Samuel Modiano, “Sami”: deportato, superstite della Shoah, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschzitz-Birkenau. Alberto Sed, membro della comunità ebraica di Roma, autore di memorie sulla sua deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz, instancabile testimone della Shoah italiana. Nedo Fiano, scrittore, anche lui uno dei pochi che sono tornati da Auschwitz. Shlomo Venezia, superstite lui pure della Shoah, testimone della terribile esperienza all’interno dei campi di concentramento nazisti, uno dei pochissimi sopravvissuti all’eliminazione sistematica dei prigionieri appartenenti al sonderkommando di Birkenau. Agata Herskovits Bauer, autrice di memorie sulla sua deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz e attiva testimone della Shoah italiana… Ogni nome corrisponde a una storia di dolore, di indicibile sofferenza, di feroce, non perdonabile malvagità patita. Ogni nome è sacro, corrisponde a ricordi che devono trasformarsi in focolari di memoria, perché solo la memoria, il sapere, la conoscenza può essere la difesa da opporre alle ricorrenti barbarie che minacciano di opprimerci, di sopprimerci.
Ci lascia, ora, Piero Terracina. Anche lui reduce da Auschwitz. Anche lui, vinti pudori, sensi di colpa (come può essere una colpa essere sopravvissuti? Eppure quanti lo hanno provato…), racconta, descrive la terribile, abominevole efficienza della follia nazista, la realtà mostruosa di un deliberato progetto, in gran parte attuato, di sterminio sistematico, di massa.
A Piero Terracina siamo tutti debitori: perché fin da subito comprende quanto sia importante, necessario, urgente, trasmettere il racconto di quello che è accaduto, di quello che ha vissuto e visto. L’importanza, l’urgenza, la necessità di non lasciare che l’oblio e l’indifferenza cancellassero le tracce dell’abominio che si è consumato. Che la follia hitleriana non era isolata: ha avuto dei volenterosi complici, i “volenterosi carnefici” di cui scrive lo storico Daniel J. Goldhagen.
Piero Terracina non si è mai stancato di parlare ai giovani delle scuole: in loro ha fiducia, confida nella loro sete di sapere e conoscenza.
Racconta di essere uno dei milioni di ebrei che hanno subito, nel corpo e nello spirito, le odiose persecuzioni naziste e le deportazioni; uno dei pochi che sopravvivono senza poter dimenticare quegli orrori; e di esser riuscito a trasformare la sua dolorosissima esperienza e sofferenza in momenti di storia da trasmettere alle nuove generazioni, presenti e future.
Piero Terracina: testimone diretto di una delle pagine più drammatiche della nostra storia; infaticabile la sua passione civile, l’impegno nel far conoscere e non dimenticare la tragedia della Shoah, l’inferno dei lager. La sua storia, una delle tante che compongono il mosaico della Shoah italiana.
La “matricola” di Piero, incisa sul braccio, è la A-5506. Da quel giorno, la disperata, quotidiana lotta per non morire:
“Ad Auschwitz il prigioniero non aveva nome, gli internati non erano contati come persone ma come pezzi. Ai prigionieri veniva tolta ogni dignità. Di quelli usciti dal campo vivi, pochissimi sono riusciti a sopravvivere, e a tornare ad essere persone degne di essere chiamate tali. L’efficiente macchina nazista, non sprecava nulla. Anche dopo la morte tutto veniva usato e riciclato, la pelle, i capelli, dei prigionieri…”.
E’ importante, necessario (e in particolare di questi tempi di “monti furenti”) non dimenticare figure come Piero Terracina, quello che hanno subito e patito: troppi dimenticano, troppi sono indifferenti; troppi negano quello che è accaduto; troppi si dicono (e sono) seguaci di coloro che seppero e vollero essere autori di quegli orrori.
Per Piero, il Qaddish, anche da chi non crede, o in altro crede:יְהֵא שְׁמֵהּ רַבָּא מְבָרַךְ לְעָלַם וּלְעָלְמֵי עָלְמַיָּא, “Sia il Suo grande nome benedetto per tutta l’eternità”. Oseh Shalom…, grande Piero Terracina.