Breve, frettoloso flash di agenzia: “…Si chiamava Diana Isabel Hernández Juárez, insegnante laica trentacinquenne e coordinatrice pastorale nella parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe a Suchitepéquez, in Guatemala, era ben nota e apprezzata nella zona: guidava diversi progetti in trentadue comunità rurali, bisognose di promozione umana, istruzione e sviluppo…”.
Arrivano in due. La processione, nella piccola comunità di Monte Gloria, municipio di Santo Domingo, è appena cominciata. Il programma prevede che ci sia una riflessione comune della Bibbia, per tutta la giornata. I due sono professionisti: decisi, gesti misurati. Non parlano, ognuno sa cosa fare, e sa cosa farà l’altro. Per Diana Isabel non c’è scampo: entrambi sparano numerosi colpi di rivoltella, in simbiosi. Diana Isabel cade a terra, senza un lamento. E’ ancora viva, ma l’occhio già vitreo, non sente e non prova più nulla, quando arriva all’ospedale di Tiquisate.
I dottori lo capiscono subito che la donna non ha alcuna speranza, e tuttavia si prodigano. L’agonia dura trentacinque minuti, proprio come gli anni vissuti; poi il cuore di Diana Isabel cessa di battere. Un paio di infermiere che sanno di lei, si abbracciano, singhiozzano piano.
Diana Isabel Hernández Juárez, perché l’hanno uccisa, e in quel modo plateale, come una punizione che dev’essere pubblica, vista da tutti? E’ come se avessero voluto impartire una lezione a chi guarda con simpatia e ammirazione questa professoressa, coordinatrice della “Pastorale del creato della parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe”. E’ evidente che hanno voluto punire il suo impegno, la sua caparbietà irriducibile; e stroncare sul nascere la possibilità che altre ne seguano l’esempio.
Non è la prima donna che viene uccisa, in Guatemala e negli staterelli che compongono l’America centrale; pagano il coraggioso impegno in prima persona per la difesa dell’ambiente. C’è una associazione, si chiama “Donne per la madre terra”. Diana Isabel viene ricordata come “…un’attivista che promuoveva la custodia e la protezione dell’ambiente e dei beni naturali”; a questa causa “ha dedicato gran parte della sua vita”. Un delitto che “si somma ai molti casi di attacchi ai leader sociali che operano per il bene comune e che, fino a questo momento, non sono stati chiariti”.
Quasi tutti gli adolescenti della comunità di Monte Gloria devono più di qualcosa a Diana Isabel. Convinta che l’istruzione sia un formidabile strumento per affrancarsi dalla povertà e dallo sfruttamento, non si limita a insegnare le nozioni di base. Si “inventa” progetti di orti familiari, vivai municipali nella trentina di comunità rurali del suo distretto; si impegna allo spasimo per creare alternative di sviluppo sostenibile. Héctor Maldonado, suo collaboratore e amico, ricorda: “Diana Isabel era una persona tenace. Era disposta ad impegnarsi in prima persona. Quando diceva una cosa, subito si metteva all’opera per realizzarla. E’ accaduto così per le campagne di pulizia delle spiagge del Pacifico. O quella di riforestazione. Con i ragazzi ha piantato tantissimi alberi…”.
E’ qui la chiave del delitto: la denuncia e il contrasto dello sfruttamento selvaggio dell’ambiente. Gli interessi in ballo si contano in miliardi di dollari, potentati locali e internazionali vedono come fumo negli occhi l’impegno degli attivisti ambientalisti. Ogni anno, a decine, sono assassinati. Nel solo 2018, secondo il rapporto annuale dell’organizzazione non governativa “Global Witness”, ne hanno ammazzati 164; sedici in Guatemala. L’ufficio per i diritti umani nazionale, tra il 2017 e il 2018 ha censito quasi novecento attacchi contro gli attivisti, 39 gli uccisi; si battevano contro progetti minerari selvaggi, deforestazioni e sfruttamento intensivo delle terre agricole.
Perché Diana Isabel sia stata uccisa, si sa. Chi abbia dato materialmente l’ordine, e chi l’abbia eseguito, non lo si saprà mai. La polizia qualche giorno dopo il delitto ha fermato un sospetto. Un fascicolo è stato aperto. Ma è vuoto.
Discussion about this post