Essere donne e avere successo in un mondo ancora largamente maschiocentrico presenta indubbiamente delle difficoltà e a maggior ragione ne presenta per quelle donne che hanno scelto di vivere lontano dal proprio paese d'origine e fuori dalla loro cultura. La festa della donna può essere allora anche festa d'inclusione e integrazione, quando a venire riconosciuti e celebrati sono i successi di donne provenienti da diversi paesi e che, vivendo e lavorando all'estero, sono riuscite a a raggiungere livelli di eccellenza nel loro campo. È questo quanto avvenuto alla vigilia della Giornata internazionale della donna, venerdì 7 marzo, nella barocca sede del Consolato Polacco di New York. Dieci donne, provenienti da 10 diverse comunità di immigrati presenti nella Grande Mela, hanno ricevuto un riconoscimento per il proprio impegno e i risultati raggiunti in campi che vanno dalla moda, alla scienza, dall'arte alla sanità.
Il premio è promosso dalla Society of Foreign Consuls di New York – cui aderisce anche l'Italia – organizzato dal Consolato del Kazakistan e ospitato da quello Polacco. Quest'anno a essere premiate sono state: per la Croazia, Milka Zepina, per il suo impegno per la promozione della lingua croata negli USA e per la lotta all'oppressione comunista; per la Repubblica di Cipro, Effie Lekas, direttore aggiunto del Centro di Cultura bizantina del Queens College;

Il Console della Repubblica di Polonia, Ewa Junczyk-Ziomecka e il presidente della Society of Foreign Consuls, Mario L. De Leon consegnano il premio alla stilista polacca Karolina Zmarlak
per il Kazakistan, Azhara Mestler, per il suo impegno nella promozione della cultura Kazaka a New York e per il supporto alla comunità di immigrati dal suo Paese; per la Nigeria, Khuraira Musa, innovativa makeup artist; per la Repubblica delle Filippine, Menchu Sanchez, infermiera specializzata che durante il blackout provocato dall'uragano Sandy si occupò dell'evacuazione di 20 bambini affetti da malattie respiratorie ad alto rischio; per la Slovacchia, Katarina Novakova, director of relations per la società di consulenza sanitaria, Blue Horizon International; per la Turchia Pinar E. Atakent, chairman del Dipartimento di medicina fisica e riabilitazione al Long Island College Hospital di Brooklyn; per la Russia, Marina Adamovitch, giornalista ed esperta di cultura russa nella diaspora. Per la Polonia, padrona di casa, il premio è andato alla stilista Karolina Zmarlak, “il cui lavoro – ha commentato il Console generale della Repubblica di Polonia, Ewa Junczyk-Ziomecka, che indossava una giacca disegnata dalla connazionale premiata – ci rende particolarmente orgogliosi. Per anni abbiamo premiato donne che si erano battute contro il comunismo e siamo felici che invece quest'anno, che segna il 25° anniversario della nostra indipendenza, possiamo volgere il nostro sguardo ad altri temi”.
Quest'anno il premio sembra avere un particolare valore per via degli eventi che stanno turbando l'Europa dell'Est. La donna può certamente avere un ruolo di primo piano nell'obiettivo di unire i popoli. E ci pare significativo che la donna premiata per la Russia sia una giornalista. Così come suonano importanti i richiami alle lotte contro il regime comunista ricordate durante la premiazione.

Valentina Castellani e Lucia Pasqualini
Per l'Italia il riconoscimento è andato a Valentina Castellani, direttrice della Gagosian Gallery di New York. Nata a Boston quasi per caso, Valentina Castellani è cresciuta a Torino per poi trasferirsi giovane a Londra e in seguito a New York dove vive da 12 anni e dove, dal 2005, dirige la Gagosian Gallery organizzando anche retrospettive su grandi artisti italiani tra cui, di recente, Lucio Fontana e Piero Manzoni (un artista, quest'ultimo, le cui opere non erano mai state esposte in America). La sua è una storia di successo, ma Valentina Castellani sembra convinta che, se fosse rimasta in Italia, le cose sarebbero andate diversamente: “Andai via dall'Italia inizialmente per amore, ma non penso che in Italia avrei avuto la carriera che ho avuto qui dove esiste una vera meritocrazia. Vedo che in Italia anche le persone brave fanno fatica, mentre qui è pieno di italiani che riescono nel loro campo. E poi New York per l'arte è indubbiamente il posto migliore dove lavorare”.
A rappresentare le istituzioni italiane c'era la vice console Lucia Pasqualini che, da donna in carriera e madre a New York, sa cosa significa affrontare le difficoltà e allo stesso tempo riuscire a perseguire i propri obiettivi. “New York è una piazza diversa dalle altre – ci ha detto la vice console – e non hai difficoltà a trovare donne che si sono affermate nel proprio campo. Questa città non ti mette barriere, come donna, ma è anche vero che chiede molto e bisogna lavorare sodo e sapersi organizzare per trovare un giusto equilibrio. Se poi hai famiglia le cose si fanno ancora più difficili, anche quando hai la fortuna, come me, di avere accanto un uomo collaborativo. Perché ci sono alcune cose che finiscono per ricadere sempre sulla donna: siamo noi ad avere il ruolo di coordinatrici della casa”.
Bisogna essere donne per riuscire nell'impresa.