“The King’s Speech”, Il discorso del Re. Si parla molto dei discorsi di Re Carlo, impeccabili e accattivanti in questi giorni. A poche ore dai funerali solenni della Regina Elisabetta a Londra, dalla sepoltura formale della grande Sovrana che sparirà fisicamente dall’immagine pubblica per lasciare suo figlio Re Carlo III unico protagonista della nuova vita pubblica inglese, c’è il ricordo chiarissimo di un altro discorso, pronunciato anni fa a Firenze, e di un incontro molto ravvicinato con l’allora Principe di Galles in cui ho scoperto qualità e personalità che dalla semplice immagine mediatica non sospettavo.
Al nostro primo incontro al centenario del British Institute a Firenze, mi fece una battuta a bruciapelo, con un lampo complice negli occhi: “Hanno provato a fermarci, ma ce l’abbiamo fatta!”. Nell’aprile del 2017, il Principe Carlo sapeva che per molti mesi avevo scritto, chiamato, insistito per portarlo a Palazzo Strozzi e in città, dove avrebbe ricevuto, nel corso di una cena nel Salone dei 500 di Palazzo Vecchio, il premio “Uomo Rinascimentale dell’anno”, assegnato dalla Fondazione Strozzi americana.
In quella battuta iniziale di Re Carlo c’era tutto: la sua prontezza di spirito, il suo humor tipicamente inglese, la sua personalità forte – contrariamente ai luoghi comuni – e quella sensazione di complicità, come dire: abbiamo neutralizzato insieme quelle delicate pressioni per convincermi a non accettare questo riconoscimento fiorentino. Perché in effetti il percorso per il consenso finale e formale al premio non fu facile. Poi, una volta comunicato che “Un Gentiluomo Britannico avrebbe accetto il Premio”, si voleva che il “Gentiluomo” non pronunciasse un discorso durante le celebrazioni.

E una volta accettato il discorso si chiedeva di farlo in apertura di serata e non in chiusura come tradizione. E una volta stabilito di farlo in chiusura si tentò di nuovo di anticiparlo, subito, alle 9 di sera, perché a cena il secondo non arrivava e si faceva tardi. Insomma, una corsa a ostacoli. Fu il Principe in persona, con calma serafica e senza che nessuno se ne accorgesse, a risolvere e a mantenere gli orari concordati, ormai a cena in corso. La spiegazione di queste prudenze di Corte era semplice. Carlo era ormai “King Abroad”, la Regina gli aveva già affidato allora, nel 2017, l’incarico di rappresentarla all’estero. La sua tappa italiana era parte di un viaggio di Stato in quattro paesi, con Austria, Romania e Città del Vaticano. E in quel viaggio avrebbe pronunciato un solo discorso. La sede dunque andava scelta bene.
Ben prima di arrivare a quel punto, ancora nel 2016, il Consiglio americano di Palazzo Strozzi, che ho l’onore di presiedere, aveva approvato all’unanimità il riconoscimento di uomo Rinascimentale a sua Altezza Reale il Principe di Galles, ignorando il pettegolezzo facile, le illazioni stampa secondo cui la Regina non l’avrebbe voluto al trono, persino le statistiche, secondo cui fra il 1991 e il 1996 l’indice di popolarità dell’erede al trono era precipitato dall’82% al 41%. Più recentemente, altre statistiche dicevano che solo l’11% degli intervistati lo sceglieva come favorito fra i membri della famiglia reale, davanti a lui non solo la Regina, ma anche i figli e i nipoti. Per decidere su un personaggio sulla carta controverso, ci eravamo affidati alla concretezza dei fatti, alla ricerca sulla sua dedizione istituzionale, alle responsabilità di stato e a quelle filantropiche.
Nei suoi impegni pubblici metteva sempre al centro valori di armonia e stabilità, in quelli filantropici, “the Prince’s Foundation”, aveva 19 fondazioni di cui 17 create ex novo da lui, con missioni diverse, dalla protezione dei ragazzi a quella dell’architettura o dell’ambiente, 8000 persone al lavoro e in più, come nel caso del British Institute di Firenze di cui in quegli stessi giorni celebrava il centenario e dove lo incontrai la prima volta, c’erano quasi 400 fondazioni a cui prestava semplicemente il nome. Insomma, non ci sono mai stati dubbi che il Principe Carlo avesse tutte le qualifiche per diventare la persona rinascimentale dell’anno: è stato un pioniere nell’avanzare le cause ambientali, per proteggere il patrimonio architettonico. La sua dedizione alle “Rain Forest” totale. Il suo rapporto interpersonale facile, simpatico. La sua eleganza, con uno smoking appena liso, straordinaria. Visto da vicino Re Carlo è un uomo con una personalità molto diversa dallo stereotipo che abbiamo ascoltato fino a poche settimane fa da commentatori di corte, pettegoli e faziosi di ogni sorta nella stampa o nei media e televisioni popolari internazionali.

Appena lo scorso giugno Newsweek ha titolato: ”Il Principe Carlo non è adatto ad essere Re”. Sky News Australia l’ha attaccato con virulenza alcuni mesi fa. Persino il 3 aprile del 2017, lo stesso giorno in cui riceveva il premio Rinascimentale Strozzi a Firenze, il New Yorker pubblicava un articolo di Zoe Heller, titolo: “Dove ha Sbagliato il Principe Carlo”. Occhiello:” Il Principe di Galles si rende impopolare al massimo quando fa di tutto per dimostrare di essere un meritevole erede al trono”. Cosa che in realtà non ha mai avuto bisogno di fare.
Nell’articolo la Heller lo martoriava. Mi ha colpito quanto feroci, inutili e presuntosi fossero i suoi commenti, in linea con una platea di critici che lo giudicavano ora da un punto di vista ristretto e bigotto, ora da un piedistallo di superiorità – o per farsi pubblicità. Come Sally Biddel Smith, autrice qualche anno fa di un brutto libro sul Principe, in cui lo definiva come “un gonzo piagnucoloso, pervaso da reazioni isteriche”. Il luogo comune è sempre lo stesso: Re Carlo III non è all’altezza della madre, del suo nuovo ruolo di sovrano del Regno Unito e del Commonwealth, del nuovo mondo multiculturale che si apre davanti a noi.
Un luogo comune che ho sentito declinato anche a Washington, in ambienti politici che fanno fatica a distaccarsi dal quel conformismo, ora retrogrado ora progressista, che ha ingabbiato prima il Principe e ora il Re. Un conformismo anti Carlo dal quale, le immagini di questi giorni, i discorsi del nuovo Re, il suo modo, porteranno, ne sono certo, la maggioranza a cambiare opinione. Mi sono sempre chiesto, con una certa rabbia giornalistica, come mai ci fosse un atteggiamento così negativo, quasi idelogico, un gap così forte fra percezione e realtà, quando si trattava di parlare del Principe di Galles.
Certo, c’era l’ombra lunga della separazione da Diana e la tragica morte della Principessa. Ma anche quando abbiamo appreso che Diana era a sua volta una persona complicata e problematica, la percezione negativa su Charles rimase. C’è la percezione che sia un “attivista”, che entri troppo nella politica con le sue cause filantropiche, premendo ora su questioni ambientali ora sociali. C’è poi il risentimento per la moglie, Camilla era anche lei sotto attacco con caratterizzazioni fuorvianti, perché la Duchessa della Cornovaglia, oggi Regina Consorte, si è rivelata sempre a quella cena, seduta alla mia destra, deliziosa, intelligente, aperta, alla mano, interessata agli altri e alla normalità dei problemi del giorno per giorno, aperta nel raccontare dei suoi figli e della sua famiglia, genuina e di grande umanità.

Carlo avrebbero voluto sposare subito lei, ma non essendo aristocratica gli fu impedito. Fra loro si guardavano, si capivano, era chiaro, visti da vicino, quanto si volessero bene. Ma invece di apprezzare in modo moderno la loro storia finalmente compiuta si spettegola contro. Re Carlo fu spiritoso e simpatico anche quando per un momento, nella cornice celebrativa della serata a Palazzo Vecchio, tra i gonfaloni fiorentini, lo splendido suono delle Chiarine, il sindaco Dario Nardella che gli donava le chiavi della Città, un ricordo affettuoso della sua amica, la Marchesa Bona Frescobaldi, con Leonardo Ferragamo, Andrea Bonomi, Maria Manetti Shrem, schierati sul palco d’onore, e il bel canto di Andrea Bocelli, invece di presentare subito il conteso, discusso, atteso, sofferto discorso ho invitato le 300 presone in sala a passare al dolce.
“What about my speech?” ha incalzato dietro le mie spalle il Principe. “Ma certo – ho risposto subito – Il Rinascimento significa anche sgregolatezza, creatività, Vostra Altezza. A lei il podio”. Ha riso. Hanno riso il sindaco e la platea intera. È stato poi un discorso bellissimo, ispirato, toccante, intelligente, denso di riferimenti storici e filosofici.
Nell’accettare il premio della Palazzo Strozzi Foundation come Uomo Rinascimentale dell’anno, Re Carlo ha ricostruito un percorso allo stesso tempo personale e universale per mettere a fuoco le sfide che ha dovuto affrontare nella sua missione filantropica, soprattutto agli inizi, quando, ad esempio sull’ambiente, veniva deriso e criticato. Ha ricostruito un percorso che lo ha portato a interpretare e riconoscere nelle sfide del nostro tempo partendo dall’insegnamento di Marsilio Ficino e della sua Scuola Platonica. Ma anche dalla Primavera di Sandro Botticelli come emblema visuale di queste sfide che hanno come loro punto di contatto centrale la ricerca di un equilibrio quanto piu’ perfetto possibile con la Natura.
Queste sue fondamenta teoriche hanno trovato un contrappunto nell’azione, nella costruzione di una struttura filantropica che potesse alleviare malanni e risolvere problemi concreti. Non che il percorso per mettere a fuoco la sua missione di filantropo sia stato facile. La dedizione ad opere caritatevoli ha incontrato negli anni resistenze e ostacoli. Ma sono anche diventate un esempio di come si possa lavorare per il bene comune con risultati molto concreti: ha raggiunto e aiutato in 40 anni di lavoro milioni di persone nel mondo intero. Con il suo lavoro, il Principe Carlo ha dunque portato in un contesto contemporaneo la tradizione rinascimentale fiorentina. Le azioni rispondo a una sfida, i risultati diventano un’ancora che puo’ stabilizzare i valori centrali del nostro tempo, quei valori di apertura, di comprensione reciproca e di progresso che troppo spesso sono dimenticati.

E addentrandosi nella sua impostazione teorica e aprendosi allo stesso tempo, il Principe Carlo ci ha spiegato che Botticelli aveva un maestro, una fonte di ispirazione, non un pittore, ma il fondatore dell’Accademia Fiorentina, appunto Marsilio Ficino, un filosofo meno conosciuto fra i grandi del Rinascimento eppure fra i padri dello stesso periodo rinascimentale. E da qui che parte il percorso di filantropo di Re Carlo III. Dalla teoria che tiene insieme l’esistenza di una umanità immersa in un contesto universale molto più ampio, fatto di natura di specie animali di piante e di stelle, quel Tutto in cui noi siamo immersi non può essere separato in modo selettivo o utilitaristico. Ci ha spiegato come, trent’anni fa, partendo da queste considerazioni, ha cominciato a costruire la piattaforma teorica su cui poggiare la sua missione operativa.
Una piattaforma che poggia su alcuni principi chiave, difendere l’integrità del “tutto vivente” di cui siamo parte nel grande disegno della Natura. Il pensiero di Ficino ci ha raccontato il Principe di Galles, è stato poi superato 150 anni dopo dalle teorie del meccanicismo, dal razionalismo, dalla passione per la scienza. Ci ha confessato quanto difficile sia stato per lui 30 anni fa ingaggiare la sua battaglia per la protezione della Natura da intendersi come un organismo vivente autonomo, come una summa di tutte le componenti individuali che la formano. E come sia stato accusato di essere “antiscienza”. Per poi arrivare a una nuova riformulazione di quel tutto essenziale, con la stessa Scienza a dimostrare quanto la Natura sia fragile, sotto attacco, come abbia bisogno di ogni componente. Forse Re Carlo ha pagato per la miopia di chi 30 anni fa lo dileggiava negando che ci fosse un problema climatico, ma era lui ad essere all’avanguardia. E adesso? Ora che è asceso al trono?
Abbiamo già visto una solidità di fondo in Re Carlo III che va ben al di là della straordinaria coreografia che ha accompagnato la sua trasformazione da Principe in Re. La solenne cerimonia di sabato a St James’s Palace, le trombe, le guardie reali coi loro berrettoni neri, gli ex primi ministri, la proclamazione del suo regno seguita da un corale Hip Hip Hip Hurrah, l’omaggio di decine di migliaia di scozzesi a Edimburgo alla Regina con Carlo in alta uniforme, il passaggio a Londra, e i funerali di lunedi’ con cui si chiudera’ formalmente il passaggio delle consegne, hanno già saldato il paese attorno alla sua monarchia. Aggiungiamo la performance impeccabile di Carlo, il primo discorso alla Nazione. È stato di grande dignità, con l’impegno a servire il paese e a chiudere quelle cause filantropiche a lui care, ma forse divisive.
Anche chi resta tiepido avrà scoperto uno sguardo profondo, una voce grave e calda. Il Re ha usato un tono solenne ma intimo, con un forte riferimento alla famiglia e ai figli, si è persino sentito un cenno di commozione quando ha salutato per sempre l’adorata madre, ” My dear Mama”, immaginando, in omaggio a Shakespeare, che fosse “accompagnata dagli angeli”.
Detto questo ci sarà sempre chi continuerà a cadere nel luogo comune anti Carlo, ma saranno sempre meno. Quando scese in Piazza a Firenze, la gente lo assediava come una rock star. Si dirà che all’estero è più facile, il suo problema è più interno, è nel Commonwealth con sudditi che per una ragione o per l’altra – dal suo attivismo a quelle registrazioni non proprio cristalline del suo rapporto con Camilla – sembrano guardarlo con sospetto.
È vero, alcune nazioni potrebbero staccarsi dalla tradizione monarchica inglese. Ma se e quando qualche distacco avverrà – Canda? Australia? – non sarà perché c’è Carlo, ma perché si aspettava la morte della Regina per chiudere con un legame considerato da molti anacronistico. Sempre in quei pochi giorni a Firenze, non poteva sfuggire in Carlo d’Inghilterra un tratto che da lontano potrebbe essere meno riconoscibile: in qualunque situazione si trovasse era facile trovare sempre, nello sguardo, nel sorriso, nel contatto con la gente, una straordinaria carica di umanità. Dalle immagini che abbiamo visto in questi giorni, dai volti commossi al suo passaggio è sembrato che per strada, fuori dalla grande coreografia, se ne stia accorgendo la maggioranza del paese e certamente anche molti dei suoi critici.