
Non ha ancora quarant’anni, Alex Anderson, quando, giovane e promettente Congressman californiano, decide di candidarsi, in campo repubblicano, in vista delle presidenziali americane 2016. No, non si tratta di un romanzo, o meglio: lo è, ma non solo. Perché Anderson è sì il personaggio di un libro, “Il Predestinato”, scritto da Alessandro Nardone – consulente di marketing digitale, docente allo IED di Milano e scrittore -. Ma, per otto mesi, quel giovane politico californiano rampante e ambizioso è diventato realtà. Impersonato dal suo fantasioso e spregiudicato autore.
Sì, perché Nardone – in maniche di camicia e Ray ban scuri -, durante la scorsa campagna elettorale americana, si è “trasformato” nel protagonista del suo ultimo libro e si è letteralmente candidato, sotto mentite spoglie, alle primarie repubblicane, con tanto di brand, slogan (“America is now”) e un vero e proprio programma politico. Tutto è partito con un sito web, dei colori degli Stati Uniti d’America, nel quale descriveva se stesso come un ex procuratore nel 2012 rieletto al Congresso nel distretto della California. Poi, è arrivato il manifesto programmatico, tanto calato nella concretezza dell’attualità («Job, opportunity, change») da aver convinto migliaia di persone. Quindi, il lancio sui social, da vero comunicatore dei tempi nostri, a colpi di video e tweet ad alto tasso di engagement. Un giorno, si accorge che addirittura gli addetti stampa di Trump e Clinton seguono i suoi cinguettii. E ama raccontare come lo stesso Marco Rubio, suo competitor – per così dire – in campo repubblicano, gli abbia “copiato” due battute: “Ogni voto per Trump è un voto per la Clinton” e “Hillary pensa che l’Isis sia soltanto una rock band”.
E così, il candidato (fake) ha finito per raccogliere follower, sostenitori, potenziali elettori, e per catalizzare l’attenzione dei media. Che poi, una volta uscito allo scoperto, hanno riconosciuto nella sua storia una vera e propria case history in tema di (riuscitissime) candidature fake. Noi della Voce ci siamo fatti una chiacchierata con Nardone, per cercare di capire che cosa c’è alla base del “fenomeno Anderson” e qual è stato il segreto del suo “esperimento riuscito”.
Alessandro, raccontaci come e quando ti è venuta l’idea di partecipare come “candidato fake” alle presidenziali americane.
“L’idea mi è venuta nella primavera del 2015: il mio ultimo romanzo era appena stato tradotto in inglese, così ho pensato di sfruttare le mie competenze e la mia passione smodata per New York e gli Stati Uniti candidando il protagonista – Alex Anderson – alle primarie repubblicane”.
Quali tecniche hai utilizzato per conquistarti la fiducia della gente?
“Ho costruito da zero una vera e propria strategia di personal branding e storytelling, partendo dalla storia contenuta nel romanzo: Alex, giovane e rampante congressman californiano, che nel racconto viene considerato tra i più seri contendenti alla nomination repubblicana. Sono partito dal brand, quindi il logo della campagna, lo slogan (America is now!) e un programma che da molti è stato considerato più completo rispetto a quelli di altri candidati “reali”. Poi Twitter. Tutte le notti, dall’Italia, twittavo come con candidato vero, lanciando argomenti che potessero fare opinione e rispondendo a chiunque mi scrivesse, sia per sostenermi che per contestare ciò che scrivevo. Questo, insieme al video della discesa in campo e alle foto insieme ai supporters, ha fatto la differenza”.
Hai ricevuto qualche endorsement rilevante?
“Un elemento importantissimo della campagna di Alex è stato il lancio del ticket con Edward Snowden, una provocazione per fare in modo che si cominciasse a mettere al centro del dibattito un argomento che oggi è di strettissima attualità come la salvaguardia della nostra privacy personale. Da vip nessun endorsement, ma ho ricevuto il sostegno di migliaia di followers che condividevano e diffondevano qualsiasi cosa pubblicassi in Rete”.
Come si sono comportati i media nei tuoi confronti?
“Quando ancora non ero uscito allo scoperto, Alex è stato contattato a più riprese e invitato a rilasciare interviste, ad un dibattito con altri candidati. Poi, in occasione del Super Tusday, la BBC fu la prima a dare la notizia della mia candidatura fake e, da lì, la storia di Alex ha fatto il giro del mondo”.
Che cosa volevi dimostrare con il tuo esperimento? Che è molto semplice ingannare in sistema, persino negli Stati Uniti d’America?
“No. Credo che la cosa più importante che ci lascia la candidatura fake di Alex Anderson sia che qualsiasi campagna di comunicazione non possa assolutamente prescindere da tre elementi: contenuti di qualità, storia e comunicazione orizzontale, quindi diretta. Alex è riuscito a crearsi un suo spazio perché ha avuto il coraggio di osare, lanciando temi desueti per l’elettorato repubblicano pur mantenendo saldi i propri valori come, ad esempio, il suo chiaro riferimento alla Reaganomics in merito alle proposte relative all’economia. Poi, certo, una case history del genere ha anche molte altre implicazioni di natura sociologica, sopratutto in merito al tema delle fake news, ma la differenza è che Alex non ha fatto altro che esprimere delle opinioni, anche mostrando di metterci passione, e questo è stato uno degli aspetti che sono stati maggiormente apprezzati”.

Ti ricandidi per il 2020?
“Il sito AlexAnderson2020.com è già online, ma solo perché Alex ha ancora parecchi followers su Twitter, che però ora sanno la verità. Diciamo che adoro il mio lavoro e quindi non avrei potuto rinunciare per nulla al mondo a realizzare la campagna per il 2020, ma in questo caso senza alcuna velleità, anche perché non avrebbe senso ripetere una performance del genere”.
Perché non ti sei candidato per finta anche in Italia?
“Perché da noi non sarebbe possibile, mancano gli spazi di democrazia. Mi spiego. Negli Stati Uniti i candidati che si sfidano per la Casa Bianca vengono dalle elezioni primarie, quindi, sulla carta, chiunque ha la possibilità quantomeno di giocarsela. Trump è la dimostrazione di questo principio, infatti si può dire che sia diventato presidente battendo prima i repubblicani, e poi Hillary Clinton, candidata dei democratici. In Italia, invece, il sistema è molto più chiuso, a noi elettori è consentito soltanto di mettere una croce sul simbolo del partito che intendiamo votare e, automaticamente, il nostro voto va ai candidati nominati dal segretario del partito in questione”.
Che faresti se Trump ti chiedesse di correre con lui come vicepresidente?
“Accetterei!”
Com’è nata l’idea di questo video così particolare?
“È stata di Antonia Fiore, che è una fotografa e videomaker molto seguita in Italia, sopratutto dai giovani e che ha lavorato con personaggi molto importanti, come ad esempio Alessandro Del Piero. Un giorno mi ha raccontato lo spirito di questo suo nuovo format che si chiama Life Pushers e mi ci sono subito ritrovato, anche perché adoro non prendermi troppo sul serio, e lei ha uno stile unico, attraverso il quale riesce a far emergere argomenti importanti ma alleggerendoli con un po’ di sana autoironia, che nella vita non guasta mai”.