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A Racalmuto Pasolini incontra Sciascia in un “libro” a cielo aperto

Due autori tra loro diversissimi, eppure quanti punti in comune

Valter VecelliobyValter Vecellio
A Racalmuto Pasolini incontra Sciascia in un “libro” a cielo aperto

Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia

Time: 5 mins read

A una svolta della strada, mentre sali in direzione della Fondazione, il paese di Racalmuto ti appare come ai tuoi piedi. Un monumento sotto forma di “libro” aperto, impone una sosta. Scolpita una frase di Leonardo Sciascia a mo’ di epigrafe: “Ho tentato di raccontare qualcosa della vita di un paese che amo, e spero di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione”.

Poco prima, in paese, un’altra, di inequivocabile sapore pirandelliano; dedicata anch’essa a Racalmuto: “Tutti amiamo il luogo in cui siamo nati e siamo portati a esaltarlo. Ma Racalmuto è davvero un paese straordinario… di Racalmuto amo la vita quotidiana che ha una dimensione un po’ folle. La gente è molto intelligente, tutti sono come personaggi in cerca di autore”.

Infine quella voluta per la tomba dove Sciascia “riposa” dal novembre 1989:  “Ce ne ricorderemo di questo pianeta”, frase di Auguste Villiers de L’Isle-Adam. Significato chiaro in primo acchito; enigmatica, sfuggente, più ci pensi. Sibillina perfino.

In questo microcosmo il cui nome deriva da Rahal Maut (“Villaggio morto”) perché quando vi giungono gli arabi trovano la popolazione quasi del tutto sterminata dalla peste (ma secondo alcuni storici il paese è ancora più antico, la sua nascita risale a Ducezio, re dei Siculi, 460 a.C.) ecco l’illuminismo temperato dall’ésprit di Montaigne, le corde “pazze” di Pirandello, Pascal e la sua scommessa…Un “percorso” dove se non tutto, c’è già tanto di Sciascia. Poi arrivi alla Fondazione, dove si custodiscono parte dei suoi libri, i documenti, lo sterminato epistolario, la collezione di ritratti di scrittori pazientemente inseguiti nelle librerie antiquarie e tra i bouquinistes parigini… Racalmuto è una sorta di isola del Tesoro per amanti e studiosi di Sciascia.

Tra le iniziative della Fondazione che porta il nome dello scrittore, una è una vera e propria golosità: “Sciascia e Pasolini tra i documenti in archivio”. Una mostra curata con competenza e amore da Edith Cutaia e Vito Catalano, un evento che rimarrà aperto fino al 25 febbraio 2023.

Due autori tra loro diversissimi, eppure quanti punti in comune. Uno a Racalmuto, in Sicilia; l’altro a Casarsa in Friuli: come dire due “periferie” estreme, non solo geografiche. Entrambi di “tenace concetto”, incapaci di scendere a compromessi; con dentro dolorosissimi rovelli: Sciascia il fratello morto suicida; Pasolini il fratello partigiano “bianco” massacrato dai partigiani “rossi” nella strage di Porzus; irriducibili “accusatori” di vizi, ipocrisie e conformismi piccolo-borghesi, “eretici”, corsari, scomodi (basti pensare alla denuncia del “fascismo” degli “antifascisti”). Poi le incidenti “coincidenze”: il primo libro di Sciascia viene recensito da Pasolini; “Galleria”, la rivista diretta da Sciascia, che pubblica le prime opere di Pasolini; i comuni amici, da Roberto Roversi a Mario La Cava… 

È il 1951 quando i due entrano in contatto la prima volta: Pasolini ringrazia Sciascia, che gli ha inviato duemila lire per un articolo pubblicato su “Galleria”. Un rapporto epistolare che si snoda per vent’anni. Si scambiano opinioni su quello che scrivono e pubblicano, si segnalano le opere di poeti e artisti, commentano quell’attualità su cui spesso pubblicamente prendono posizione.           

«Ho voluto molto bene a Pasolini e gli sono stato amico anche se, negli ultimi anni, ci siamo scritti e visti pochissimo”, confessa Sciascia dopo aver appreso della morte di Pasolini ucciso all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975. “Quando è morto, e morto in quel modo mi sono sentito straziato e solo, tanto più solo. Dicevamo quasi le stesse cose, ma io sommessamente. Da quando non c’è lui mi sono accorto, mi accorgo, di parlare più forte». 

Non che “prima” Sciascia vivesse appartato e indifferente; ma morto Pasolini sembra raccoglierne il “testimone”. Così nel 1977 scrive “Candido”, dove beffardo e spietato “infilza” il “fare” politico (e non solo politico) della DC e del PCI; si impegna direttamente dal 1979 al 1983 in politica, deputato del Partito Radicale e componente della commissione d’inchiesta sulla vicenda Moro e pubblica “l’Affaire Moro”; fino alla profetica ultima polemica: i “professionisti dell’antimafia”, volutamente fraintesa ancor oggi. 

Per tornare alla mostra: si viene condotti a un “percorso” culturale e ideale straordinario: Sciascia con l’editore omonimo Salvatore Sciascia, a Caltanissetta, dà vita a “Galleria”, che si trasforma in un cenacolo che raccoglie i più autorevoli letterati italiani (siamo negli anni ’50). In una lettera Pier Paolo Pasolini “prepara” la recensione al primo libro di Sciascia; in altre propone la pubblicazione di sue poesie, segnala un racconto di Giorgio Bassani. Amicizia e stima che si consolidano e cementano: “È aumentata ancora, ed era già molta, la simpatia che avevo per te, fino a un vero, forte e commosso senso di fraternità“, scrive Pasolini il 31 marzo 1956 complimentandosi per l’uscita di “Le parrocchie di Regalpetra”. In una lettera del 1968 Sciascia annuncia il suo voto per Pasolini al premio Strega di quell’anno e respinge le profferte ricevute da Alberto Bevilacqua che gli chiede il voto (“…Il suo sistema… non mi piace; e soprattutto non mi piace che l’abbia usato con me…L’offerta da parte sua della realizzazione televisiva di un mio racconto…mi ha sorpreso amaramente. Ho fatto di tutto, infatti, per lasciar cadere l’offerta…che avrei votato Pasolini…”). 

Esposti anche “Il fiore della poesia romanesca”, del 1952, curato da Sciascia con premessa di Pasolini; il libro “Dal Diario” di Pasolini con introduzione di Sciascia (volumi pubblicati dalle edizioni Salvatore Sciascia di Caltanissetta). Ancora: le prime pagine del dattiloscritto de “L’affaire Moro” dedicate a Pasolini (la parte del libro in cui Sciascia cita gli scritti dell’amico sul ritorno delle lucciole e il processo al “Palazzo”); lettere di Vincenzo Cerami, Nico Naldini, Enzo Siciliano che chiedono a Sciascia pareri e contributi; gli articoli di Pasolini dedicati “Todo modo”; la pagina commovente che Sciascia scrive l’indomani della morte dell’amico: “Avevamo pensato le stesse cose, dette le stesse cose, sofferto e pagato per le stesse cose…”.

Carte sottratte all’oblio e alla polvere di un archivio che consentono di osservare e scandagliare l’intenso rapporto di due fra i più grandi scrittori italiani del ‘900. Evocativi, quei “Cent’anni di solitudine”. Antonio Di Grado, direttore letterario della Fondazione, spiega: “Anni di sofferta, ma laboriosa e feconda solitudine, di pensiero critico e arditezze espressive maturati in un laboratorio animato da operosità e genialità mai più viste da allora”. Entrambi “eretici”, aggiunge Fernando Gioviale, storico dello spettacolo e della letteratura: protagonisti di una irripetibile esperienza di due grandi capaci di “diverso parere”. In Pasolini e Sciascia si incarna per l’ultima volta la figura dell’eretico civile, anche se alla fine, per motivi di carattere e di appartenenza, erano “fraterni e lontani”.

Sciascia assiste privatamente alla proiezione dell’ultimo film di Pasolini: “Salò e le 100 giornate di Sodoma”. Ne scrive su “Rinascita” del 12 dicembre 1975 (“Dio dietro Sade”): “Per quanto mi sforzassi non riuscivo a non chiudere gli occhi, davanti a certe scene”. Aggiunge che facendo il film che ha fatto, Pasolini ci avverte di un “pericolo” che incombe e grava su tutti. Lo valuta un film irricevibile per la sua crudeltà e la sua violenza, confessa di aver “sofferto maledettamente, durante la proiezione”. Alla notizia della morte piange addolorato, anche per non avergli saputo esprimere a suo tempo sentimenti umani e di solidarietà nei giorni più difficili. In precedenza, e forse non è un caso, lo aveva fatto solo per Ignazio Silone.

 

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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