Non era mai successo prima. Si tratta di una grande novità. È nato il Forum delle Associazioni degli Italiani nel Mondo (FAIM). La novità sta nell’aver messo insieme un organismo in grado di essere punto di riferimento e coordinamento di tutto il mondo associativo italiano sparso nel globo.
Il FAIM nasce il 4 dicembre a Roma, su mandato dell’Assemblea Generale del 3-4 luglio del 2015, e recentemente, il 29 aprile, ha approvato l’atto costitutivo e lo statuto nonché eletto le sue cariche più importanti: Consiglio Direttivo e Consiglio dei Garanti.
Alla più recente riunione, alla quale ho partecipato, è stata convocata la prima Assemblea congressuale. Vi hanno partecipato associazioni provenienti da tutte le parti del mondo. Ricordiamone qualcuna, senza voler far torto a chi, per ragioni di spazio, non è citato: ACLI, Migrantes, FIEI, USEF, UIM, UCEMI, Lucchesi nel mondo, Istituto Fernando Santi, Abruzzesi nel mondo, UNAIE, CTIM, la Comune del Belgio, ecc… .
Quando qualche anno fa feci una “ricerchina” sulla presenza online delle varie associazioni italiane all’estero, venne fuori un mondo diversificato, poco attento alle possibilità della rete, utilizzata esclusivamente nella versione 1.0, come canale informativo e poco di interazione. A suo tempo ciò che mi colpi fu l’estrema frammentazione nelle quale molte associazioni si trovavano, caratterizzate dalla volontà e determinazione di singoli che cucivano relazioni con gli altri italiani, spesso corregionali, del luogo, organizzando eventi, cene, incontri. Oppure aiutavano chi aveva bisogno durante il processo di integrazione nel nuovo paese.
Tuttavia, quel mondo così disperso appariva ai miei occhi potenzialmente grande e forte se solo avesse avuto la possibilità di stare un po’ più insieme o comunque di fare rete. Non è cosa semplice, anche se oggi abbiamo gli strumenti tecnologici che lo permettono. Gli esseri umani, in particolare gli italiani, costruiscono il loro capitale sociale e relazionale soprattutto in presenza, nella prossimità.
Proprio frequentando alcune di queste associazioni, nel mio caso a Parigi, ho capito la loro importanza e forza. Sono agenzie di socializzazione, dove si fa cultura alta e bassa. Quest’ultima è quella che definisce il modo di vivere, che costruisce l’immaginario sociale di se stessi e degli altri. Si tratta di credenze, valori, tradizioni e il modo di intendere la quotidianità. Non tanto sapere scientifico e specialistico. Ebbene, queste associazioni fanno cultura ma non trasmettono solo quella italiana, fanno qualcosa in più. Danno vita ad una cultura ibrida, definita italica. Agiscono come artigiani postmoderni: vivono flussi di esperienze diverse e continue, anche contraddittorie, provenienti dall’Italia e dal paese in cui si trovano, creando continuamente nuovi equilibri, adattamenti, compromessi.
Eppure, prima di vivere in prima persona l’esperienza del mondo associativo italiano all’estero, quello che percepivo da residente in Italia era una totale ignoranza e indifferenza verso quel mondo. Come se le associazioni risentissero ancora delle ferite del peccato originario dell’emigrazione italiana: l’indifferenza dello Stato italiano verso chi se ne era andato. Questa nasceva dalla necessità politica di nascondere quello che agli occhi degli altri Stati poteva apparire come segno di debolezza del nuovo stato italiano: l’incapacità di mantenere i propri cittadini entro i confini nazionali. Le associazioni nacquero in molti casi per iniziativa degli stessi emigrati che intendevano aiutarsi nel difficile processo di integrazione, per conservare e trasmettere alle nuove generazioni modi di vita e conoscenze della cultura di provenienza, nel contesto di un amore mai messo in discussione verso l’Italia.
È un po’ quello che ho sempre notato viaggiando e conoscendo gli italiani all’estero: l’ orgoglio di essere tali rispetto all’autodenigrazione tipica degli italiani d’Italia. Ma se di questo abbiamo già parlato in varie occasioni, quello che ci preme sottolineare è quanto il mondo associativo degli italiani all’estero sia una straordinaria risorsa in primo luogo per gli italiani stessi, se viene conosciuto e riconosciuto.
Pertanto l’iniziativa di un forum che aggrega e coordina le associazioni va nella giusta direzione soprattutto per rispondere alle nuove sfide del mondo contemporaneo.
Il Forum, nelle Linee di Progettualità per l’assemblea Congressuale, sostiene che esso “intende valorizzare l’esperienza storica dell’emigrazione italiane e, in particolare, la sua comunicazione tra culture diverse attraverso il confronto, il rispetto e la comprensione delle diversità…aprirsi ad una più adeguata comprensione del rapporto con i nuovi flussi di immigrazione e di emigrazione dall’Italia, assumendo il grande potenziale critico e costruttivo delle nuove generazioni di migranti, integrandolo con quello costituito dall’emigrazione insediata da tempo all’estero…contribuire allo sviluppo di circuiti di comunicazione e di relazioni tra le associazioni degli italiani all’estero e tra le reti associative e l’Italia…assumere la consapevolezza che l’ ‘italianità’ è un’identità dalle forti radici che…costituisce un’occasione formidabile di comunicazione tra diverse realtà territoriali. linguistiche e culturali”. Si tratta di un organo politico ma non partitico, com’ è stato detto durante l’incontro, e speriamo rimanga tale.
Prendiamo atto delle parole chiave su cui lavorare: comunicazione, confronto, integrazione fra vecchie e nuove generazioni. Lavoriamo a mio avviso su un punto importante: non fermiamoci a quanto l’Italia e gli italiani possono fare per le associazioni ma quanto queste possono fare per l’Italia e gli italiani. Sì lo so…lo fanno già da tempo, solo che molti italiani non lo sanno.