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Il dramma di un padre italiano: “Mia figlia bloccata in Venezuela”

Andrea Sangrigoli racconta che la figlia vive nel Paese latinoamericano da 5 anni con la madre, con cui i rapporti sono difficili, ed ha il passaporto scaduto

Matteo OxiliabyMatteo Oxilia
Il dramma di un padre italiano: “Mia figlia bloccata in Venezuela”

Andrea Sangrigoli con la figlia.

Time: 3 mins read

Ha paura. Per sua figlia, da oltre 5 anni in Venezuela. Per quello che non può fare. Per le notizie che arrivano da Caracas. Andrea Sangrigoli ha 39 anni ed è un papà che non vede la sua bambina, ormai sedicenne, da un lustro. Da quando la madre ha deciso di rientrare in patria. Lui vive in provincia di Verona, si sfoga con le arti marziali ma cuore e cervello sono oltreoceano.

“Mia figlia vive lì da poco più di 5 anni, che per me sono un’eternità – ci racconta. Ho sempre avuto pazienza ma è durissima non avere i propri figli vicino, soprattutto se sai che vivono in paesi poco stabili e progressivamente sempre più a rischio. Della situazione in Venezuela cerco costantemente di tenermi aggiornato, spesso guardo in rete canali venezuelani che mi dicono cosa succede là e soprattutto dove, in quanto ci sono zone molto a rischio e zone moderate dove c’è un rischio minimo. Fino a poco tempo fa ero in contatto anche con alcune persone che vive in posti limitrofi, che mi raccontavano, confermavano o smentivano informazioni di cui mi informava la madre di mia figlia”.

Il Venezuela negli anni ’50 era la quarta potenza mondiale. La prima produttrice di petrolio. Che ora vende agli Usa (ad oggi unica fonte di entrate economiche) e regala a Cina e Russia in nome di debiti molto pesanti. Negli anni sono fuggiti in tantissimi. L’Onu stima siano 5.000 i venezuelani che ogni giorno lasciano il paese, più di tre milioni finora. Mancano medici (chiudono interi reparti), insegnanti (non è garantita l’istruzione di base), servizi semplici come i trasporti, inflazione al 10 milioni percento, penuria alimentare. Una situazione Inimmaginabile. Ma vera. E da qualche giorno il governo venezuelano di Nicolás Maduro sta impedendo, con l’aiuto dell’esercito, che 50 tonnellate di aiuti umanitari provenienti dagli Stati Uniti entrino in Venezuela. Gli aiuti si trovano al momento a Cúcuta, una città colombiana al confine. Non possono entrare perché dal 6 febbraio la grande strada che attraversa il ponte Tienditas, che collega Cúcuta con Ureña, in Venezuela, è bloccata da due grandi container e dal rimorchio di un camion messi di traverso. Il 23 gennaio scorso il leader dell’opposizione e capo dell’Assemblea nazionale Juan Guaido si è autoproclamato “presidente ad interim”, sfidando apertamente il capo di Stato Nicolas Maduro, che ha vinto le ultime elezioni, da molti paesi esteri (tra cui l’Italia) non riconosciute.

“Le comunicazioni sono difficoltose, spesso manca la corrente elettrica e Internet, io faccio anche mesi senza sentire la voce di mia figlia per telefono in quanto il governo ha bloccato delle linee e non riesco a comunicare con lei”. Qui esce tutto il coraggio di un papà che soffre ma vuole, deve farsi forza per la ragazzina. “Questa cosa mi pesa parecchio ma cerco di non crollare affinché mia figlia, quelle volte che mi sente, percepisca stabilità e sicurezza, un po’ di conforto. Aspettando il momento di poterglielo ridare completamente. Io purtroppo ho vissuto e sto vivendo tutt’ora anche grandi disagi dovuti a lavori precari e disoccupazioni che non mi hanno permesso di organizzarmi economicamente e con le tempistiche per affrontare un viaggio così lungo e dispendioso”.

“Si deve considerare anche la scomodità di collegamenti per determinate zone – prosegue Andrea –. Nel frattempo in questi ultimi due anni la situazione è sempre di più rischiosa e non si ha nemmeno la certezza di poter entrare nel paese una volta arrivati. Inoltre è da un anno che incentivo la madre di mia figlia ad andare in consolato e preoccuparsi di far richiesta di rinnovo del passaporto della minore in quanto era in scadenza a giugno 2018. Ma la collaborazione viene a mancare. Intanto un paio di consolati minori con sede vicino al loro paese, Punto Fijo, e a Coro, un centinaio di chilometri a sud, sono stati evacuati trovandosi così a dover rivolgersi al consolato di competenza di zona di Maracaibo. Molto più distante e difficilmente raggiungibile, anche perché il tragitto comporta vari rischi per cittadini italiani o italo-venezuelani, in balia di sequestri o rapine da parte di tutti i malandrinos che cercano di sopravvivere”.

“Io mi sento inerme e con le mani legate” – il suo dolore e la rabbia. “Avere una figlia minore là e inoltre con i documenti scaduti non è una bella cosa. L’unica cosa che son riuscito a fare è stata quella di esser riuscito ad inviare, tramite, la questura di Verona, le mie firme e il nullaosta di richiesta per i documenti al consolato di Maracaibo”. “Mi sono rivolto ad alcuni enti, ho scritto e riscritto a consoli e Farnesina… Ma non si ricevono risposte in merito alla situazione che riguarda gli italiani in Venezuela”.

“Potessi, partirei oggi stesso. Sono a conoscenza di tanti venezuelani scappati verso la Colombia e verso il Brasile, ma non è una cosa consigliata, è anche estremamente pericoloso soprattutto per donne con figli. Tramite il Brasile transitano da Boavista dove è stato allestito un campo profughi, e in Colombia c’è un’unica strada di transito. Ma in entrambi i casi è da un po’ che hanno bloccato il passaggio”. Ma il suo pensiero viaggia ogni giorno velocissimo verso la sua bambina.

 

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Matteo Oxilia

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