Venerdì 29 luglio Papa Francesco incontrerà ad Auschwitz 12 sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, uno dei principali siti che hanno marchiato la storia dell’Olocausto. È la terza volta che un pontefice visita il campo di concentramento: in passato infatti vi si sono recati Giovanni Paolo II nel 1979 e Benedetto XVI nel 2006. Bergoglio resterà in Polonia fino al 31 luglio e durante la sua permanenza incontrerà anche il Presidente della Repubblica Andrzej Duda e i Vescovi nella Cattedrale di Cracovia.
In occasione dell’evento la redazione de La Voce si è subito messa in contatto con Naftali Furst, uno dei dodici prescelti tra i sopravvissuti ad Auschwitz-Birkenau, protagonista tra l’altro del documentario Kinderblock 66: Return to Buchenwald girato da Steven Moskovic (potete vedere il trailer a questo link). Il film racconta la storia di quattro uomini, ormai anziani, la cui infanzia è stata scandita dagli spostamenti tra i campi di concentramento e dalla speranza di potersi un giorno, finalmente, riunire con le rispettive famiglie. Parlando con il regista gli abbiamo domandato di descrivere la sua esperienza di lavoro con Furst: “Naftali è una delle persone più amichevoli, ottimiste e lungimiranti che abbia mai incontrato” ha affermato Moskovic, confessandoci che ha continuato a tenersi in stretto contatto con lui anche dopo la fine delle riprese. Moskovic ci ha anche fornito l’indirizzo email di Naftali Furst tramite il quale siamo potuti entrare in diretta comunicazione con lui e la moglie, Tova, che ha fatto da interprete durante il dialogo dato che Furst parla “soltanto” ebreo, tedesco, ungherese e polacco.

Naftali Furst è originario di Bratislava e oggi ha 84 anni. Egli ha vissuto in prima persona gli orrori dei campi di Auschwitz-Birkenau e di Buchenwald e, in seguito alla liberazione avvenuta nell’aprile del 1945, si è ricongiunto con tutta la sua famiglia trasferendosi poi in Israele, dove vive. Intervistato da La Voce di New York Furst ha risposto con calma e gentilezza alle domande definendo come un “secondo miracolo” l’imminente incontro con il Papa ad Auschwitz, luogo in cui tra l’altro è avvenuto anche il primo miracolo della sua vita: la sopravvivenza agli orrori dell’Olocausto.
Ecco la nostra intervista.
Tra tutti i sopravvissuti, perché pensa di essere stato scelto per incontrare il Papa?
“Sono il rappresentante della Commissione dei Sopravvissuti di Buchenwald e in passato ho già incontrato il Presidente Germania ed altre autorità ad Auschwitz. Sono anche stato invitato alla cerimonia per la 17° commemorazione della liberazione di Auschwitz, le persone ormai mi conoscono. Quest’anno mi hanno chiamato nuovamente per chiedermi se mi avrebbe fatto piacere incontrare il Papa Francesco e la risposta è stata: ‘Certo! È un grande onore!’ ”
Altri Papi si sono recati ad Auschwitz negli anni precedenti. Cosa si aspetta in particolare da Francesco?
“Mi aspetto che condanni il razzismo e lo spargimento di sangue che colpisce i credenti delle diverse religioni nel mondo. Credo che parlerà della pace nel mondo e condannerà i fanatismi, come l’ISIS”.
Cosa dirà al Papa?
A: “Gli dirò che questo è il secondo miracolo che mi capita nella vita, sempre nello stesso posto: Auschwitz. Il primo è essere sopravvissuto al campo a soli 12 anni, contro ogni probabilità. Il secondo è questo incontro inaspettato con il Papa. Se si pensa infatti, anche a dove avverrà l’incontro, è proprio come un miracolo: qualcosa di totalmente inaspettato”.

Tra tutti gli orrori vissuti in prima persona nei campi di concentramento, ha anche qualche ricordo positivo? Qualche amicizia o episodio di aiuto reciproco che, agli occhi di un bambino, le hanno permesso di mantenere la fiducia nell’umanità?
“Sono stato in diversi campi tra cui Budy, un sottocampo di Auschwitz. Lì c’era un medico francese di cui vorrei tanto conoscere il nome. Egli mi ha preso sotto la sua protezione e e mi ha aiutato a superare la difficile permanenza a Budy. Mi ha riempito di fiducia nei confronti dell’uomo e dell’umanità intera. Ho incontrato varie persone come lui e posso dire che è anche grazie a loro se sono sopravvissuto”.
Naftali ci ha anche espressamente chiesto di ricordare Antonin Kalina, uno dei protagonisti della storia di Buchenwald. Kalina era un prigioniero comunista ma, grazie alla particolare organizzazione interna del campo che permetteva ai detenuti di occupare posizioni di controllo e supervisione, egli è stato incaricato di supervisionare il Block 66 cioè la zona in cui furono riuniti tutti i bambini ebrei. Tra di loro c’era anche Niftali Furst. Kalina ha messo a rischio la propria vita per salvare i più giovani. Quando infatti gli Alleati iniziarono ad avvicinarsi al campo nell’aprile del 1945 le SS ordinarono a tutti gli ebrei di presentarsi all’appello per essere spostati presso altri centri. Kalina non rispettò l’ordine e iniziò a contraffare i documenti dei ragazzi cambiandone la religione dichiarata da ebrea a cristiana in modo che quando i tedeschi si presentarono al Block 66 non trovarono nemmeno un ebreo. Grazie a questo stratagemma più di 900 bambini (tra cui Furst) riuscirono ad uscire vivi e liberi da Buchenwald.
In che modo la tragedia dei campi di concentramento ha avuto ripercussioni sulla sua fede?
“Nel documentario Kinderblock 66: Return to Buchenwald di Steven Moskovic affermo di aver perso la fede in Dio ad Auschwitz. Mi trovavo nei bagni, ero disperato e decisi di maledire Dio, senza curarmi delle conseguenze. Lo feci nel modo in cui può farlo un bambino di 12 anni e aspettai la dovuta punizione, ma non successe nulla. In quel momento, in quell’esatto momento ho perso la fede, e non l’ho mai più ritrovata. Non potevo più credere che qualche entità sarebbe venuta a salvarmi”.
Pensa che il genocidio sia ancora un pericolo al giorno d’oggi? Se sì, dove?
“Sì. Il genocidio è un pericolo molto forte se relazionato con tutto ciò che succede oggi intorno a noi. È un grande rischio e non dobbiamo lasciare che il fanatismo vinca, non possiamo permetterci di avere un comportamento passivo o neutrale o il male vincerà”.
E per quanto riguarda gli estremismi? Ultimamente Israele sembra non essere particolarmente preoccupato riguardo alle minacce dell’ISIS. Secondo lei, perchè Israele ha adottato questo tipo di approccio?
“Non sono molto informato sul tema ma credo che Israele sia molto preoccupato per l’ISIS. Non sappiamo perchè non lo dimostri. Viviamo in un’epoca piena di estremismi religiosi e guerre di religione e tutto ciò succede proprio attorno a noi: Egitto, Libia, Tunisia, Libano, Siria, Arabia Saudita… I palestinesi non hanno alcuna intenzione di fare accordi con Israele e sperano che presto noi israeliani lasceremo il paese che abbiamo costruito per tornare in Europa. Israele è un paese bellissimo”.
Segue le elezioni presidenziali americane, in cui si scontrano Hillary Clinton e Donald Trump? Alcuni hanno affermato che se Trump dovesse vincere si ritornerebbe ad una situazione simile a quella che c’era in Europa settant’anni fa. Sono spesso stati fatti paragoni tra la candidatura di Trump e la situazione politica tedesca degli anni ‘30: Trump punterebbe sulle paure e sui punti deboli della popolazione, proprio come faceva Hitler. Lei, che ha vissuto in prima persona gli orrori di quel periodo buio, è preoccupato per ciò che potrebbe succedere in America?
“Seguo la politica americana anche se non in modo approfondito. Non posso definirmi preoccupato ma, ovviamente, sono contrario al fascismo e a tutto ciò che vi si avvicina. Credo che la vittoria di Trump non sarebbe un passo positivo per il mondo. Credo che non sia qualificato per essere Presidente di una così grande nazione”.
Vuol esprimere un ultimo pensiero riguardo al suo imminente incontro con Papa Francesco, questo “secondo miracolo” che sta per capitarle.
“Sarà un’esperienza unica e molto emozionante. Porterò al Papa un regalo molto particolare che ho preparato: due mie foto al campo di Buchenwald con una bella cornice. Spero che il Papa le accetterà”.

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