Giornalista, manager di altissimo profilo, scrittore: Renzo Mario de Ambrogi e le sue tante vite. Pluripremiato in carriera per l’impegno nella diffusione del Made in Italy nel mondo e lo spessore imprenditoriale del suo operato, oggi continua a non stare fermo sugli allori e a dedicarsi ad un impegno culturale a tutto tondo. Attualmente è Presidente Onorario della Accademia filarmonica G. Casanova di Venezia e VicePresidente della Fondazione Giacomo Casanova, ed è impegnato soprattutto in campo letterario. Il suo nome è legato indissolubilmente alla Famiglia Gucci perché ha guidato a lungo la celebre Maison internazionale nei panni di Direttore Generale internazionale. Ebbe anche il doloroso compito di seguire la celebre faida familiare che portò, con il tempo – e con le liti – alla cessione del marchio.
Dall’Europa all’ Africa, dalle Americhe a tutto l’emisfero asiatico, Mario Renzo de Ambrogi ha girato letteralmente il mondo. E più di una volta. Si può dire che abbia quasi trascorso in aereo più tempo che sulla terraferma.
Renzo, sei stato il Direttore Generale Internazionale di uno dei marchi più importanti del mondo, la Maison Gucci, per ben 16 anni. Inevitabile chiederti come tu sia arrivato a ricoprire questo ruolo. I tuoi esordi, insomma: il vostro rapporto quando esattamente è cominciato? Con chi hai legato di più in questa Famiglia?
“Nel 1973, Aldo Gucci mi telefonò da New York per chiedermi di collaborare con il gruppo per la creazione di una linea di profumi con il loro nome. Io allora ero Amministratore delegato di una multinazionale operante nel settore cosmetici e profumi di lusso. La cosa al momento non la trovai interessante pensando ad un profumo italiano, quando allora le richieste di mercato erano prevalentemente rivolte ai marchi francesi. Mi entusiasmò una frase pronunciata da Aldo: “Vorrei aggiungere una perla alla grande collana dei nostri articoli”. Dopo due incontri con lui, stupendo e carismatico, decisi di accettare l’incarico, ma ad una condizione molto chiara. Volevo operare senza alcuna interferenza da parte della Famiglia. Mi fu accordata, e l’impegno mantenuto. Non fu difficile legare con i Gucci, ma le persone con le quali ho maggiormente interagito in senso positivo furono in primis Aldo, che mi riteneva una sua creatura perché lui mi ha in effetti scoperto, e suo figlio Roberto, divenuto successivamente mio fraterno amico. Roberto era il responsabile di tutti i negozi e i franchising, un vero gentleman; un bravissimo PR ed il miglior rappresentante Gucci style”.
Come sei riuscito a sfondare il mercato americano con la Gucci Parfums, abituato come eri – appunto – a trattare profumi francesi di alto livello? Un profumo italiano teoricamente avrebbe dovuto incontrato troppi ostacoli per sposare il favore del mondo femminile mondiale, e tutta l’operazione avrebbe potuto rivelarsi già in poco tempo un autentico fallimento.
“È vero; ho avuto ovviamente io medesimo tanti dubbi per le difficoltà in cui mi sarei scontrato inizialmente, ma ogni conquista ha un suo prezzo, ed io ero deciso a procedere fino al traguardo. Non mi fu difficile – con il senno di poi – conquistare i mercati europei, essendo io molto conosciuto in questo continente, ma al contempo non mi scoraggiai ad affrontare l’altra parte del mondo. Tre anni dopo, Gucci Parfums era diffuso nei cinque continenti”.
Hai lavorato con la Famiglia Gucci in piena autonomia di linee e decisioni. In seguito, avvenne la cessione della linea Gucci Parfums a una multinazionale americana. Cosa successe esattamente nella tua carriera?
“Con la cessione del profumo, fu naturale che evidenziassi che la mia presenza nel gruppo non sarebbe più stata necessaria. Aldo Gucci, con una affettuosa pacca sulla spalla, mi disse: Caro, tu devi rimanere con noi, e passerai nel settore Moda. Risposi che io la Moda la conoscevo per come mi vestivo, ma non settorialmente. ‘Imparerai’. Questa fu la sua risposta”.
Il prossimo 24 novembre uscirà il film-verità sull’omicidio di Maurizio Gucci, assassinato per volere dell’ex moglie Patrizia Reggiani, con Lady Gaga nei panni della vedova. Nel cast stellare, scelto dal regista Ridley Scott, figurano grandissimi nomi del cinema internazionale come Al Pacino, Robert De Niro, Jeremy Irons, Jered Leto e Adam Driver. Tutto ha inizio, nella realtà, dal capostipite Guccio Gucci.
“Fu l’anno 1995 che sconvolse la Famiglia Gucci, quando il 27 marzo Maurizio venne assassinato a Milano. Attorno a questa vicenda ruoterà principalmente la pellicola di Ridley Scott, così tanto attesa da pubblico e critica. Personalmente, non mi sento di fare commenti al riguardo”.
Dove eri quando successe il fatto? E che ricordo hai tu di Maurizio e di sua moglie Patrizia Reggiani.
“Maurizio lo ricordo come un amico simpatico, con il quale ho fatto dei viaggi all’estero, ma solo per motivi di manifestazioni e non per lavoro. Maurizio viveva con lo zio Aldo negli USA. Patrizia Reggiani Gucci era una buona amica, disegnava i gioielli per la Gucci ed aveva molto estro. Ripeto però che preferisco soprassedere su questo delicato e doloroso passato, che mi sconvolse notevolmente”.
Qualche anno fa in un tuo libro dal titolo Mille vite in una sola hai raccontato questa tua esistenza mai quieta: dalla guerra come giovane Balilla, a corrispondente della Stampa Internazionale Associated Press, dal mondo dei cosmetici alla moda, passando per le più famose Maison internazionali. Sempre sposando con entusiasmo sfide e capacità di adattamento: è stato forse questo il segreto per essere un Number One?
“Non ho mai pensato di volere essere un Number One; ho sempre operato con grande tenacia per le missioni affidatemi, e con orgoglio posso dire che ho diretto quattro multinazionali uscendone con successo, perché il lavoro è sempre importante quando ti convinci che devi gestite una Azienda di altri come fosse la tua. Tutto il mondo si fa da parte per tutti coloro che sanno dove vogliono andare: la penso così”.
So che stai lavorando a più fronti. Accennaci almeno ad uno dei tuoi prossimi progetti.
“Ti anticipo una novità in anteprima. Stanno per iniziare le riprese di un film-documento sulla vita di Aldo Gucci. Ovviamente sarò impegnato per le varie interviste, essendo stato molto vicino a quest’uomo”.
Quale è una memoria bella legata ad un tuo viaggio e che vuoi condividere con noi?
“Nel 1981 organizzai una gita premio negli USA, per i miei più diretti collaboratori. A New York alloggiammo al Waldorf-Astoria Hotel. Aldo Gucci ci organizzò una cena unitamente ai collaboratori americani, esattamente al Windows of the World, il ristorante più alto del mondo situato all’interno delle allora Torri Gemelle. Successivamente, ci recammo a San Francisco per completare la settimana americana”.
Se tornassi indietro, che cosa non rifaresti mai?
“Dubitare sulla riuscita del Profumo Gucci”.
E il passare del tempo che cosa ti ha regalato e che cosa invece ti ha tolto?
“Posso dire che la mia vita è stata molto movimentata e piena di grandi soddisfazioni, quindi rifarei lo stesso percorso”.
Per te è esistito davvero il sogno americano; salutiamoci pertanto con una riflessione sul valore delle passioni e dei desideri, sull’importanza di vivere con coraggio, e coltivando sempre, nella propria esistenza, il talento. E anche sfidando quando serve il fato, perché no. Credendo sempre di farcela.
“Il mio sogno americano è iniziato sin dalla mia infanzia. Nella mia camera avevo una carta geografica dell’America, e ogni volta che la guardavo sognavo di poterci andare. La prima volta che atterrai all’Aeroporto di New York fu per me una emozione così grande…non facile da esprimere. Fu l’inizio dei miei vari giri del mondo. D’altronde, non potrò mai dimenticare neanche il mio primo incarico del dopoguerra, quando mi venne affidato il comando del Fire Extinguishers Depot, nella Base Militare USA di Tirrenia, attuale Camp Derby”.