Osservatori esterni. Precisi, critici e sempre pronti al confronto. Sono gli americani che vivono in Italia. Da anni risiedono nello stivale, ma il legame con gli States non lo hanno mai perso. Ne abbiamo incontrati alcuni, per parlare di elezioni e pandemia e per ascoltare il loro pensiero sullo stato di salute degli Usa.

Dagli stretti vicoli di Roma, l’America si vede bene, forse addirittura meglio che dall’America stessa. Concordano tutti su questo aspetto. È come se l’Italia fosse un osservatorio privilegiato dal quale comprendere meglio le intricate dinamiche che muovono la vita oltreoceano. “Con un occhio esterno – sottolinea Gyneth, una donna newyorkese del mondo dell’editoria che da 33 anni vive nel nostro Paese – alcune volte si riescono ad analizzare meglio le cose”. Ciò che ne esce è una visione lucida e spassionata di una nazione a stelle e strisce che arranca con fatica, muovendosi con poca grazia tra le rivolte popolari del Black Lives Matter, i grandi numeri del coronavirus e una situazione politica sempre più bipolare.

Tutto parte da Trump. È ovvio sia così, non potrebbe essere altrimenti. Il Presidente repubblicano, con la sua forte personalità e i suoi modi di fare spesso oltre le righe, catalizza l’attenzione. In pochi giorni, per ben due volte è finito sulle prime pagine di tutti i giornali. Prima per l’atteggiamento tenuto durante il confronto con Biden e poi per la positività al covid-19. Liam, neolaureato nato da genitori della Louisiana e cresciuto a metà tra gli States e l’Italia, crede che ‘The Donald’ possa uscire indenne anche da quest’ultima prova. “Il coronavirus non è una colpa, si tratta piuttosto di sfortuna. Chiunque può essere contagiato. Trovo assurdo che i suoi avversari gioiscano della situazione. È così che dimostrano l’umanità che hanno sempre professato?”. Ci si domanda se la positività al virus di Trump, che per lungo tempo ha sottovalutato o addirittura negato il problema, possa spostare gli equilibri in vista delle elezioni e proprio su questo è Gyneth ad avere le idee più chiare. “Non credo – commenta – penso proprio di no. Qualsiasi cosa tremenda succeda, lui riesce in qualche modo a rigirare la frittata e farla sembrare normale, o addirittura positiva. In vista delle elezioni, trovo molto più grave per una figura come il Presidente la scoperta del fatto che mentisse sulle tasse. Però lui ha un pubblico affezionato per il quale può fare qualsiasi cosa. I suoi elettori vivono in un mondo parallelo. Anche il povero operaio che a malapena riesce ad arrivare a fine mese, come fa a non arrabbiarsi per uno che si vanta di essere ricco e non paga le tasse?”.
Toni duri, che dimostrano come ormai, anche gli Stati Uniti, siano entrati a pieno nella fase di polarizzazione politica che da anni ha investito tutti i Paesi democratici del mondo. I due schieramenti sono sempre più arroccati, divisi e distanti. Ne è simbolo perfetto il dibattito di pochi giorni fa tra il Presidente e lo sfidante. Le visioni del popolo sono dicotomiche. Da una parte c’è chi, come il ristoratore Noah, 55 anni di vita di cui 40 vissuti in Alabama, crede che Trump ne sia uscito vittorioso, avendo messo a nudo tutte le debolezze caratteriali di Biden. Dall’altra, invece, chi come Sophia, libera professionista nata e cresciuta nel cuore della Grande Mela e trasferita a Roma quasi dieci anni fa, ritiene che il democratico si sia dimostrato ancora una volta l’alternativa giusta all’arroganza e l’ignoranza del repubblicano.

Su una cosa, invece, tutti concordano. Più che un confronto sui temi e le proposte, si è trattato di uno show in cui a regnare è stato il caos. Lo stesso caos che è stato protagonista in molte fasi della gestione della pandemia. “Non si tratta solo dei contagi e dei morti – racconta Katherine, scrittrice di Washington D.C. importata in Italia 24 anni fa – ma anche del semplice fatto di non avere i tamponi, non avere i materiali e non fidarsi del parere degli esperti”. Senza alcuna certezza, gli Stati Uniti hanno vissuto mesi nei quali i dissidi interni sembravano poterli logorare in modo definitivo.

Gordon, un giovane studente appena laureto che con il Kansas ha un forte legame affettivo, vede il Paese della sua famiglia versare in un pessimo stato di salute. “L’america sta male. Tanti miei amici mi dicono che non vorrebbero essere lì adesso, ma che preferirebbero stare in Europa. Ci sono troppe cose che non vanno e da qui si vede bene”.
Riuniti in un’immaginaria cabina di commento, gli americani in Italia guardano il loro Paese con un po’ di amaro in bocca. Alcuni si dividono politicamente: c’è chi sta con Trump e chi con Biden. Un velato alone di pessimismo, però, è in grado di accomunarli tutti. “Ma in Italia si vive meglio che negli Stati Uniti?”, chiedo quasi con aria di sfida. Qualche secondo di silenzio, un attimo di ripensamento, poi la risposta esce in coro.
“Ad essere sinceri, diciamo di sì”.