti i paesi del mondo. Sono tutti uguali: contano solo le loro capacità, il talento che portano in America e alla Apple”.
A un possibile ritorno in Italia risponde: “Ora come ora, mi piace quello che faccio, ma quando non lavorerò più, credo che trascorrerò parte del mio tempo in Italia. Quando eravamo solo io e mia moglie, era più semplice spostarci. Con i figli le cose si sono complicate e, se ora dovessi dire loro che lasciamo la California, sarebbe una vera e propria rivoluzione”.
Avendo avuto a che fare con giovani di tutte le nazionalità da trent’anni a questa parte, Maestri osserva che quelli italiani non hanno nulla da invidiare ai ragazzi stranieri, sicuramente grazie all’educazione che hanno alle spalle. Sostenitore dell’eccellenza del nostro sistema d’istruzione, Maestri invita le nuove generazioni a puntare sui loro punti di forza anziché sulle loro debolezze, a seguire le loro passioni e ad abbandonare quel senso di rassegnazione generale che regna in Italia, secondo cui si tende a credere che le opportunità siano altrove. “Essere italiano per me è sempre stato un plus, mai uno svantaggio. In Italia ci sono talento e buona formazione. Il prossimo Steve Jobs può essere italiano”. Parola di Luca Maestri.