Alessandra Sanchi e Lodovico Ferrario sono due giovani talenti tutti italiani – 26 e 29 anni – che, dopo la laurea alla Bocconi, iniziano a lavorare in una multinazionale che dà loro l’opportunità di frequentare, all’estero, uno dei più illustri programmi MBA al mondo – tra i 10 segnalati dal Financial Times – per specializzarsi e poi riportare la propria expertise in Italia. Come loro, l’associazione NOVA comprende oltre 2000 studenti e alumni italiani che hanno frequentato un MBA all’estero. Per il 9, 10 e 11 novembre, NOVA sta organizzando una importante conferenza, con la Columbia Business School, dall’eloquente titolo “Unlocking Italian Potential – Road to Italian ReNOVAtion”. Sarà l’occasione per discutere dell’annosa questione dell’innovazione in Italia e delle principali sfide economiche che deve affrontare il nostro Paese. Li abbiamo incontrati alle Nazioni Unite, dove ci hanno raccontato gli obiettivi e i progetti dell’Associazione di cui fanno parte, condividendo con noi anche riflessioni sullo stato dell’arte del business in Italia e su che cosa il nostro Paese dovrebbe migliorare per diventare più competitivo e bloccare l’emorragia di talenti e cervelli che da anni lo affligge.
Come nasce l’associazione NOVA e qual è il suo scopo?
A: L’associazione Nova vuole creare valore in relazione al degree dell’MBA in Italia; fare network tra gli studenti e gli ex studenti; favorire i rapporti con le aziende. La conferenza, in più, ha il goal di discutere delle sfide particolarmente strategiche per il nostro Paese.
L: Nova è nata 17 anni fa da studenti dell’MBA. L’obiettivo era quello di valorizzare l’MBA, fatto all’estero, in Italia. Ci si è accorti che molte società, non di consulenza ma corporate, non danno abbastanza valore a questo tipo di specializzazione: molti studenti tornavano e si rendevano conto che erano pochi quelli che in Italia lo valorizzavano. Si è voluto, quindi, radunare questi studenti e unire le forze. In questi 17 anni, NOVA ha passato diverse fasi, tra cui l’organizzazione della conferenza: un’occasione per radunarsi, sfruttando vari networking, contatti e voglia di fare, portando speaker di ottimo livello. Negli anni, si sono inserite figure professionali semplici, persone interessate, la stampa, in alcuni casi con strascichi politici: la legge sul rientro dei cervelli è nata in stato embrionale in una di queste conferenze 6 o 7 anni fa. Ora, siamo giunti a una nuova fase: quella in cui si cerca di inserire gli studenti internazionali, dimostrando loro che l’Italia è molto più di quello che si racconta.
NOVA mette in connessione talenti italiani che hanno frequentato i principali programmi MBA in Europa e nel mondo. Quanti di loro, conseguita la specializzazione, tornano con successo in Italia?
A: Noi studenti nel network di NOVA siamo un pool privilegiato, perché in buona percentuale facciamo parte di società multinazionali che hanno questa cultura di mandarci a studiare all’estero per frequentare uno dei programmi MBA top del Financial Times, con l’obiettivo specifico di richiamarci in Italia una volta conseguita la specializzazione. Altrimenti, c’è la via del trasferimento in uffici all’estero.
L: Più in generale, quando si consegue l’MBA, spesso ci si accorge che non c’è solo l’Italia come opzione, e il timore è che ci si renda anche conto delle cose che non funzionano in Italia e che possono rendere più faticoso il rientro. L’opzione più immediata è quella di rientrare. Allo stesso tempo, viene la voglia di restare all’estero per i problemi che proviamo a trattare nella conferenza.
Nel vostro caso, dunque, sono più quelli che ritornano. Ma si può dire che le opportunità che offre l’Italia siano davvero competitive rispetto allo scenario internazionale?
L: No. Spesso accade che si torni senza la voglia di farlo. Purtroppo, a livello di opportunità di valorizzazione di questi percorsi, siamo ancora indietro. Il nostro è un pool privilegiato, ma anche solo a livello economico c’è grande differenza tra l’Italia e l’estero. Per lo stesso, identico lavoro, la medesima azienda qui offre uno stipendio che è più del doppio rispetto a quello che offre in Italia.
Al di là dei casi di chi, come voi, viene all’estero temporaneamente per frequentare programmi MBA sovvenzionati dalla multinazionale per cui lavora, come se la passa quindi in Italia chi si è specializzato all’estero in business ad alti livelli?
L: Non bene, per vari motivi. Intanto, noi studiamo moltissimo, anni in più rispetto ai nostri colleghi stranieri. Inoltre, non è un percorso valorizzato: in Italia, il ritorno sull’investimento di fare un MBA all’estero non vale.
A: In Italia c’è anche una grossa differenza nello spettro di possibilità. Qui, si respira un’atmosfera che in Italia non esiste, che qualsiasi cosa tu voglia fare domani si possa realizzare. Da noi non solo manca questo spirito, ma mancano anche i settori: qui in America ci sono aziende di fondi di investimento per startup, grandi società media, real estate…
Da noi tutto questo non c’è?
L: No. Soprattutto, tutte queste realtà, molto variegate, qui in America fanno offerte pressoché di pari livello economico e professionale. Da noi, usciti dall’MBA, non ci sono grandi alternative al di là delle multinazionali che sponsorizzano quei programmi. Partendo da queste difficoltà, la ragione per cui abbiamo organizzato la conferenza è proprio quella di mettere intorno a un tavolo le persone che crediamo possano contribuire ad apportare un cambiamento.
Potete spiegarci quale apporto tentate di dare per risolvere queste problematiche?
A: Per prima cosa è importante mettere al tavolo le persone che prendono le decisioni. Noi guardiamo il problema dell’innovazione in Italia attraverso tre lenti: il primo è quello dell’educazione. Per questo, all’evento abbiamo cercato di avere sia persone che hanno un’esperienza importante in corporate che li abbia messi in contatto con il talento proveniente da diversi Paesi, come Aldo Uva, CEO di Ferrero, ma anche accademici, come il rettore della Bocconi, che è un grosso polo da cui escono persone che poi frequentano MBA. Il secondo obiettivo è stato quello di avere un commitment non solo da parte dei diretti interessati, coinvolgendo professionisti e non solo studenti.
L: Stiamo cercando di prendere delle decisioni, guardando al futuro. Il commitment è anche post-conferenza: vogliamo fare un report di quello che si è discusso, e degli spunti che possano portare a prendere degli impegni concreti su certi punti, in modo che alla prossima edizione si possa ripartire dalle conclusioni dell’anno precedente. I contenuti e risultati dei panel non devono rimanere lettera morta.
Il vostro tentativo è dunque quello di incidere rispetto a una classe dirigente e politica che prende decisioni nel nostro Paese.
A: Esatto. Anche se non incidessimo al giorno 2, stiamo comunque creando una cultura che valorizza questi temi.
L: Il mio sogno è che il report della conferenza diventi, tra 10 anni, un documento must-have nel settore.
Voi state cercando anche di promuovere un’immagine dell’Italia verso l’estero. Da che livello partiamo a vostro avviso?
L: Ci sono troppi pregiudizi che resistono anche in ambienti di alta specializzazione come quelli che frequentiamo.
A: Al di là del turismo e della cultura culinaria, ci sono due assi in Italia che spingono molto anche all’estero. Uno è quello dei beni di lusso (anche Automotive), ancora molto riconosciuti; il secondo è quello del design. Milano è vista dall’estero come un polo trainante per questi due settori. Per il resto, l’Italia non viene vista come terra di opportunità. Inoltre, c’è una forte barriera linguistica: le nostre aziende non sono sufficientemente internazionali e non si parla inglese correntemente.
Come riuscite quindi a superare queste “barriere”?
A: Nel nostro piccolo, lavoriamo ad esempio per l’Italian Club della Columbia Business School: io faccio da tramite con il Retail Club di Columbia, e stiamo cercando di organizzare degli eventi con gli studenti internazionali per portarli a conoscere delle realtà che non sono note.
L: Stiamo continuamente organizzando eventi per aiutare a far passare i giusti messaggi ai nostri compagni di classe, per sponsorizzare l’eccellenza anche a livello aziendale e non solo culinaria. Due settimane fa eravamo da Lamborghini con il CEO America, a giugno invece abbiamo pranzato assieme al CEO di Telepass e così via. Non dimentichiamo che la conferenza NOVA avrà 20 e più CEO-level, e ospiti italiani di altissimo livello. E’ una conferenza unica nel suo genere che ogni anno migliora sempre di più.
Se doveste pensare a delle priorità a cui i nostri politici e la classe dirigente dovrebbero rispondere, per aiutarvi a costruire un’immagine vincente dell’Italia supportata dai fatti, quali elenchereste?
L: Per la classe dirigente, c’è molta gerarchia e burocrazia nelle società italiane. Per l’Italia siamo ancora dei bambini, a 26, 28 anni si è ancora stagisti; all’estero non è affatto così. Bisogna puntare di più sui giovani.
A: E uno dei modi per arrivarci è quello di cambiare il sistema scolastico. Dovrebbe essere più facile andare all’estero: in Italia, invece, è quasi penalizzante, spesso al loro ritorno gli studenti sono costretti a recuperare il programma svolto e a sostenere degli esami, nonostante l’esperienza fatta all’estero. È poi necessario migliorare il livello di insegnamento dell’inglese. Inoltre, dalla quarta liceo bisognerebbe creare delle connessioni più dirette con il mondo del lavoro, sia a livello di orientamento che di inserimento. Lo stage dovrebbe essere integrato nel percorso, obbligatorio non solo per lo studente ma anche per le aziende. Inoltre, dovrebbe essere valorizzato e pagato onestamente. Ad oggi in Italia non è affatto così, e non ci sono né leggi né incentivi per far sì che funzioni diversamente.
Questa cultura va a discapito dello stesso sistema economico, alla fine.
L: Poche aziende italiane hanno un percorso molto chiaro di crescita dei dipendenti, soprattutto giovani. Succede nella multinazionale per cui lavoriamo, ma è una rarità. Di solito non si sa quando scatterà la promozione, e per raggiungerla deve andarsene la persona sopra di te, e via dicendo. Questo è un altro messaggio da dare ai dirigenti: più opportunità di crescita, con tempistiche e percorsi più chiari.
Parlateci dell’evento del 9-11 novembre.
A: Il titolo della conferenza è “Italian ReNOVation”. L’evento racchiude i tre grandi obiettivi dell’associazione NOVA: fare in modo che studenti e alumni MBA si conoscano; creare un network professionale, per permettere ad aziende italiane e non di reclutare talenti italiani; promuovere i successi delle aziende italiane; discutere le maggiori sfide per il Paese. Il primo giorno, venerdì, si parte con un aperitivo di kick-off, con uno speech di Domenico Siniscalco, Antonio Achille (McKinsey) e Francesco Genuardi, il Console Generale. Saremo da Cipriani Wall Street. Sabato sarà la giornata chiave della discussione all’Italian Academy alla Columbia. I panel e i keynote speech saranno intervallati da momenti riservati a chiacchierate informali e networking, ma anche breakout session. La cena si terrà al Law Memorial Library della Columbia. Il giorno successivo sarà invece dedicato al recruiting e al networking con le aziende sponsor al Consolato italiano. Molte aziende hanno già ricevuto i cv dei partecipanti e potranno organizzare colloqui in loco.
Molti degli ospiti sembrano rappresentanti di un’establishment che non esprime più la guida politica del Paese. Interverranno anche rappresentanti o tecnici vicini all’attuale classe politica di maggioranza?
L: No, ed è stata una scelta: non vogliamo che la conferenza venga politicizzata in alcun modo.
Se aveste a disposizione tre desideri da esprimere per migliorare la situazione in Italia, quali esprimereste?
A: Per quanto mi riguarda, il primo è eliminare l’evasione fiscale. Il secondo, avere tanti settori industriali sviluppati e geograficamente variegati, possibilmente con ownership italiana e non straniera, in grado di competere a livello globale. Abbiamo molte piccole-medie imprese, che spesso faticano a stare a galla. E questo spiega il motivo per cui facciamo tanta fatica a dare lavoro. Il terzo, vorrei che fossimo un Paese più meritocratico, un’arena competitiva vera, dove se vuoi avere successo non hai bisogno di essere figlio di o di avere una famiglia alle spalle. Vorrei che stesse veramente alla bravura di ciascuno la possibilità di raggiungere i propri obiettivi.
L: Per me la prima è sconfiggere la mentalità mafiosa e la diffusa mancanza di trasparenza anche a livello di carriera. Il secondo, vorrei che anche in Italia ci fosse un supporto finanziario di sostegno diffuso alle piccole-medie imprese. Oggi non c’è: ad ogni crisi, nessuno riesce ad aiutarle e falliscono. In America, invece, è pieno di piccoli fondi di investimento focalizzati proprio sul dare supporto a queste aziende che hanno bisogno di essere sostenute e ristrutturate. Il terzo, un sistema scolastico che sia più efficace, un’università più calata nella concretezza del mercato del lavoro.
In passato, molte personalità che hanno servito il Paese in campo politico venivano da percorsi di studio prestigiosi, soprattutto in ambito economico, all’estero. Vedete nel vostro futuro un possibile sbocco politico nel senso più generale del termine? E pensate che nel vostro network vi sia una coscienza politico-sociale in questo senso?
L: Io sì. Non a breve-medio termine: prima vorrei concentrarmi sulla mia carriera. Ma più in là, ci potrei pensare. Allo stesso tempo, rispetto alla classe dirigente di una volta che si formava all’estero per poi mettersi a servizio del Paese, bisogna riconoscere che prima c’erano più incentivi a tornare. Il mio timore è che, piano piano, questi incentivi continuino a ridursi. Se nessuno fa niente adesso, questa opzione sparirà, temo.
A: Io credo che non si debba per forza ricoprire un ruolo nel pubblico o nel governo per fare la differenza. Ognuno di noi può avere un impatto, per esempio nella sostenibilità. Ad ogni modo, non lo escludo nemmeno io, e, da quello che vedo, ci sono molte persone che si mettono in gioco anche dopo l’MBA, e tante che hanno la stoffa per farlo.