La severa sorveglianza di Britney Spears non è ancora giunta ad alcun termine. Lo ha stabilito la corte di Los Angeles nonostante la toccante testimonianza dell’artista che in un discorso di 23 minuti ha chiesto disperatamente la sua vita indietro. Da 13 anni la pop star internazionale è infatti vittima di vessazioni nella sfera privata e pubblica per mano del padre Jamie Spears, il quale si definisce garante e manager della figlia. Lo scorso mercoledì sono stati firmati gli ultimi documenti che attestano la rinuncia del tribunale di terminare la custodia.
La cantante di “Baby One More Time” non è immune a critiche e scandali. Nel 2007, durante una fase alquanto tesa, si rasò i capelli in segno di protesta nei confronti dei media. Da quell’anno in poi si susseguirono vicende più o meno allarmanti che preoccuparono il suo team. Un esaurimento nervoso che le costò caro e nel 2008 portò il signor Spears a prendere il controllo della situazione, traendone affari e speculazioni di alto profitto a riguardo del talento e carriera della figlia.

Dopo anni di silenzio, Britney si è fatta sentire e ha testimoniato davanti alla giudice Brenda Penny. Sotto la guida legale di Samuel Ingham III, la Spears ha perso la causa, ma dando vita al movimento #FreeBritney, ha guadagnato rispetto e sostegno. La sua storia è un esempio per i moltissimi americani che ancora oggi vivono sotto le rigide regole della “conservatorship”.
Sono circa 1.3 milioni le persone che negli Stati Uniti si trovano sotto la custodia legale, i cui meccanismi non sempre appaiono lucidi e trasparenti di fronte alla legge. Gli interessati sono individui che per capacità fisiche e mentali non posso fare affidamento alle loro abilità personali di scelta e azione. Sebbene questa possa essere una legge a favore dei disabili, non sempre viene applicata nelle giuste circostanze.
Problematiche a riguardo hanno iniziato a prendere corpo a partire dagli anni Sessanta. Gli attivisti dell’epoca infatti, sollevarono le tensioni al governo sottolineando il fatto che fosse assurdo non dare alcuna capacità di scelta morale ed economica ad individui ai quali è stata diagnosticata una condizione diversamente abile.
Nel 2005, il Los Angeles Times fece un’investigazione, trovando un alto numero di casi di custodia non assolti da parte dei giudici. Nel 2013 una ragazza con la sindrome down, Jenny Hatch, vinse la causa contro una severa “conservatorship” condotta dai genitori. Altri casi simili si sono susseguiti e hanno aperto la porta a diverse denunce fra custodi e vittime.
Sebbene il caso di Britney sia una tragedia nel mondo del femminismo e dei diritti civili, non è difficile immaginare quanto più esteso e drammatico possa essere il caso di una persona senza fama, fans e spesso senza alcuna famiglia al proprio fianco.