L’ex vicepresidente Walter Mondale, Fritz per i suoi colleghi al Senato, è morto lunedì a Minneapolis. Aveva 93 anni. Compagno di cordata di Jimmy Carter e poi candidato presidente per i democratici nel 1984, scelse Geraldine Ferraro come sua partner per la vicepresidenza.
Mondale era un politico di altri tempi: riservato, educato, carico di senso dell’umorismo, ma anche schietto, che in politica non è una virtù. E ne pagò il prezzo nel 1984, quando venne sconfitto nelle presidenziali da Ronald Reagan, primo presidente-showman.
Due mesi prima del voto, alla Convention di San Francisco, dopo l’emozionante discorso di Mario Cuomo, fece una battuta che gli costò la presidenza: “Ronald Reagan – disse – ora nega, ma poi vi aumenterà le tasse. Io, invece, ve lo dico subito: se mi eleggerete aumenterò le tasse e non ve lo nascondo”. Al Moscone Center Geraldine Ferraro lo abbracciò, la moglie Joan gli mandò un bacio, i delegati andarono in tripudio. Seguirono applausi, cori, palloncini e stelle filanti, le bande che suonavano “When the Saint Go Marching in”. Ma l’America non applaudì, aumentare le tasse non porta voti. Ronald Reagan lo bersagliò con il suo sarcasmo, con il suo “There you go again” che divenne il ritornello delle presidenziali e perse in modo devastante, aggiudicandosi solo i voti elettorali del suo Stato.
Walter Mondale fu un pioniere nella politica americana: scelse Geraldine Ferraro come sua vicepresidente, prima donna e prima americana di origine italiana a concorrere per la Casa Bianca. E per la prima volta, nel 1984 gli italiani d’America sotterrarono l’ascia di guerra delle divisioni politiche, orgogliosi che una donna di Queens potesse raggiungere questo onore, compiaciuti dal superbo discorso “Tale of Two Cities” fatto da Mario Cuomo, un altro politico di Queens.
La politica quell’anno cambiò: per la prima volta le reti televisive furono complici della vittoria dell’effimero politico, del sembrare più che dell’essere e condannarono alla sconfitta di un politico capace, onesto, preparato, vittima di una narrativa superficiale che esaltava la prorompente personalità e il “look” di Ronald Reagan. Nella sua biografia “The Accountability Of Power” scrisse “ero poco adatto ad apparire davanti alle telecamere” mentre Ronald Reagan aveva il sorriso accattivante, la battuta pronta e la sua telegenia.

Mondale veniva dalle Prairies, le sterminate praterie del Minnesota. Figlio di un pastore protestante originario della Norvegia. Il padre si chiamava Theodore Sigvaard Mondale, ma il nome venne storpiato ai nonni, che si chiamavano Mundal, quando arrivarono ad Ellis Island. Avvocato, ma soprattutto politico di lungo corso. Contrario alla guerra in Vietnam, che definì “un disastro, politico, militare e morale” fu l’artefice di tantissime riforme in favore delle fasce meno ricche e meno protette del Paese.
Pupillo del Senatore Hubert Humphrey, allora vicepresidente di Lyndon Johnson, fu scelto dal governatore del Minnesota, Rolvaag, per prendere il seggio che Humphrey aveva lasciato per andare alla Casa Bianca. In prima fila per difendere i diritti civili, per proteggere Medicare, Medicaid e Social Security quando Richard Nixon ne voleva ridurre i benefici. Fu l’artefice della riforma del “filibuster” creando la regola dei 60 voti e poi del War Power Resolution, per limitare i poteri del presidente di entrare in guerra senza l’approvazione del Congresso, come era successo nel 1971, allorché Nixon nonostante che il parlamento si fosse opposto, ignorò la decisione e lanciò l’offensiva in Vietnam.

Divenne Vicepresidente con Jimmy Carter nel 1976. Fu l’unico vicepresidente ad avere l’ufficio nella West Wing della Casa Bianca. Carter era stato Governatore della Georgia ed era inesperto su come muoversi nei complessi labirinti politici del Senato, mentre Mondale era uno specialista di questa disciplina.
Persero la rielezione nell’80, ma l’America era cambiata, la guerra in Viernam era finita, gli Stati Uniti entrarono in recessione, il Paese per la prima volta fu colpito dalla crisi dei rifornimenti di benzina e poi, grazie ad Henry Kissinger che fece pressione per ospitare lo shah Rezha Palavi che era gravemente malato, i rivoluzionari iraniani presero in ostaggio 50 dipendenti dell’ambasciata americana a Teherean. Un disastro politico e diplomatico. Specialmente dopo il fallito tentativo militare per liberare gli ostaggi e riportarli negli Stati Uniti. Una umiliazione che portò Reagan alla Casa Bianca. Quattro anni dopo Mondale venne scelto dal partito democratico e sfidò il presidente-attore, ma il disastro iraniano era ancora nell’aria.
Dopo la sconfitta abbandonò la politica. Venne ripescato da Bill Clinton che lo nominò ambasciatore in Giappone. Finita la missione tornò nella sua Minneapolis dove ieri si è spento.