Conosco Antonio Parisi da alcuni anni. Mi è stato presentato da amici in comune, nella logica delle relazioni sociali che una professionista come me, che si occupa di PR e Comunicazione, è solita intrattenere. Giornalista di lungo corso (attualmente è anche il direttore dell’Agenzia di Informazione Consul Press) e scrittore con alcuni importanti riconoscimenti di critica letteraria e non solo di pubblico, Antonio Parisi ha sempre rappresentato una delle mie frequentazioni intellettuali più gradite. E questo per una serie di motivi: è un uomo colto che ama conversare, un amante irriducibile di vicende storiche che ripercorre diligentemente nei dettagli attraverso la memoria (al contrario di me, che tendo a vivere il momento presente e detesterei ricordare qualsiasi cosa passata), e soprattutto è interlocutore che ama rispettare le reciproche differenze. Antonio (nella vita siamo amici, ci diamo del tu) ha pertanto sempre rappresentato per me un riferimento per Casa Savoia, ed ho apprezzato molto in lui – in qualunque circostanza abbiamo affrontato l’argomento – la stabilità ed il rigore delle idee, seppur difformi dalle mie.
Inevitabile che lo interpellassi come giornalista sulla scomparsa recentissima del duca Amedeo di Savoia e di quel Casato – i Savoia, appunto – a lui così noto, e che ha reso unita l’Italia attraverso un processo sviluppatosi durante il Risorgimento e conclusosi sostanzialmente con la fine della Prima guerra mondiale.
Antonio, da dove cominciamo? La tua strada incrocia quella dei Savoia quando eri davvero giovane. Quando hai conosciuto il principe Amedeo?
“Già. Direi di iniziare dalla fine degli anni ’70, quando facevo parte del Fronte Monarchico Giovanile, organizzazione giovanile dell’Unione Monarchica Italiana. Da alcuni mesi ero divenuto vicesegretario nazionale dei giovani monarchici e insieme ad Antonio Maulu, segretario nazionale, avevo organizzato un convegno a Torino, sul possibile ruolo della monarchia in una società in continua e rapida evoluzione come quella italiana di quegli anni. Nella capitale piemontese, in quelle ore, era in visita il principe Amedeo di Savoia, V duca d’Aosta. La nobiltà piemontese aveva organizzato una cena di gala a palazzo Barolo. Alla serata erano invitati nobili, imprenditori e politici di livello nazionale. Fu lì che mi fu presentato per la prima volta il duca Amedeo di Savoia”.
Che ricordi hai di questo incontro?
“Letteralmente io tremavo dall’emozione! Il Duca Amedeo era un personaggio quasi mitico: ex ufficiale di marina, era nipote dell’invitto duca, Emanuele Filiberto, comandante della III armata durante la Prima guerra mondiale, nonché nipote di Amedeo il duca di ferro, che si fece onore in Etiopia sull’Amba Alagi (ammirato dai nemici inglesi, durante la Seconda guerra mondiale), ed infine amatissimo nipote di Umberto II ultimo re d’Italia. Amedeo era un autentico gentiluomo, saldamente ancorato alla storia e alle tradizioni millenarie della sua famiglia, ma anche sognante personaggio capace di guardare positivamente al mondo in evoluzione. Amedeo imparentato con le teste coronate di mezza Europa era cugino della regina Elisabetta, di Costantino di Grecia e dei Romanov. Il duca, appassionato di botanica, tanto da essere chiamato a svolgere le funzioni di presidente di diverse oasi naturali, con dispensa di suo zio Umberto II, era entrato da ufficiale nella Marina Militare Italiana dove aveva giurata fedeltà alla repubblica”.
La vicenda storica è interessante. Continua.
“Amedeo era nato il 27 settembre 1943 e, quando aveva 10 mesi di vita, il 26 luglio del 1944, per ordine del capo delle SS, Heinrich Himmler, fu arrestato e portato nel campo di concentramento di Hirschegg. Fu liberato nel 1945.
Dopo quell’incontro a Torino, con l’approvazione di re Umberto II e l’incoraggiamento del ministro della Real Casa, Falcone Lucifero (il quale controllava con occhio attento tutte le attività politico-culturali dell’Unione Monarchica Italiana, affinché non ne venisse danneggiata l’immagine di re Umberto in esilio), iniziai a collaborare ad iniziative intese a sviluppare positivamente l’immagine del duca d’Aosta.
Collaborai assiduamente così con Maulu, di cui ero ancora il vice, ad organizzare alcuni incontri dei giovani monarchici italiani nella tenuta del Borro ad Arezzo, che a quei tempi era di proprietà di Amedeo. Per quella occasione, regalai al principe di Casa Savoia un prezioso stendardo appartenuto al III duca d’Aosta, il viceré d’Etiopia, e miracolosamente rinvenuto da me a Taranto”.
Poi che avvenimento accadde nella tua vita?
“Dopo pochi mesi, divenni segretario nazionale del Fronte Monarchico Giovanile, e quindi continuò la mia frequentazione con il duca d’Aosta. Dopo la morte di re Umberto nel 1983, questa collaborazione divenne addirittura molto intensa. Intanto con Sergio Boschiero, ex segretario generale dell’Unione Monarchica Italiana, fondai il movimento monarchico Fert – motto dei Savoia – e ripresi la pubblicazione della omonima agenzia di stampa Fertfondata dal grande giornalista monarchico Mario Pucci, che un poco mi considerava un suo figlioccio. Con il movimento Fert e con Boschiero ideammo grandi riunioni monarchiche al Borro, con il duca Amedeo in mezzo a noi che ci dava incoraggiamento ed affetto per continuare a mantenere alta l’idea della monarchia in un mondo che sembrava aver dimenticato l’utilità di quella istituzione. Il contatto era continuo, ma cominciò ad allentarsi quando fui chiamato a lavorare quale giornalista al quotidiano Commercio Estero, organo dell’Istituto per il Commercio Estero, e a collaborare con il deputato Europeo Gustavo Selva, con il quale riorganizzai in Italia l’Unione Paneuropea di cui era presidente l’europarlamentare Otto d’Asburgo, nipote dell’ultimo imperatore dell’Austria-Ungheria”.
I tuoi impegni giornalistici nel frattempo erano aumentati.
“Sì, e nonostante la mia attività giornalistica accresciuta, avendo ottenuto la direzione di un gruppo televisivo nazionale italiano (n.d.r.: Rete Mia e Video Più), continuavo a tenermi in contatto con il duca Amedeo e con il figlio Aimone oramai cresciuto e divenuto manager di grandi istituzioni economiche internazionali”.
In quel periodo incontravi il duca Amedeo?
“Sì, spesso; esattamente a Roma, durante manifestazioni promosse da Boschiero. Altrettanto spesso incontravo Aimone: per esempio al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, dove il giovane principe tenne una conferenza. Poi realizzai uno scoop giornalistico su una incredibile ed inquietante profezia di San Padre Pio, in cui se da una parte, con certezza, nei mesi precedenti la Seconda guerra mondiale preannunciava la fine della monarchia in Italia, dall’altra annunciava che da una radice del rinsecchito albero di Casa Savoia sarebbe nato un giovane che avrebbe riportato l’istituzione monarchica in Italia. Era questo giovane Aimone? Da alcune confidenze fatte da San Pio ad alcuni suoi figli spirituali sembrerebbe di sì. La notizia da un lato faceva piacere ad una parte dei monarchici italiani, ma da un’altra angolazione preoccupò non poco il diretto interessato, cioè Aimone. Che, misteriosamente, fu chiamato in occasione della beatificazione e poi della santificazione di padre Pio, a tutte le cerimonie svoltesi a san Giovanni Rotondo, mentre il duca Amedeo fu invitato alle stesse cerimonie tenutesi a Roma in Vaticano”.
Uno scoop giornalistico di cui si parlò.
“Sì. Fu ripreso da innumerevoli colleghi in loro articoli, e se giovò a far circolare in tutto il mondo il mio nome, un po’ mi danneggiò nei rapporti con Casa Savoia, che forse avrebbe gradito di essere informata del lancio giornalistico. Questa notizia, infatti, da una parte portò alla Casa una grande simpatia dei fedeli del santo di Pietrelcina, ma determinò anche imbarazzo in Aimone di Savoia. La deontologia professionale, però, di fronte ad una notizia di quella portata, non mi consentiva di concordarne con gli interessati né il contenuto né le modalità di lancio”.
I vostri rapporti si interruppero?
“No, non si interruppero. Ci rivedemmo a pranzo a Castiglion Fibocchi dove la Famiglia si era trasferita dopo aver venduto a Ferragamo la tenuta del Borro. Furono molto affettuosi con me anche in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia, quando ci trovammo di nuovo con il duca Amedeo ed il duca Aimone (presente anche il capo della Stato Giorgio Napolitano) al Pantheon di Roma”.
Che sentimento hai provato alla notizia della scomparsa del duca Amedeo, lo scorso 1° giugno?
“Profonda tristezza. Ora che Amedeo non c’è più, mi sembra sia sparita una parte della mia vita. <<Se n’è andato un gran signore>> ha titolato la rivista francese Point de Vue. Era proprio così, sai? Ora il suo posto è stato preso da Aimone. Vedrete che si rivelerà un grande personaggio pure lui: discreto, deciso e carismatico”.
Vuoi dichiarare un’ultima cosa su Casa Savoia prima di salutarci?
“Sì. Ti faccio una anticipazione importante: uscirà il prossimo mese per Diarkos Edizioni un libro dal titolo La saga di Casa Savoia, a mia firma, pieno di documenti inediti, capaci di stravolgere la storia italiana del periodo che va dalla Prima Guerra Mondiale alla caduta della Monarchia”.
Che dire? Non resta che attendere.